Nel centenario del genocidio armeno, il fondatore della Foresta dei Giusti invita a riflettere sul legame tra mondo ebraico e mondo armeno e sul ruolo dei giusti ottomani, come strada per una riconciliazione possibile. Nostra intervista
Pietro Kuciukian è Console Onorario della Repubblica di Armenia in Italia e fondatore, insieme a Gabriele Nissim, di Gariwo, la foresta dei Giusti , organizzazione che promuove a livello internazionale la conoscenza e l’interesse verso le figure dei giusti di tutti i genocidi. Figlio egli stesso di un sopravvissuto al genocidio armeno, salvato da un turco, Kuciukian è un raccoglitore e divulgatore instancabile di storie che hanno per protagonisti uomini capaci di sfidare il proprio interesse e la propria epoca in nome del bene.
Console Kuciukian, so che è appena tornato da un viaggio in Israele effettuato insieme all’organizzazione Gariwo. Come è andata?
Insieme a Gabriele Nissim siamo andati in Israele invitati dalla Open University of Israel di Ra’anana e da Yair Auron, che è uno storico che si interessa di genocidi, specialmente del genocidio armeno. Nissim ha parlato dei giardini dei giusti, che stiamo promuovendo ormai in tutto il mondo e che ricordano i giusti di tutti i genocidi, e io invece ho parlato dei giusti ottomani, ma anche dei giusti armeni che hanno salvato gli ebrei, e dei giusti ebrei che hanno salvato gli armeni. Dopo siamo andati a Neve Shalom dove abbiamo inaugurato un nuovo giardino, un giardino dei giusti per tutti i genocidi. Neve Shalom è una cittadina che è abitata sia da ebrei che da palestinesi.
A questo proposito, volevo chiederle del legame storico e culturale che c’è fra mondo ebraico e mondo armeno, anche alla luce della recente pubblicazione del volume Pro Armenia: voci ebraiche sul genocidio armeno a cura di Fluvio Cortese e Francesco Berti. Quale importanza ha questo legame e quale ruolo può avere nel vincere i negazionismi che esistono ancora oggi?
Sia gli ebrei che gli armeni sono da sempre minoranze con una vulnerabilità strutturale, e quindi sono sempre stati più o meno emarginati. Questo punto può avvicinare questi due popoli nei millenni della loro storia. All’epoca del genocidio, come si è visto nel libro Pro Armenia che ha ricordato, ci sono stati molti ebrei che hanno aiutato gli armeni. Io ne ho trovati altri, oltre a quelli del libro. I tre maggiori sono Lewis Einstein, André Mandelstam e Henry Morgenthau. Da parte mia, ho trovato il gruppo NILI, formato dalla famiglia Aaronsohn di Zichron Ya’akov, che è proprio il luogo dove questo gruppo di spie ha operato in favore degli inglesi. Da questa località loro hanno avuto la grande intuizione – siamo nella Palestina di fine ottocento - di allearsi da subito con gli arabi. Quindi loro auspicavano una nazione e uno stato di ebrei, arabi e armeni. Hanno scritto molto sulla questione del genocidio armeno perché lo hanno visto di persona. Sarah Aaronsohn è stata un’eroina: lei è andata da Zichron Ya’akov – questo villaggio che io ho visitato – fino a Costantinopoli, nel 1915, e ha visto quello che succedeva agli armeni. Che erano arrotati sotto i treni, buttati, uccisi e massacrati. Ne è rimasta così impressionata che ogni volta che suo fratello Aaron nominava gli armeni lei aveva una crisi nervosa. Questo gruppo mandava notizie agli inglesi ad Alessandria, aiutandoli a sconfiggere gli ottomani; erano quindi alleati con Lawrence d’Arabia e con gli arabi. Non tutti erano d’accordo, e cresceva la paura della persecuzione degli ebrei. E in effetti poi hanno cominciato a perseguitare gli ebrei, a deportarli da Giaffa e da Gerusalemme. Fortunatamente, la famiglia Aaronsohn è riuscita ad avere molto oro dagli inglesi con il quale è riuscita a pagare e a corrompere i locali, e quindi la deportazione si è arenata. Io ho tradotto un libro molto interessante di Anita Engle su questa famiglia: Spie all'ombra della mezzaluna, edito da Baldini Castoldi Dalai. Sarah è stata presa, torturata e ha avuto la possibilità, sfuggendo un attimo, di procurarsi un revolver e uccidersi. Si è suicidata per non parlare. La funzione di questo gruppo NILI è stata importante perché riusciva a dare notizie di quello che succedeva agli ebrei e al mondo intero. Se gli armeni avessero avuto un gruppo così, che avesse dato all’epoca notizie di quello che succedeva agli armeni, forse si sarebbe evitato il genocidio.
Poi ne ho trovati altri. Raphael Lemkin, che è colui che ha inventato il termine “genocidio”, che era un ebreo anche lui e aveva assistito a un processo: il processo Tehlirian. Soghomon Tehlirian aveva ucciso Talaat Pascià, l'ex ministro degli Interni ottomano, a Berlino, nel '21, ed era poi stato assolto nel successivo processo svoltosi in Germania. Lemkin è rimasto molto impressionato da questo fatto e ha cominciato a studiare questo “crimine di lesa umanità” – come si chiamava allora il genocidio degli armeni – fino ad arrivare nel 1944 a coniare il termine “genocidio” che nel 1948 è stato adottato dalle Nazioni Unite.
