Dopo l'esito disastroso della guerra per il Nagorno Karabakh e il mancato intervento di Mosca, Yerevan ha congelato la sua partecipazione all’Organizzazione del Trattato per la Sicurezza Collettiva (CSTO) e pensa all’uscita dall’alleanza militare a guida russa
È dal 2020 che l’Armenia è frustrata dal mancato intervento dell’Organizzazione del Trattato per la Sicurezza Collettiva (CSTO) nel quadro del suo sistema di sicurezza.
Per Yerevan i conflitti transfrontalieri, gli scambi a fuoco e le accuse verso Baku di aver occupato parte del territorio armeno non hanno mai trovato la risposta che l'Armenia si aspettava dal CSTO. Anzi, l’organizzazione stessa ha dichiarato di non poter intervenire in scambi e tensioni transfrontaliere là dove il confine non è delimitato.
Per il governo armeno questo è però solo un pretesto per scaricare le responsabilità di tutela dell’integrità territoriale di un paese membro che l’organizzazione avrebbe dovuto proteggere e pertanto ora Yerevan sta valutando se rimanerne o meno stato membro.
Il 2024 è stato l’anno durante il quale i rapporti fra Armenia e CSTO sono diventati particolarmente difficili e Yerevan è passata dalle parole – molte – ai fatti.
All’inizio dell’anno una serie di dichiarazioni hanno provato che da parte del CSTO e Armenia c’erano percezioni molto diverse riguardo allo status del paese all’interno dell’organizzazione.
L’Armenia aveva già sospeso da parecchio tempo la collaborazione attiva con l’organizzazione e la partecipazione agli eventi e alle esercitazioni si è fatta sempre più sporadica.
L’ambasciatore Russo al CSTO Viktor Vasiliev a gennaio ha dichiarato che questo sporadica collaborazione dell’Armenia dipendeva largamente dall’interferenza dell’Occidente e ha sottolineato che la sicurezza armena dipende dal CSTO e l’uscita del paese dall’organizzazione non era un argomento all’ordine del giorno.
Piuttosto differente la lettura data da Yerevan del quadro della propria partecipazione. Durante un’intervista a febbraio il primo ministro armeno Nikol Pashinyan ha dichiarato che la partecipazione dell’Armenia all’organizzazione era di fatto congelata.
E questa è la definizione che Yerevan ha portato avanti da allora, un congelamento della partecipazione.
Queste parole hanno trovato però smentita da parte di Mosca: il portavoce del Cremlino Dmitri Pescov ha dichiarato che la condizione di congelamento della partecipazione all’organizzazione non ha uno statuto riconosciuto e quindi che Mosca avrebbe chiesto chiarimenti su che cosa intendesse il primo ministro armeno con questa definizione eterodossa.
Finanziamento ed esternazioni
Che cosa intendesse il primo ministro è risultato abbastanza evidente con l’inizio della primavera, quando l’Armenia ha dichiarato che non avrebbe più partecipato ai finanziamenti del CSTO.
L’organizzazione stessa ha cercato però nuovamente di sminuire l’importanza di questa scelta, sostenendo che era già successo che alcuni membri sospendessero il finanziamento, e che l’importante era che la coesione all’interno dell’organizzazione non venisse intaccata.
A intaccare la coesione sarebbe intervenuto un terzo giocatore cioè il presidente della Bielorussia Alexander Lukashenka.
Durante un viaggio in Azerbaijan Lukashenka si è abbandonato alle sue tipiche esternazioni, facendole cadere come cose scontate, anche nella piena consapevolezza della gravità di quanto stava dicendo.
Il dittatore bielorusso ha sostenuto di aver discusso con il presidente Ilham Aliyev gli esiti della guerra ben prima che venisse combattuta, dimostrando così che la Bielorussia era assolutamente a conoscenza dei piani di Baku.
Ulteriori leaks hanno dimostrato che Minsk ha anche contribuito ad armare l’Azerbaijan, che a differenza dell’Armenia non fa parte di nessuna alleanza militare con la Bielorussia.
Questo quadro ha scatenato le ire di Yerevan, con il primo ministro Nikol Pashinyan che ha dato piena voce ai dubbi che coltivava da parecchio tempo.
Secondo Pashinyan alcuni paesi membri del CSTO non solo avrebbero aiutato l’Azerbaijan, armandolo e mancando dell’obbligo di informare l’alleato armeno del pericolo imminente, ma avrebbero agito per causare la sconfitta armena e comprometterne l’indipendenza.
Yerevan quindi dimostra una profonda sfiducia nella reale volontà degli alleati dell’Armenia, e ritiene di essere stata deliberatamente danneggiata invece che aiutata da quelli che sarebbero dovuti esseri i suoi partner militari.
A questo punto da parte armena si è cominciato a parlare esplicitamente dell’ipotesi di abbandonare il CSTO. Durante un "question time" in parlamento Pahinyan ha definito il CSTO un’organizzazione bluff.
A causa delle dichiarazioni di Lukashenka anche i rapporti armeno-bielorussi sono significativamente peggiorati e la leadership armena ha dichiarato che nessun uomo politico o delle istituzioni armeno si recherà più in Bielorussia finché ci sarà come presidente Lukashenka.
Questo peraltro implica che l’Armenia non parteciperà agli incontri ufficiali delle organizzazioni di cui fa parte che si terranno in Belorussia, e può diventare un ottimo alibi per scansare ulteriori eventi CSTO.
E adesso?
Yerevan sta sicuramente considerando le conseguenze possibili di abbandonare il CSTO, un processo più facile da dichiarare a parole che da raggiungere nei fatti, soprattutto in modo indolore. Ancora lo scorso marzo il capo di stato maggiore del paese ha dichiarato che le conseguenze sono in via di analisi, ma sono coperte da segreto di stato.
I termini della discussione si sono fatti sempre più accesi con il vice ministro degli Esteri russo Mikhail Galuzin che ha criticato apertamente la leadership armena e ha più volte mosso aperte minacce al paese, invitando la sua classe dirigente a considerare gli effettivi rischi di un abbandono del CSTO.
Galuzin ha dichiarato che la collaborazione armena con l’occidente avrebbe come conseguenza destabilizzazione a catena nella sicurezza nel Caucaso del Sud, a scapito della sicurezza e dell’integrità territoriale del paese, e ha ammonito il primo ministro e la leadership armena a non commettere errori di valutazione che potrebbero avere conseguenze molto gravi per la sovranità, la stabilità e lo sviluppo economico del paese.
Il 18 settembre Pashinyan è tornato sul tema durante il Second Global Armenian Summit a Yerevan e ha dichiarato: “Abbiamo congelato la nostra adesione alla CSTO non solo perché la CSTO non garantisce i suoi obblighi di sicurezza nei confronti dell’Armenia, ma anche perché a nostro avviso la CSTO crea minacce per la sicurezza dell’Armenia e per la sua futura esistenza, sovranità e statualità. […] Esiste un'espressione chiamata ‘il punto di non ritorno’; non l’abbiamo ancora attraversato, ma c’è una grande probabilità che lo faremo. E nessuno avrà alcuna legittima occasione o motivo per biasimarci per questo”.
Il giorno dopo l’Armenia ha commemorato mestamente il primo anniversario dalla caduta del Karabakh. Un anno fa, dopo nemmeno 24 ore di battaglia, il regime secessionista capitolava e iniziava l’esodo degli armeni dalla regione contesa.