L'Armenia sta attraversando un periodo drammatico. Il primo ministro Nikol Pashinyan ha denunciato lo scorso giovedì un tentativo di colpo di stato. Ma se una guerra civile resta improbabile, non lo sono le misure coercitive nei confronti della società civile
Lo scorso giovedì 25 febbraio due manifestazioni hanno avuto luogo contemporaneamente nella capitale armena di Yerevan. Mentre il primo ministro Nikol Pashinyan, davanti alla folla dei suoi sostenitori riunitisi in Piazza della Repubblica, accusava le forze armate di colpo di stato, un’antitetica manifestazione di più di 10.000 persone avveniva a pochi passi da lì, in Piazza della Libertà.
Da mesi l’opposizione chiede le dimissioni del leader della Rivoluzione di Velluto, ritenuto principale responsabile della tragica sconfitta nella guerra contro l’Azerbaijan e della restituzione a quest’ultimo dei sette distretti circostanti il Nagorno Karabakh.
A scatenare l’ultima protesta sono stati i rapidi eventi degli ultimi giorni, a partire dall’intervista rilasciata da Pashinyan su un canale locale, in cui ha rovesciato le colpe della rovinosa sconfitta al mal funzionamento del sistema russo di missili Iskander, utilizzati durante i combattimenti, che secondo le parole del premier sarebbero malfunzionanti.
Oltre a far infuriare i vertici militari russi, che dell’esportazione di sistemi di armi all’avanguardia fanno una questione di prestigio su scala internazionale, le dichiarazioni del primo ministro hanno attirato le critiche del vice capo delle forze armene, che ha sostenuto che i missili Iskander non sarebbero mai stati utilizzati.
La risposta del premier non si è fatta attendere: ha immediatamente licenziato quest'ultimo. È in quest'occasione che il capo di stato maggiore, Onik Gasparyan, ha invocato le dimissioni di Pashinyan. Il primo ministro ha poi chiesto di rimuovere anche Gasparyan dall’incarico - presupposto del Presidente della Repubblica. Quest'ultimo, Armen Sargsyan, si è rifiutato di dar seguito alla richiesta.
Alla presa di posizione di Gasparyan ha fatto eco una lunga lista di sostenitori tra le forze armate spazientiti dallo scaricabarile di responsabilità da parte del premier nei loro confronti.
Intanto alcuni manifestanti , oltre ad aver bloccato la strada centrale di Yerevan vicino al Parlamento e eretto delle barricate improvvisate, hanno montato delle tende davanti al palazzo del parlamento, decisi a rimanere lì finché il premier non annuncerà le dimissioni.
Le cause della crisi
Sono diversi i fattori che hanno contribuito ad esacerbare il sentimento di amarezza e umiliazione della società armena in seguito alla rapida capitolazione nella guerra contro il vicino azero. Da quel tragico giorno, molte questioni sono rimaste irrisolte, a partire dall’emergere di sempre nuove testimonianze di crimini commessi durante la guerra che hanno turbato profondamente la popolazione.
Secondo un recente rapporto di Human Rights Watch, ci sarebbero una serie di prove di attacchi commessi dall’esercito azero verso strutture ospedaliere durante la guerra, colpite da armi esplosive con effetti su larga scala, come i missili Grad e le bombe a grappolo. Alle incertezze in merito alla questione dei prigionieri di guerra armeni detenuti in Azerbaijan, su cui Baku continua a tacere, si aggiunge la quotidiana paura degli abitanti lungo le zone di confine, dove si sono verificati scontri a fuoco di lieve entità tra gli eserciti contrapposti anche dopo la firma del cessate il fuoco.
La riconfigurazione dei confini e dei collegamenti lungo la regione procede intanto in incontri a porte chiuse tra i leader politici, processo dal quale la popolazione rimane esclusa e di cui si danno poche notizie, alimentando un clima di già forte incertezza. Infine il ritorno dell’influenza turca nella regione non fa che aumentare il senso di minaccia e accerchiamento del piccolo stato caucasico.
Paure e preoccupazioni
La tensione è alta a tal punto che la polizia è dovuta intervenire nella giornata di giovedì per impedire scontri tra le due masse contrapposte di dimostranti, quando alcuni manifestanti anti-Pashinyan sono venuti in contatto in Piazza della Repubblica, con i sostenitori del premier.
Vi è chi teme che, come conseguenza della crisi politica e sociali, si possa arrivare anche alla guerra civile. Tra le fila governative la paura è quella di un colpo di stato. Per il momento è la stessa divisione interna ai gruppi dell’opposizione a minare le spinte anti-Pashinyan.
L’opposizione infatti non ha una strategia univoca per quanto riguarda un’alternativa politica. Secondo un recente sondaggio di Gallup , sebbene quasi il 44 percento degli armeni intervistati voglia le dimissioni del premier, Pashinyan rimane comunque la figura politica in testa rispetto alle alternative. Pashinyan ha totalizzato 2.8 punti su 5 possibili. Gli ex presidenti Levon Ter-Petrosyan, Robert Kocharian e Serzh Sargsyan non superano i 2 punti, mentre Vazgen Manukyan, leader dell’opposizione e principale candidato a successore al governo, si attesta intorno all’1.6. Ciò è indice di come gran parte della popolazione, più che un governo incapace di una politica estera assertiva nei confronti dell’Azerbaijan, tema un ritorno all’immobilismo prerivoluzionario e alla corruzione, che hanno caratterizzato la vecchia classe dirigente, elitaria e lontana dalle esigenze della popolazione.
Libertà
Al di là delle ipotesi di guerra civile o colpo di stato, c’è la minaccia di un ulteriore inasprimento delle misure coercitive contro la società civile in nome del mantenimento dell’ordine pubblico e della sicurezza nazionale.
Durante il comizio di giovedì in Piazza della Repubblica, Pashinyan ha dichiarato che, nel caso le proteste dovessero continuare, le stesse figure governative salite al governo dopo Rivoluzione di Velluto, abbandoneranno la retorica “soft” e arresteranno chiunque infranga la legge.
In seguito alla firma del cessate il fuoco, il governo armeno aveva introdotto la legge marziale per contenere i disordini delle prime proteste antigovernative. Le misure avevano espressamente introdotto il divieto di criticare le azioni delle figure ufficiali governative, per ragioni legate alla “sicurezza nazionale”. Immediatamente dopo l’introduzione delle nuove restrizioni, 13 agenzie di stampa e 62 account privati sono stati multati.
Nel 2021, due proposte di legge sulla libertà di stampa e di parola sono state già presentate in parlamento, di cui una prevede sanzioni per chiunque faccia circolare informazioni attinte da portali la cui proprietà non sia nota. C’è anche il timore che possano ripetersi arresti arbitrari, come quello dell’attivista pacifista Georgi Vanyan dello scorso novembre. Quest'ultimo durante i giorni del conflitto aveva sollecitato la ricerca di un dialogo con l’Azerbaijan con un post su Facebook.
Nei prossimi giorni verrà scritta una nuova pagina della politica interna armena e il rischio concreto di una retrocessione degli standard democratici.