La difficile situazione dei media in Armenia. Il caso di A1+, televisione a cui da anni viene negato il diritto di trasmettere. Il commento del direttore, Mesrop Movsesyan, gli interventi della Corte di Strasburgo e dell'Unione Europea
Il 10 dicembre scorso, in occasione della giornata internazionale dei Diritti Umani, rappresentanti del partito di opposizione Armenian National Congress (ANC) ed esponenti della società civile hanno organizzato una marcia pacifica per le strade di Yerevan. La manifestazione ha rappresentato l’occasione per parlare di libertà di parola e pluralismo mediatico in Armenia, e chiedere ancora una volta giustizia per la rete televisiva A1+, a cui da otto anni viene negato, per motivi politici, il diritto ad andare in onda.
Ad intervenire, in tale occasione, anche l’Ombudsman, Armen Harutuynyan: pur riconoscendo un “significativo miglioramento negli ultimi cinque anni”, ha definito la situazione “non soddisfacente”, riferendosi in particolare al numero di reclami – circa 5.000 all’anno – presentati annualmente al suo ufficio e relativi a vari abusi, commessi per lo più da organi giudiziari e statali. Decisamente più critico l’attivista dell’Ong Helsinki Citizens Assembly, Artur Sakunts, il quale ha denunciato come “violenza e repressione siano il valore dominante delle autorità”.
La decisione della Corte Europea contro l'Armenia
Chiaro il riferimento alle vicende giudiziarie della stazione televisiva indipendente A1+, il cui caso è arrivato alla Corte Europea dei Diritti Umani. Secondo la decisione del giugno 2008, la Corte ha riconosciuto l’Armenia colpevole di aver violato l’articolo 10 sulla libertà di espressione della Convenzione Europea sui Diritti Umani per aver bloccato le trasmissioni di A1+ nel 2002 e averne poi impedito la ripresa negli anni successivi. Dall’aprile 2002, infatti, la compagnia Meltex Ltd., proprietaria della rete televisiva, ha partecipato ad una decina di gare d’appalto per riottenere la licenza di trasmissione. Ogni tentativo è stato respinto dalla Commissione Nazionale per la Televisione e la Radio (NCTR), composta per metà da membri di nomina presidenziale.
I media armeni e la Federazione Internazionale per i Diritti Umani (FIDH) sostengono che A1+ sia penalizzata per ragioni politiche, vittima del sistema di “censura invisibile” che “colpisce il pluralismo dell’informazione nel paese”. Confermando le accuse, la Corte Europea ha “riconosciuto nel caso di A1+ la violazione del diritto di una compagnia televisiva a diffondere informazione e idee senza l’ingerenza da parte delle autorità pubbliche”. Ciò nonostante, non solo la decisione della Corte non è stata eseguita, ma l’Assemblea Nazionale ha provveduto ad emendare la “Legge sulla Televisione e la Radio” sospendendo la concessione di licenze per i due anni successivi. Nonostante l’invito del Consiglio d’Europa a rivederne il contenuto – “da considerarsi, a giudizio della Corte, una contromisura per il caso di Meltex Ltd” (Risoluzione 1897 sul “Rispetto della libertà dei media” del 2010) – il governo continua a rifiutare la licenza ad A1+.
La posizione dell'Unione Europea e dell'Osce
Presentati a maggio 2010, gli emendamenti hanno suscitato il veto delle associazioni dei media locali e dell’opposizione per il rischio di “una riduzione del pluralismo mediatico”, secondo Stepan Safarian del partito di opposizione Zharangutyun (“Eredità”). Anche l’ANC ha fortemente contestato gli emendamenti proposti dalla maggioranza, “il cui unico fine è creare ostacoli ai canali televisivi indipendenti, in particolare ad A1+ ancora illegalmente chiusa”. La questione ha mobilitato anche la comunità internazionale: in una dichiarazione congiunta, i capimissione degli Stati membri dell’UE in Armenia hanno proposto l’avvio di consultazioni pubbliche sul tema. I rappresentanti europei hanno “incoraggiato il governo a collaborare con la società civile al fine di adeguare la legislazione armena agli standard internazionali e a garantire la pluralità dell’informazione e la libertà dei media”.
Nonostante gli appelli, il 18 giugno il presidente Sargsyan ha ratificato gli emendamenti attirando la disapprovazione di Dunja Mijatovic, rappresentante OSCE a Vienna per la libertà dei media. Secondo la Mijatovic, nella legge approvata dal Parlamento armeno “mancano le garanzie per assicurare il pluralismo nell’era del digitale” a causa delle disposizioni che riducono il numero di canali, “rendendo lecita qualsiasi forma di trasmissione solo previa licenza statale e stabilendo procedure ambigue per la messa in onda di TV e radio private”.
Nuovo stop per A1+
La situazione non è migliorata quando, il 20 luglio, è stata promossa una gara d’appalto per l’assegnazione di 18 licenze della durata di dieci anni. Alla gara ha aderito anche A1+, nonostante le perplessità del Direttore, Mesrop Movsesyan, il quale aveva dichiarato di “non aspettarsi, dopo 12 tentativi falliti, di ottenere una licenza”, presagendo “un’altra farsa”.
Quando il 16 dicembre la Commissione Nazionale per la Televisione e la Radio ha effettivamente respinto la proposta di A1+ “per aver prodotto documentazione finanziaria falsa ai fini della gara”, Giorgi Gogia di Human Rights Watch ha commentato: “E' chiaro che per questo governo ostacolare i propri oppositori è più importante di rispettare gli obblighi legali internazionali”, riferendosi alla sentenza del 2008.
Il direttore di A1+, Mesrop Movsesyan: situazione catastrofica
Il confronto sulla questione è proseguito sulle pagine dei giornali, dove il primo Ministro Tigran Sargsyan ha invitato Movsesyan, “se possiede le risorse finanziarie, a lanciare un canale internet da cui trasmettere” poiché ha avuto “l’impressione che la compagnia televisiva abbia fatto di tutto per provocare agitazione politica”. Pronta la replica dell’interessato che ha ricordato che da 4 mesi A1+ trasmette il proprio notiziario su Youtube.
Il passo successivo della Compagnia sarà adire la Corte amministrativa e ripercorrere l’iter giudiziario che potrebbe nuovamente finire alla Corte Europea. Nel suo ufficio di Yerevan, il direttore dell'emittente si confessa pessimista: “Dopo 9 anni di battaglie per il diritto di parola non sembra esserci via d’uscita a causa dell’atmosfera che regna nel paese”. A suo dire, la situazione “catastrofica” in cui versa l’Armenia è dovuta da un lato “alla corruzione che dal sistema giudiziario si diffonde come un cancro a tutto il sistema statale”, dall’altro al “regime illegale e monopolistico” responsabile del “genocidio bianco” nei confronti dei media locali.
In attesa di un cambiamento – che auspica “tra due anni, alle prossime presidenziali” – Movsesyan lancia un messaggio globale: “Più del singolo caso, rileva la violazione di un diritto fondamentale. La parola è al primo posto ed è impensabile privare qualcuno della parola e del diritto di ascoltare”. Pare così ironicamente riprodotta nello slogan della rete – “Guarda noi, riconosci te stesso” – l’immagine di un paese che deve ancora colmare il divario tra i diritti e la loro tutela.