Dopo la guerra per il Nagorno Karabakh il presidente dell'Azerbaijan Ilham Aliyev è più forte che mai. L'opposizione è stata quasi interamente assorbita nella nuova retorica associata alla vittoria bellica sul campo. Ma non tutto è perduto, il dissenso è ancora possibile
(Pubblicato originariamente da OC Media il 24 dicembre 2020)
Il governo di Ilham Aliyev non ha mai goduto di tanto sostegno di massa come ora. La Parata per la Vittoria (per la recente guerra vinta in Nagorno Karabakh, ndr) ne è stato il momento culminante ed è ormai evidente che, allo stato attuale, è impensabile qualsiasi opposizione alle autorità in carica.
Ma anche nel nuovo Azerbaijan vi sono deboli barlumi di speranza. Ilham Aliyev ha ereditato il potere in Azerbaijan dopo la morte del padre, Heydar, nel 2003. La transizione è stata garantita dalle brutali repressioni delle proteste di massa promosse dall'opposizione. Dopo essersi assicurato il governo, Ilham Aliyev ha proseguito senza affatto seguire un'ideologia politica coerente. Ha piuttosto proposto varie e disparate argomentazioni conservatrici, già ben presenti nel discorso pubblico in Azerbaijan, incolpando il governo del 1992-93 per la perdita del Nagorno-Karabakh e criticando i suoi oppositori contemporanei accusandoli di voler "tornare al caos".
Attraverso questa modalità élitaria-autoritaria di governare – caratterizzata da una netta distinzione tra le élite e i funzionari del governo da una parte, e la cosiddetta gente comune dall'altra - il partito al governo si è assicurato l'accettazione passiva da parte della maggioranza dei cittadini azerbaijani.
Come accade per molti altri regimi autoritari, anche il governo Aliyev non è interessato ad un sostegno popolare attivo. Piuttosto le autorità hanno cercato di promuovere il disimpegno pubblico nei processi politici (come le elezioni) e una delegittimazione generale della classe politica. Ed è proprio il conseguente scetticismo tra il pubblico nei confronti del potenziale dell'opposizione che ha aiutato il regime a rimanere al potere anche senza essere veramente popolare, mettendo a tacere i potenziali rivali politici con poca paura di contraccolpi sociali.
In questo ordine apparentemente stabile sono emerse crepe a partire dal 2010, in particolare quando il paese si è trovato ad affrontare un periodo turbolento dal punto di vista economico, con prezzi del petrolio sempre più bassi (un settore, quello petrolifero, cruciale per il paese). Sono emersi nuovi, anche se limitati, movimenti di protesta incentrati su questioni sociali, dalle proteste "Stop Soldier Deaths" nel 2013 all'ultima protesta di massa a Baku, avvenuta nell'ottobre 2019, e l'insoddisfazione nei confronti delle finte elezioni, sancita attraverso l'astensione, è arrivata ai massimi storici.
Ma qualunque potenziale di cambiamento avessero tali contraddizioni sociali è stato spazzato via dalla seconda guerra del Nagorno-Karabakh. Ora, nell'Azerbaijan del dopoguerra, la pubblica opinione ha una visione completamente nuova di Ilham Aliyev e del suo governo. In un recente incontro con i rappresentanti del Gruppo OSCE di Minsk, Aliyev aveva ragione sottolineando che "c'è una situazione assolutamente nuova nella regione".
Svolta populista
Ilham Aliyev, laureatosi in lingua russa presso l'università russa delle élites MGIMO, era criticato dai suoi oppositori per "essere lontano dal popolo dell'Azerbaijan" - ma tali accuse ora suonano quantomai vuote. Dall'inizio della guerra, la popolarità di Aliyev è aumentata raggiungendo vette astronomiche.
Nei suoi discorsi in tempo di guerra, Aliyev, parlando del nemico, ha usato in modo esteso metafore ed espressioni che sono ora diventate parte di un nuovo vernacolo in Azerbaijan. Frasi come "li inseguiamo come cani" o "allora cosa è successo, Pashinyan? Lo status è andato all'inferno, è fallito, è stato ridotto in mille pezzi”, hanno indotto uno stato di euforia popolare. Non era più percepito come l'uomo forte elitario, che sta lontano dal popolo turbolento, ma un leader popolare i cui discorsi rispecchiano il desiderio di lunga data di tornare in possesso del Nagorno-Karabakh e di vendetta sul nemico.
