Una moschea in centro a Baku, capitale dell'Azerbaijan - © liseykina/Shutterstock

In centro a Baku, capitale dell'Azerbaijan - © liseykina/Shutterstock

Le autorità dell’Azerbaijan hanno utilizzato e strumentalizzato l’appartenenza religiosa durante la seconda guerra del Nagorno Karabakh, ma questo non ha implicato, nel periodo successivo, maggiore libertà religiosa

15/11/2021 -  Rovshan Mammadli

(Pubblicato originariamente da OC Media )

Le comunità religiose dell’Azerbaijan hanno sostenuto la guerra, e non erano sole: il conflitto ha trovato ampio supporto tra tutti gli strati sociali del paese. La guerra ha unito cittadini, governo e militari di fronte al “nemico esterno”. 

Si stima che la popolazione dell’Azerbaijan sia per il 95% musulmana (maggioranza sciita con una larga minoranza sunnita), i praticanti attivi però  rappresentano solo una piccola parte. Per molti di quei credenti la guerra non ha riguardato solo il patriottismo e la difesa della patria ma ha goduto di una vera e propria “approvazione divina”. 

Questo è il motivo per cui il clero si è recato spesso presso le unità militari a predicare il “martirio” e la “santità della madrepatria”. 

Molti giovani credenti si sono offerti volontari per combattere ed adempiere ai loro “doveri divini”.  A dimostrarlo ci sono i filmati delle unità militari e dei campi di battaglia, con momenti di preghiera comunitaria durante i combattimenti e i soldati riuniti per ascoltare la marsiya.

Ovviamente, per la maggior parte della popolazione dell’Azerbaijan, non si trattava solo di una guerra santa, ma anche di un conflitto territoriale e politico; infatti molti filmati mostravano soldati che bevevano vino e mangiavano carne di maiale. Questo però non cambia il fatto che l’Islam fosse una fonte di motivazione per i soldati che ogni giorno affrontavano la possibilità reale di morire. 

Nonostante l’Azerbaijan sia un paese laico, l’identità islamica è diventata uno dei connotati principali della narrazione del governo durante le ostilità. Ad esempio, rituali islamici erano utilizzati simbolicamente per suggellare le vittorie militari e la riconquista delle città alle truppe armene. 

Durante la guerra tra gli azeri vi era grande speranza che la vittoria avrebbe portato un cambiamento radicale nel paese. Speravano che la vittoria avrebbe portato con sé un aumento dei redditi, la fine della corruzione, un governo attento nei confronti dei suoi cittadini, e via dicendo.

Secondo questa logica, occupando i territori circostanti il Nagorno Karabakh, l’Armenia aveva rotto l’armonia fondamentale per il corpo politico dell’Azerbaijan, causando una disarmonia che è diventata la radice dei mali sociali dell’Azerbaijan. Riguadagnando le terre prese dall’Armenia, l’armonia e la completezza sarebbero state restaurate e tutti i problemi sarebbero stati risolti. 

Mentre le speranze spesso utopiche per il futuro post-bellico dell’Azerbaijan erano molto varie, le aspettative di molti devoti musulmani erano abbastanza specifiche. Speravano che la fine del conflitto avrebbe portato a una normalizzazione dei rapporti tra stato e religione. 

Oggi, quasi un anno dopo lo scoppio della guerra, è chiaro che quest’ultima non sia stata la panacea che molti speravano e pensavano potesse essere. Mentre il presidente Ilham Aliyev rimane popolare, la tensioni sociali dovute alle aspettative disattese stanno crescendo. In questo contesto, sono le aspettative disattese dei devoti azeri, sebbene relativamente modeste, che possono divenire i semi di una futura crisi. 

Un inasprimento della legge

Nel mese di maggio 2021 l’Azerbaijan ha modificato la legge sulla religione imponendo nuove restrizioni alle comunità religiose. Secondo le nuove modifiche, le comunità senza un “centro religioso” non sono più autorizzate a concedere titoli o gradi religiosi al clero, a richiedere il permesso di avere come leader religiosi dei cittadini stranieri, a istituire scuole di educazione religiosa o ad organizzare visite dei propri fedeli a santuari e luoghi religiosi all’estero. 

Inoltre sono state imposte restrizioni più dure sugli eventi religiosi di massa all’aperto; cerimonie come preghiere comunitarie e commemorazioni possono svolgersi solo in luoghi di culto o santuari. 

In Azerbaijan vi sono stati problemi in termini di libertà di coscienza fin dall’indipendenza del paese. Ad esempio, scattare una foto per il passaporto o la carta d’identità indossando il velo è ancora un problema per le donne. Kamal Rovshan, studentessa 24enne, ha lanciato una campagna social all’inizio di quest’anno per accrescere la consapevolezza riguardo a questa problematica. 

