Una serata immersi in suoni e racconti armeni ed argentini - una combinazione a prima vista ai limiti dell’impensabile, ma che alla fine inaspettatamente funziona. Il contesto è la “Semaine du Son”, la settimana del suono a Bruxelles. Riceviamo e pubblichiamo
L’evento ha preso vita a Librebook, piccola ma caratteristica libreria in un quartiere vivace della capitale belga, non lontano dalle istituzioni europee, dove il Circolo Trentini a Bruxelles ha organizzato un incontro-confronto tra due ricercatrici ed artiste alla ricerca di musica sacra e popolare, anche grazie al supporto del Circolo Trentino in Argentina.
Sara Maino, di Arco, vive tra Belgio ed Italia. Studia filosofia all’Università di Trento e sta imparando il russo. Si esprime in diversi ambiti artistici: poesia, performance, teatro, fotografia, musica, pittura, sound art, video d’arte, e documentari.
Si è specializzata nell’ideazione e nella conduzione di laboratori rivolti a scuole ed Enti, in Italia e all’estero, focalizzati sulla pratica del suono e dell’intervista narrativa come strumenti di stimolo creativo per consolidare relazioni di comunità, attraverso l’educazione a un ascolto consapevole.
Ha collaborato poi a volumi di ricerca etnografica e di poesia. È infine autrice di testi teatrali, programmi radiofonici e video per la Rai.
Caterina Rosolino è educatrice ed animatrice, ma anche scrittrice (giornalista dal 2004, scrive poesie fin dai 13 anni e racconti per bambini, e ha scritto un’opera teatrale).
È poi musicista: suona il clarinetto, la kora e l’argentino. Ha lavorato nel teatro sociale, con esperienze nel “teatro dell’oppresso”, prima con Géraldine Bogaert e Mounir in Belgio e poi con Olivier Marcor, Hanin Tarabay e Jordi Forcadas in Italia.
Ha poi recitato con una popolare compagnia teatrale, diretta dal professor Alberto Ferraro. Dopo una lunga ricerca in Argentina, dove ha studiato la musica e la danza della murga, ha deciso di investire le sue energie nella creazione di gruppi di murga in Belgio.
Due donne, quindi, con un vissuto intenso e particolare che ci hanno presentato, tramite frammenti sonori e la presentazione di un libro, la magia di contaminazioni inaspettate.
La serata è iniziata con la breve introduzione della presidente del circolo dei Trentini a Bruxelles, Ludovica Serafini; che, tramite un articolato dialogo con le artiste, inframezzato da intermezzi musicali e contributi video, ha fatto emergere i punti cruciali del lavoro delle due artiste.
All’inizio della conversazione Ludovica ha letto due frammenti del libro “Quaderno armeno”, scritto da Sara, chiedendole perché ha deciso di indirizzare la propria attenzione proprio sull’Armenia. L’artista, che ha studiato etnomusicologia, ha spiegato che l’interesse è nato dalla necessità accademica di studiare i canti liturgici armeni, per scoprire poi la magia del “duduk”, il flauto tipico della regione caucasica.
Ispirata da quelle melodie Sara ha deciso d’istinto di partire, per scoprire i luoghi dove quei canti sono nati.
L’attenzione è passata poi a Caterina per capire com’è nata la passione per le murghe argentine, forma d’arte che coniuga musica, danza e recitazione. Per la giovane artista, la passione per la musica ha radici profonde, ma la passione per le murghe è iniziata con la partecipazione a manifestazioni culturali tenute a Roma.
Un interesse che è poi cresciuto e si è sviluppato a Bruxelles, dove ha iniziato una ricerca di carattere antropologico, che l’ha portata a visitare più volte l’Argentina e a partecipare a diversi carnevali, arricchiti proprio dalla forma d’arte popolare delle murghe.
Una delle cose che più l’ha colpita, durante queste esperienze umane e culturali è il ruolo delle donne e dei temi femminili nelle murghe; un ruolo importante, centrale: esistono ad esempio murghe solo al femminile, sia per l’esclusiva partecipazione di donne che per i temi affrontati, come ad esempio l’aborto.
In contrapposizione alle atmosfere argentine, il “quaderno armeno” ha invece un approccio totalmente diverso. Anche se il canto è una forma di preghiera e libertà, quando Sara ha fatto ascoltare nelle strade armene le liturgie raccolte, sia ad ecclesiastici che a semplici passanti, in molti hanno reagito in modo negativo, perché questi canti hanno risvegliato sentimenti di malinconia.
Il “grabar” è la lingua classica che viene salmodiata dai sacerdoti armeni: in essa ci sono i parametri liturgici utilizzati durante le cerimonie, come si usava nel medioevo.
Sara voleva capire se quello che aveva letto sul canto collettivo in Armenia corrispondeva alla realtà vissuta: per un popolo memore di così tanta sofferenza il canto ha infatti un ruolo particolare, e melodie armene antichissime incarnano uno spirito unico.
Quando Sara è arrivata a Yerevan, capitale dell’Armenia, si è recata all’Hotel Praga, dove ha soggiornato durante la sua visita. Proprio qui è entrata in contatto con i rifugiati della guerra del Nagorno Karabakh. “L’Armenia è tutta ambigua”, commenta Sara.
Quello che l’artista cerca nelle strade dell’Armenia è la commozione: un’ascesa spirituale raggiunta restando nella propria dimensione corporale, il canto come riconnessione, con se stessi e la comunità in cui si vive.
Durante il viaggio Sara ha raccolto quasi tredici ore di musica, ma anche alcuni scatti, registrati dalla sua macchina fotografica analogica. Ha avuto anche la possibilità di intervistare sacerdoti sulla notazione musicale; in particolare, ricorda l’esperienza vissuta nella Cattedrale di Etchmiadzin, a 30 chilometri da Yerevan, per seguire una cerimonia di ordinazione.
Sara si è dichiarata osservatrice silenziosa. Parla quindi principalmente di “appartenenza invisibile”.
I riflettori sono quindi tornati su Caterina e la sua esperienza con la murga, che vive come libertà totale fin dal primo incontro con questa forma d’arte. La musicista si è potuta esprimere liberamente, senza alcun giudizio, sia nelle prime esperienze italiane che in Argentina.
Nelle murghe ci sono colori - che rappresentano le differenze - ma ci sono anche valori e principi (ambiente, femminismo), all’interno di un movimento artistico estremamente empatico. Esiste un momento specifico in cui si nominano le persone presenti, ed i partecipanti confermano la propria presenza, un momento di vera gioia.
Anche Sara si riconnette alla discussione in corso: il suo libro, racconta, in realtà è la testimonianza di eventi accaduti venti anni fa. Nel testo ci sono le storie di persone che cantando o vivendo da profughi sono testimoni del proprio percorso di vita. Appena due giorni dopo la pubblicazione del libro, nel settembre 2023, è scoppiato un nuovo e tragico episodio del conflitto in Nagorno Karabakh, con la fuga definitiva della popolazione armena.