La centrale nucleare di Metsamor, i nuovi progetti atomici e l'intensa industria estrattiva sono i principali responsabili dei rischi per l'ambiente e la popolazione del Paese. La posizione degli ambientalisti e quella del governo, il monito dell'Unione europea
La centrale nucleare di Metsamor, pochi chilometri a sud di Yerevan, rappresenta per l'Armenia un’importante fonte energetica ma, al tempo stesso, una minaccia per la sicurezza della popolazione e per l'ecosistema. L'equilibrio ambientale del Paese è inoltre ipotecato dai forti interessi economici generati non solo dall’estrazione di uranio, ma più in generale dall’industria mineraria, che provocano danni sia all’ambiente che alla salute delle persone.
L'Unione europea già nel 2006, nel capitolo dedicato all'ambiente del Country Strategy Paper 2007-2013 per l’Armenia, annoverava tra le principali minacce per il Paese l’inquinamento derivante dal settore minerario e chimico, la mancanza di un sistema di smaltimento di sostanze tossiche, la deforestazione e lo sfruttamento del suolo, che in molte aree ha causato un processo di desertificazione. Bruxelles ha inserito nel Piano d’Azione dedicato alla partnership con l'Armenia alcune raccomandazioni riguardanti in primis l’energia: un adeguamento della legislazione nazionale agli standard internazionali di sicurezza degli impianti, misure specifiche per l’utilizzo di fonti energetiche rinnovabili e provvedimenti ad hoc nel campo del nucleare. L'Unione, infine, ha richiesto la chiusura anticipata dell’impianto di Metsamor (prevista nel 2016) per motivi di sicurezza.
La centrale di Metsamor e i nuovi progetti nucleari
I piani energetici dell'Armenia vanno però in direzione contraria. La centrale nucleare di Metsamor, costruita nei primi anni Settanta e chiusa in seguito al terremoto dell’88, venne riaperta per esigenze di approvvigionamento energetico dopo lo scoppio della guerra per il Nagorno Karabakh e la chiusura delle frontiere con Azerbaijan e Turchia. Ad oggi, la centrale ha un solo reattore funzionante: progettato per durare 30 anni, esso fornisce poco meno del 40% dell’energia prodotta annualmente nel Paese (la maggior parte deriva dal gas naturale importato dalla Russia).
Nel 2007 il Ministro dell’Energia, Armen Movsissyan, ha avviato uno studio di fattibilità per la costruzione di un nuovo impianto nucleare in collaborazione con Russia, USA e l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (IAEA), conclusosi il 20 agosto 2010 con la firma di un accordo tra Yerevan e Mosca per la costruzione di una nuova centrale a Metsamor. I lavori di costruzione che, secondo il ministro, “rispetteranno i massimi standard di sicurezza”, inizieranno nel 2012 e la centrale “entrerà in funzione nel 2016 per una durata di 60 anni”, come annunciato dallo stesso ministro alla stampa locale lo scorso ottobre, in occasione della sottoscrizione dell’ultimo protocollo d’intesa tra i due governi. “Per un Paese come l’Armenia, che non possiede grandi risorse energetiche come petrolio e gas ma ha esperienza nella produzione di energia atomica – ha concluso - il nucleare è la soluzione migliore”.
I dubbi degli ambientalisti armeni
Di opinione contraria il fronte “verde”, che denuncia i numerosi rischi legati alla centrale. Innanzitutto l’ubicazione e le caratteristiche geofisiche del terreno: la centrale si trova a soli 30 km dalla capitale e – come ricorda Hakob Sanasaryan, chimico a capo del gruppo ambientalista Green Union - poggia su “una placca spezzata, vicino a cinque faglie tettoniche, il peggior posto dove costruire una centrale nucleare”. Oltre al rischio sismico, preoccupa inoltre la questione dello smaltimento delle scorie. Barbara Siebert, direttrice di programma della Foundation for Preservation of Wildlife and Cultural Assets (FPWC), ha spiegato ad Osservatorio che “non avendo un sistema adeguato, le scorie sono state finora spedite in Kazakistan, ma non c’è chiarezza sull’effettiva sicurezza dei depositi in loco né del trasporto. Un impianto nuovo potrebbe forse significare un migliore sistema di stoccaggio e smaltimento, ma resta comunque alto il pericolo per la popolazione”.
La scelta nucleare, aggiungono gli ambientalisti, ha poi delle evidenti implicazioni politiche: “La Russia ha un ruolo chiave nella gestione delle risorse energetiche armene e, ultimamente, nell’estrazione dell’uranio”, ha infatti aggiunto Ruben Khachatryan, fondatore della FPWC, ricordando che la società moscovita Atomredmetzoloto (ARMZ) possiede il 50% della compagnia mineraria per la ricerca di uranio in Armenia.
Gli interessi economici
Per quanto riguarda più in generale l'industria mineraria, a nulla è valsa la denuncia fatta in sede locale di gravi patologie legate all’estrazione di metalli pesanti e all’accumulo di scorie: all’attività estrattiva sono legati forti interessi economici e, secondo il parlamentare Gagik Minasyan – come riferito dall'agenzia Arminfo a fine agosto 2010 - in Armenia “l’industria mineraria sta diventando la locomotiva della crescita economica nazionale”. Secondo la Siebert, però, la classe politica armena “ha trasformato l’industria mineraria in un mezzo per lottare contro la povertà, e per soddisfare i bisogni della popolazione, senza calcolare le conseguenze derivanti dallo sfruttamento delle risorse ambientali”. L’impoverimento del suolo infatti causa danni irreparabili all’ambiente, e “così non solo si danneggia la natura, ma si costringono le persone ad abbandonare intere aree divenute invivibili”.
Il conto dei danni
Ciò è quanto accaduto nella regione meridionale di Syunik, dove dal ’95 l’impresa “Deno Gold Mining” opera nell’estrazione di vari metalli e nella loro lavorazione in loco. L’organizzazione ambientalista Ecolurda tempo denuncia la Compagnia per “la produzione di scorie ed elementi tossici che hanno un impatto diretto sulla popolazione e sul territorio”. Situazione simile al nord, a Teghut, dove la compagnia “Programma Armeno per il Rame” (ACP) ha iniziato nel 2007 la costruzione di un importante deposito di rame e molibdeno. Nonostante le stime – la distruzione di più di 350 ettari di foresta – la Compagnia ha fatto sapere che “il progetto offrirà circa 1.400 posti di lavoro” contribuendo così allo sviluppo economico dell’area. Il caso di questo villaggio è giunto fino all’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa (PACE) dove Zaruhi Postanjian, deputata del partito di opposizione “Zharangutyun” (Eredità), vincendo l’ostracismo degli altri membri della delegazione armena ha presentato agli inizi di gennaio una bozza di risoluzione su “L’impatto disastroso sull’ambiente dell’industria mineraria armena”. La minaccia si estende anche alla vicina Georgia: alcune ONG hanno infatti sollecitato le autorità di Tbilisi ad avviare consultazioni con Yerevan per valutare il livello di contaminazione del fiume Debed, che nasce nei pressi di Teghut e prosegue il suo corso in territorio georgiano.
Un cambiamento radicale
Secondo Khachatryan, questo è solo un esempio di come l’equilibrio ambientale in Armenia sia ormai ad un livello critico: “La natura spinge per un cambiamento radicale, che dovrà avvenire in breve tempo. Il disinteresse del popolo armeno per la natura infatti, maturato in epoca sovietica, sta oggi compromettendo la sicurezza dell’intera regione”. In mancanza di strategie e decisioni politiche, per l'ambientalista l’impegno deve essere quello di lavorare per cambiare la società.