“In paesi dove non c’è una maggioranza islamica, come Russia e Germania, le donne possono utilizzare una foto con il velo; in un paese come l’Azerbaijan invece, dove la maggioranza della popolazione è islamica, è imbarazzante che questo non sia permesso” spiega in un video caricato su Facebook. “Potrà essere una problematica minore, ma ci dà fastidio.”

Sebbene il Difensore dei Diritti Umani dell’Azerbaijan abbia sollevato la tematica in parlamento nel marzo 2021, nessun progresso è ancora stato fatto.

Precedenti tentativi delle autorità di affrontare la questione dell’Islam e della sua influenza nel paese comprendevano restrizioni all’utilizzo di simboli religiosi, un controllo fermo sulle procedure di registrazione di istituti religiosi e - negli ultimi anni - la chiusura di diverse moschee. 

La posizione rigorosa del governo è visibile nella regolazione del volume dell’adhan (la chiamata alla preghiera, ndr) e del controllo della diffusione di letteratura religiosa e nel divieto ad utilizzare il velo nelle scuole pubbliche. 

L’Ufficio per la libertà religiosa internazionale del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti ha condannato i recenti emendamenti alla Legge sulla religione descrivendoli come una “violazione degli standard internazionali”. L’Azerbaijan è uno dei dodici paesi nella loro “Special Watch List”.

Nel suo report più recente il Dipartimento rileva che: “Il governo continua a imprigionare personaggi legati all’attivismo religioso”. Un gran numero di prigionieri politici nel paese sono attivisti sciiti. 

Il discorso islamico ufficiale 

Il discorso ufficiale sottolinea la distinzione tra Islam “tradizionale” e “non tradizionale”. Il cosiddetto Islam “non tradizionale” è percepido come “distruttivo”, “politico” e “esportato da interessi esteri”. 

Al contrario, l’Islam “tradizionale” è definitico come “non politico”, “nato in Azerbaijan” e “non importato”. 

Sebbene la lotta al radicalismo sia portata avanti in molti paesi, qui c’è una grande differenza. Nella maggior parte dei paesi, il contro-radicalismo è perseguito incoraggiando inclusione e partecipazione sia sociale che politica, scongiurando così le rimostranze delle minoranze. Nell’approccio della autorità dell’Azerbaijan non vi è nulla di questo. 

L’Azerbaijan non persegue affatto una strategia “dei cuori e delle menti”, ma si basa solo su azioni repressive per combattere l’estremismo violento e la radicalizzazione ai sensi della legge “Sulla lotta al terrorismo”. 

Le autorità sostengono che misure così pesanti sono necessarie per impedire che il radicalismo straniero si diffonda nel paese. Le statistiche dimostrano che tali affermazioni sono esagerate. 

Secondo una ricerca del 2016 del Pew Research Centre, gli azeri sono i meno favorevoli alla sharia tra i cittadini degli stati a maggioranza islamica, con solo l’8% della popolazione che crede che essa dovrebbe sovrastare la legge civile. 

Ci sono poche prove che suggeriscono che l’idea di un governo teocratico sarebbe popolare in Azerbaijan, anche se alcuni intervistati potrebbero non essere stati completamente aperti nell’esprimere le loro opinioni. 

Inoltre, in tempi recenti, c’è stata un solo caso  dovuto all’Islam violento radicale, ossia l’attacco del 2008 alla Moschea di Abu Bakr a Baku, quando una granata lanciata durante l’ora della preghiera uccise due fedeli e ferì una dozzina di persone, tra cui l’imam. Si ritiene che l’attacco sia stato compiuto dal gruppo jihadista Forest Brothers, come conseguenza di un disaccordo ideologico tra due correnti salafite. 

Il malcontento di Nardaran e Ganja, d’altra parte, dovrebbe essere visto come una ricerca di giustizia sociale. 

In ogni caso, le restrizioni sopra menzionate sono in contrasto con la costituzione, la quale garantisce ai cittadini il diritto alla libertà di assemblea e di coscienza, la presunzione di innocenza e l’uguaglianza indipendentemente dalla confessione religiosa a cui si appartiene. Se ci sono degli estremisti che abusano di queste libertà, essi dovrebbero essere processati in modo equo e ritenuti responsabili. Quello che è sbagliato e inefficace è utilizzare misure contro l’intera comunità solo perché alcuni dei suoi membri potrebbero essere coinvolti in attività illegali.  

Solo un reale rispetto per la diversità di opinioni, credenze e stili di vita può portare l’Azerbaijan su una strada più democratica. Limitazioni sproporzionate della libertà religiosa e marginalizzazione delle voci dissenzienti può, al contrario, portare alla radicalizzazione e alla fine favorire l'auto avverarsi della profezia. Alla luce dell’esperienza di altri paesi a maggioranza islamica, l’attuale politica non è di buon auspicio per l’Azerbaijan.