Oltre 1000 soldati armeni sono diventati invalidi durante la seconda Guerra del Nagorno Karabakh. Molti stanno ricevendo assistenza statale per la riabilitazione, altri però sembrano essere stati dimenticati dalle istituzioni statali
(Pubblicato originariamente su OC Media )
“Nell’esercito, le domeniche erano solitamente belle giornate”, ricorda il diciannovenne Manvel Hakobyan con un sorriso. “Ci era concesso dormire un po’ di più del solito”.
Ma domenica 27 settembre 2020 è stata diversa da tutte quelle che Manvel aveva sperimentato. Sebbene lui e i suoi compagni si aspettavano qualche tipo di escalation, nessuno di loro avrebbe potuto prevedere la portata della guerra che sarebbe seguita.
Meno di una settimana dopo, Manvel veniva portato a Yerevan, con la schiena spezzata, con i medici che non sapevano se si sarebbe mai ripreso. Lui è uno tra le centinaia, se non migliaia, che hanno dovuto affrontare una riabilitazione lunga e difficile - riabilitazione che ora alcuni temono dover affrontare da soli.
Durante i quarantaquattro giorni della Seconda guerra del Nagorno Karabakh, 4000 soldati armeni sono stati uccisi e 11000 sono rimasti feriti. Zaruhi Manucharyan, portavoce del ministero del Lavoro e degli Affari Sociali, ha dichiarato a OC Media che dei feriti, 1267 hanno ottenuto lo stato di disabilità a partire dal giugno scorso. Di questi, 112 sono classificati come portatori delle disabilità più gravi e ricevono un risarcimento pari a quello dei familiari delle vittime della guerra.
Ci sono però anche numerosi casi di veterani feriti in guerra che sono stati esclusi dalle liste ufficiali del governo e, senza sostegno dello stato, non potranno permettersi alcuna cura.
Servizio militare
In Armenia i soldati appena arruolati, incluso Manvel, che aveva appena iniziato il secondo mese di servizio militare obbligatorio, non venivano normalmente mandati al fronte. A meno che non stesse accadendo qualcosa di imprevisto.
“Ci è stato detto che qualcosa stava per accadere. I soldati più esperti sono stati dispiegati ai confini per primi. A noi è stato ordinato di aspettare”, racconta Manvel a OC Media.
Manvel ha poi riferito che dopo è stato il caos: la sua unità militare a Madaghis è stata una delle prime ad essere colpita. “Io sono rimasto ferito il quinto giorno di guerra e il quarantaduesimo del mio servizio militare. È stato breve, ma mi è sembrato davvero lungo. Soprattutto negli ultimi cinque giorni”.
Manvel ne è uscito con una grave lesione al midollo spinale ed ha perso la capacità di camminare. “La strada per Yerevan è stata un incubo”, ricorda. “Il dolore non cessava mai”. Solo dopo sei mesi Manvel ha ricominciato a imparare a camminare. È tra i veterani in fase di riabilitazione nel Centro di riabilitazione del Protettorato della Patria dell’Armenia. Prima di arrivarvi è stato curato in vari altri ospedali.
“Ho passato mesi senza essere in grado di prendermi cura di me stesso. Riuscivo a malapena a muovere le mani e non riuscivo a compiere azioni basilari”, spiega Manvel.
Ora non solo si sta prendendo cura di se stesso ma sta anche imparando a suonare la chitarra e pianifica di tornare ad inseguire i sogni che aveva prima della guerra. Sta anche considerando di tornare in Russia, dove ha vissuto prima di compiere i 18 anni ed essere obbligato a trasferirsi in Armenia per svolgere il servizio militare.
Hasan Feroyan è un altro giovane arruolato tornato in Armenia per svolgere il servizio militare poco prima della guerra. Ha 23 anni e appartiene alla comunità yazida. Viveva in Germania da oltre nove anni.
“Mi sentivo come se avessi un obbligo nei confronti del paese delle mie origini” ha detto Hasan a OC Media. “Non ho mai pensato di evitare il servizio militare”.
Hasan ha affrontato la prospettiva del servizio con una certa preoccupazione poiché un suo parente, Kyaram Sloyan, era stato ucciso durante gli scontri nell’aprile 2016. Sloyan è stato una delle vittime più note dei combattimenti, con le immagini del suo corpo mutilato ampiamente diffuse online.
Hasan è stato ferito ad una gamba dall’esplosione di un razzo nella sera del 9 novembre 2020, poche ore prima dell’annuncio dell’accordo di pace tripartito che ha posto fine ai combattimenti. È stato l’unico tra i suoi commilitoni a sopravvivere all’esplosione.
Ci ha messo un mese a ricominciare a camminare con l’aiuto delle stampelle; ci vorranno anni prima che si riprenda completamente.
