Le bandiere russa ed armena a Gyumri (Foto Alexanyan, Flickr)

Le bandiere russa ed armena a Gyumri (Foto Alexanyan, Flickr )

La strage perpetrata da un soldato russo di stanza nella base di Gyumri provoca un'ondata di indignazione nell'opinione pubblica armena, che si interroga sul delicato rapporto con Mosca e sulla crescente militarizzazione della società

26/01/2015 -  Simone Zoppellaro Yerevan

Dopo la fine dell’Unione Sovietica e l’indipendenza, l’Armenia si è dimostrata l’alleato più affidabile di Mosca nella regione caucasica. Una fedeltà determinata in primo luogo dal contesto geopolitico, che pone l’Armenia sotto scacco di vicini ostili e temibili. In primo luogo l’Azerbaijan, con cui perdura da oltre vent’anni il conflitto per la regione del Nagorno Karabakh. Il fragile equilibrio del cessate il fuoco firmato nel maggio 1994 non ha mai condotto a un accordo di pace fra i due paesi, e si registrano anzi di continuo violazioni e scontri che hanno portato, oltre a un alto numero di vittime determinato in primo luogo dai colpi dei cecchini sul confine, anche a una preoccupante escalation nell’anno da poco concluso.

Anche con la Turchia, come noto, non corre buon sangue. Il mancato riconoscimento da parte turca del Genocidio armeno, di cui quest’anno ricorre il centenario, si unisce all’appoggio politico fornito da Ankara all’Azerbaijian per il conflitto del Karabakh. Proprio all’inizio del 1993, a guerra ancora in corso, la Turchia decise di chiudere i suoi confini con l’Armenia, aggravando ulteriormente l’isolamento di quest’ultima.

Il risultato di tutto ciò è in primo luogo l’elevata spesa militare del governo di Yerevan. Uno studio condotto nel 2014 dal Bonn International Center for Conversion , che descrive il peso relativo dell'apparato militare di uno stato in relazione alla società nel suo complesso (Global Militarisation Index, GMI), vede l’Armenia al terzo posto, dopo Israele e Singapore, su un totale di 152 paesi esaminati, mentre l'Azerbaijan è al decimo posto. La corsa al riarmo finisce per penalizzare la fragile economia armena che, a differenza di Baku, non può vantare riserve di petrolio o gas.

Ma tali spese non bastano, e allora subentra l’alleanza militare con Mosca, che può vantare un legame di lunga data con l’Armenia e ha un forte interesse a mantenere una presenza nel Caucaso del sud, affacciandosi alle porte del Medio Oriente, grazie al confine meridionale con l’Iran.

La strage di Gyumri

Ora, un tragico evento di cronaca ha rischiato di mettere in discussione i rapporti fra Russia e Armenia, generando un’ondata di indignazione e proteste senza precedenti che ha scosso la società armena nelle ultime settimane. L’origine dei fatti è a Gyumri, seconda città dell’Armenia per numero di abitanti, dove ha sede un’importante base militare russa, precedentemente sovietica.

Secondo la ricostruzione diffusa dalla stampa armena, il 12 gennaio il soldato Valerij Permjakov, diciannovenne originario della città siberiana di Čita, avrebbe lasciato la base n. 102 dell’esercito russo attorno alle quattro del mattino portando con sé un Kalashnikov e due caricatori. Dopo aver camminato per due o tre chilometri, il soldato si sarebbe introdotto nell’abitazione degli Avetisyan dove avrebbe ucciso a sangue freddo sei membri di questa famiglia: due nonni, il loro figlio e la moglie, la loro figlia e la nipote Hasmik di due anni, morti sul colpo. La settima vittima è un bimbo di soli sei mesi, Seryozha Avetisyan. Ricoverato in gravi condizioni dopo l’accaduto, purtroppo neppure lui è scampato alla morte, sopraggiunta dopo una settimana. Il 19 gennaio il piccolo è stato dichiarato deceduto dal Centro medico S. Astvatsamayr che lo aveva in cura, nella stessa Gyumri. Il soldato Permjakov sarebbe stato arrestato in seguito da una guardia russa nei pressi del confine turco-armeno, per rimanere poi sotto custodia russa.

Non è la prima volta che la presenza dei militari russi a Gyumri è causa di gravi incidenti. Nel 1999 due soldati russi ubriachi aprirono il fuoco al mercato cittadino, causando la morte di due persone e il ferimento di alcune decine. Nel 2013, invece, due giovani armeni rimasero uccisi in seguito alla detonazione di alcuni ordigni lasciati incustoditi nei pressi della base. L’assassinio della famiglia Avetisyan, avvenuto nei giorni scorsi, ha però provocato una serie di proteste senza precedenti fra il 13 e il 15 gennaio, che hanno coinvolto sia Gyumri che la capitale. Gli scontri più gravi, con una quindicina di feriti e diversi arresti, si sono avuti nella giornata del 15, in corrispondenza dei funerali della famiglia Avetisyan. Proteste hanno avuto luogo anche davanti al Consolato e all’Ambasciata russa, a Gyumri e a Yerevan rispettivamente.

Una reazione più raccolta si è avuta invece il 19 gennaio, giorno della morte del piccolo Seryozha, un evento che ha toccato il cuore di moltissimi armeni. A Yerevan, decine di persone hanno posto candele, fiori e giocattoli sulle scale del Teatro dell’Opera. A Gyumri, luogo natale del piccolo, molta gente si è riunita davanti alla casa della famiglia Avetisyan accendendo candele e raccogliendosi in preghiera. Al suo funerale, che ha avuto luogo nella chiesa di Surb Nshan, hanno partecipato centinaia di persone.

Alla base del malcontento, in primo luogo, è stato il rifiuto da parte delle autorità russe di consegnare il reo confesso Valerij Permjakov alla giustizia armena. Ma a generare indignazione è stata anche la risposta troppo tiepida e tardiva delle autorità armene, da molti interpretata come un segno di debolezza e servilismo nei confronti di Mosca. Nel caso di Gyumri, vi è poi un disagio ancora maggiore: la città non si è più ripresa dal terremoto del 1988, quando circa 25.000 persone persero la vita, nella città e in altre località nel nord del paese. Nonostante siano trascorsi oltre venticinque anni da quella tragedia, molte persone sono ancora oggi prive di un alloggio e i tassi di disoccupazione sono persino più alti dell’allarmante media nazionale. Paradossalmente, una delle maggiori fonti di reddito a Gyumri è dovuta proprio alla presenza dei militari russi.

A stemperare gli animi è intervento anche il presidente russo Vladimir Putin che, in una telefonata all'omologo armeno Serzh Sarksyan, ha espresso le proprie condoglianze per l’accaduto e ha assicurato che il massacro di Gyumri non resterà impunito.