Poi c’è stato David Sasson, che era un ebreo della Alliance Israélite Universelle di Mosul, dove vedeva arrivare queste carovane, questi uomini cenciosi e queste donne nude che morivano per strada. Ha raccolto dei soldi assieme a degli amici ebrei e ha cercato di aiutarli.
C’è stato poi Franz Wefel, che è l’autore de I quaranta giorni del Mussa Dagh, un’epopea che ha per protagonisti i pochi armeni che si sono salvati su Mussa Dagh; questo libro è stato il più letto durante la resistenza nel Ghetto di Varsavia. Trovavano ispirazione in questo libro: ecco questa vicinanza fra armeni ed ebrei. Inoltre, durante la Seconda guerra mondiale, quando gli ebrei avevano paura dell’attacco nazista, si erano rifugiati sul monte Carmelo e avevano nominato il piano di salvataggio “piano Mussa Dagh”: e quindi è anche interessante questo connubio fra armeni e ebrei all’epoca del genocidio degli ebrei.
Sempre nell’epoca della Shoah, abbiamo ben ventiquattromila persone che hanno salvato ebrei, negli anni '40, di varie nazioni: ucraini, francesi, ungheresi, austriaci, ma anche armeni. Sono personaggi che, ovviamente con grande difficoltà, sono riusciti a salvare molte vite. Per esempio a Lione nel ’42 c’era un ebreo, Tancmans, all’epoca in cui la polizia francese iniziava a fare razzia degli ebrei. Lui scappava e si è rifugiato in una panetteria. In questa panetteria c’era una giovane, una certa Berthe Hougassian di 16 anni, che lo ha protetto. L’ha protetto, poi l’ha detto anche ai genitori, che erano a loro volta scampati al genocidio degli armeni nel ’15, e quindi capivano la situazione. Questa famiglia tutta insieme lo ha protetto fino alla fine della guerra. Di casi così ce ne sono molti altri: non faccio un elenco perché sarebbe molto lungo. Comunque c’è questa vicinanza, direi, una vicinanza di perseguitati.
Il 24 aprile a Yerevan, a Istanbul e in tante altre città del mondo verrà ricordato il centenario del Genocidio armeno. Volevo chiederle la sua opinione sul significato storico di questo evento. Che cosa rappresenta questo centenario per gli armeni di oggi?
Prima di tutto direi che è una cosa molto strana. Perché se a distanza di cento anni ancora tutto il mondo – perché è in tutto il mondo che gli armeni si stanno organizzando – ricorda ancora, vuol dire che è stata una cosa molto forte nella comunità e nell’animo di tutti gli armeni. Ormai non sono più gli scampati, ma i figli degli scampati, i nipoti e i pronipoti. E questo perché? Perché la negazione della Turchia fino ad oggi non è altro che la continuazione del genocidio, e quindi noi armeni siamo stati continuamente genocidati negli ultimi cento anni. Purtroppo, molti eredi del governo dei Giovani turchi che ha fatto il Genocidio sono entrati nelle Turchia repubblicana di Kemal Atatürk. Non potevano negare se stessi; quattro sono diventati addirittura ministri all’epoca di Kemal. Però il kemalismo in questo momento sta un po’ tramontando: Erdoğan l’anno scorso ha fatto un tentativo per la prima volta di condoglianze verso gli armeni. E questo, secondo me, è già un segno positivo.
Cosa si può fare per vincere il negazionismo che grava ancora oggi sul Metz Yeghern?
Proprio ora sto ultimando un libro sui giusti ottomani, cioè le persone che all’epoca del genocidio hanno salvato gli armeni. E ne ho trovati molti, di questi salvatori. Perché, mi dirà, questo lavoro? I Giovani turchi e i loro eredi sono orgogliosi di quanto hanno fatto, perché attraverso l’eliminazione degli armeni e l’espulsione dei greci hanno costruito uno stato nazionale turco. Così, sono orgogliosi anche di quelle persone che hanno eliminato gli armeni, tant’è che Talaat Pascià e Enver hanno non so quante piazze e monumenti in Turchia dedicate a loro. Ora, facendo vedere ai turchi e al mondo intero che ci sono stati dei turchi che hanno salvato gli armeni, vorrei che questo orgoglio nazionale non fosse più riversato sui malvagi e i responsabili, ma su quelli che hanno salvato gli armeni nel genocidio. Inoltre i turchi, scoprendo quello che hanno fatto questi salvatori, vengono a conoscenza anche del genocidio. Il genocidio è conosciuto oggi dal 77% dei giovani in tutto il mondo e in Turchia dal 10%, che è già una cifra interessante per noi armeni. Perciò serve questa ricerca sui giusti ottomani; e serve anche agli armeni, perché gli armeni non devono pensare che tutti i turchi siano nemici. Queste due cose messe a confronto possono aprire una via per la riconciliazione.