“Pensavo ai miei amici ogni giorno”, racconta Hasan dei suoi primi giorni in ospedale, mentre i medici gli dicevano che per salvargli la vita dovevano considerare la possibilità di amputargli la gamba.
La burocrazia di guerra
Alcuni di coloro che sono stati feriti in guerra denunciano di dover passare attraverso una burocrazia asfissiante per accedere ai fondi statali per le cure.
“Mi è stato detto di tornare all’unità militare di Martakert e portare un documento per dimostrare che avevo davvero combattuto lì” racconta Simon Hovhannisyan, soldato volontario durante la guerra, a OC Media. “Ma è difficile immaginare che un soldato ferito possa guidare per diverse centinaia di chilometri per richiedere un documento di un’unità militare che dopo la guerra potrebbe anche essere stata smantellata”.
Il governo ha promesso di fornire cure gratuite a chi è rimasto ferito durante i combattimenti e a coloro che sono diventati invalidi sono state promesse pensioni per il resto della loro vita.
Simon racconta però che il suo nome ora manca nella lista del ministero della Difesa e quindi non viene identificato come partecipante della guerra.
“Sono stato ferito a metà ottobre, ho avuto una commozione cerebrale e ho trascorso diversi giorni alla mia posizione militare aspettando un’ambulanza”.
Non è chiaro al momento quanti altri abbiano affrontato ostacoli simili a Simon e non abbiano potuto accedere a cure gratuite.
Quando la guerra è finita e i volontari e le riserve sono stati smobilitati, il fondo statale per le sue cure è stato sospeso, e Simon non è stato in grado di dimostrare di essere un veterano di guerra.
Ha raccontato che quando è entrato in contatto con le autorità statali, gli è stato risposto che si trattava di problemi tecnici, ma non gli è stata offerta alcuna soluzione.
Il trentaseienne Khachik Vardanyan è comparso sulla lista dei feriti del ministero della Difesa a causa della perdita di un occhio, della perdita dell’udito e un grave trauma agli organi interni.
Khachik è un prete e partì per il Nagorno Karabakh poco dopo lo scoppio della guerra senza arruolarsi ufficialmente come volontario.
“È stata colpa nostra non registrarci come volontari”, racconta ora a OC Media. “Insieme ad alcuni preti siamo saliti in macchina diretti a Artsakh (Nagorno Karabakh) senza avere un piano”.
Dopo essere stato ferito, Khachik è stato portato in un ospedale in Armenia, dove ha trascorso mesi ricevendo cure. Alla fine è stato trasferito al Centro di riabilitazione della Croce Rossa armena.
Dopo essere stato smobilitato, Khachik non ha più ottenuto alcun sostegno statale per le cure mediche, e ha continuato a pagare attraverso la sua assicurazione sanitaria privata. Ora non sa se in futuro potrà permettersi ulteriori interventi chirurgici.
“Casa tua non è più tua”
Al di là delle lesioni fisiche, chi ha attraversato la guerra ha spesso sperimentano problemi psicologici continui e gravi; molti sono quelli che soffrono di disturbo da stress post-traumatico (PTSD).
Gli psicologi hanno tentato di intervenire sui danni psicologici causati dalla guerra fin dal primo giorno, ma la vastità del conflitto e il numero di vittime hanno reso il loro compito quasi impossibile.
“Una volta ho avuto un flashback, e ho perso la capacità di riconoscere dove mi trovavo, sentivo il rumore di bombardamenti e esplosioni”, ricorda Manvel. Ha aggiunto che, per lungo tempo, ogni voce rumorosa che sentiva la associava immediatamente alla guerra.
Sargis Harutyunyan, 20 anni, originario del Martakert (Aghdara), regione del Nagorno Karabakh, stava per finire il servizio militare quando la guerra è scoppiata e in poco tempo è stato gravemente ferito.
“L’ambulanza si è rotta tre volte prima di arrivare all’ospedale Stepanakert”, dice, ricordando i continui bombardamenti lungo il percorso. “Per tutto il tempo, i medici stavano provando a tenermi sveglio perché se avessi perso conoscenza avrei potuto non svegliarmi più”.
Sargis ha affermato che, nonostante il legame emotivo con la sua città natale, difficilmente riesce ad immaginare di tornare in Nagorno Karabakh a fine riabilitazione.
Ma anche se non riesce a immaginare di tornare a Martakert, i suoi pensieri sulla sua permanenza in Armenia gli causano ancora più dolore. “Se decido di vivere in Armenia, allora sicuramente tornerò in Artsakh”, dice Sargis a OC Media. “È difficile, però. Puoi pensare di essere tornato a casa, ma in realtà sembrerà sempre che non sia più tua”.