Mentre Aliyev condivideva il palco, durante la Parata della Vittoria, con il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, populista autoritario per eccellenza, la sua svolta populista è diventata fin troppo evidente.
Ora, con il desiderio dell'opinione pubblica per il Nagorno-Karabakh soddisfatto, il partito al governo è a caccia di nuovi obiettivi ideologici per mantenere il fervore popolare. L'affermazione di Aliyev che "i distretti di Zangezur, Goycha e Yerevan sono le nostre terre storiche", sono un esempio di questo nuovo modello d'azione, come anche la recitazione di Erdoğan di una poesia che rivendica l'Iran settentrionale segnala una possibile direzione simile.
Ma, paradossalmente, la svolta populista potrebbe garantire meno facilità di mantenere il potere rispetto al precedente approccio più passivo. Ad Aliyev manca ancora una linea ideologica coerente e ulteriori rivendicazioni territoriali vanno a cozzare contro la realtà costituita dai peacekeeper russi ad ovest e i soldati iraniani a sud.
Molto probabilmente assisteremo da parte del governo a una serie di svolte ideologiche anti-liberali mentre cercherà di mantenere questa filigrana di popolarità parallelamente ad un'attenzione della propria propaganda su qualcosa di più pratico: la ricostruzione dei territori conquistati di recente.
La fine dell'opposizione
Esattamente un anno fa, vari gruppi di attivisti stavano riflettendo sulle imminenti elezioni parlamentari nel paese: sulle strategie di mobilitazione e sulle possibili modalità di cooperazione all'interno dei gruppi e dei partiti di opposizione. Ora, un anno dopo, questi sogni non sono più validi e non è nemmeno immaginabile una strategia di opposizione che ottenga un riscontro tra la popolazione.
Tentando di adattarsi a questo cambiamento del terreno politico, il presidente del partito di opposizione ReAl Ilgar Mammadov si è adeguato al nuovo discorso dominante - cercando di essere più realista del re – limitandosi alle sole rivendicazioni territoriali irredentiste nei confronti dell'Armenia. Altri lo hanno seguito su questa linea, anche se in misura meno estrema, criticando la missione russa di mantenimento della pace perché ha impedito la completa conquista del Nagorno-Karabakh - con le recenti scaramucce che hanno solo intensificato questa critica.
Tale retorica non ha alcun potenziale di mobilitazione democratica e antiautoritaria, e questo fatto è evidente a tutti nell'opposizione. L'opposizione politica tradizionale, che non ha mai avuto una posizione ideologica forte contro le autorità al potere, si è trovata in un vicolo cieco.
Nell'Azerbaijan di prima della guerra avevano accusato Ilham Aliyev di esitare nel ricondurre il Nagorno-Karabakh e i distretti occupati circostanti al controllo azero. Ma ora quella guerra l'ha vinta. Lo accusavano di non essere in contatto con la gente comune: ora i suoi discorsi piacciono così tanto che ispirano addirittura pezzi rap.
E quando lo accusano di servire segretamente gli interessi russi, lui è al fianco del presidente turco Recep Tayyip Erdoğan alla Parata della Vittoria. Nella nuova realtà dell'Azerbaijan l'opposizione non ha nulla da offrire.
Sprazzi di futuro
Un anno fa, forse ingenuamente, suggerivo all'opposizione tradizionale di fare appello ai giovani progressisti e agli attivisti per costruire un'ampia coalizione anti-autoritaria che potesse avere un successo popolare. Nella nuova realtà, quei progressisti che durante la guerra si sono opposti alla violenza sono stati emarginati, molti di loro hanno perso quasi tutta la credibilità. Anche ora, a guerra finita, subiscono ancora feroci attacchi.
Un esempio è il video di un popolare blogger azero che vive in Canada, pubblicato l'11 dicembre scorso. Intitolato "La vittoria ed un paio di troie” attacca violentemente gli attivisti per la pace e le organizzazioni giornalistiche che forniscono loro piattaforme (tra cui OC Media): ha raggiunto oltre 100.000 visualizzazioni.
Chiamare "troie" i sostenitori della pace è diventato un luogo comune. AzLogos, un sito web che si definisce come “una piattaforma intellettuale degli azeri in tutto il mondo”', ed è gestito da uno scrittore che in passato ha scritto un romanzo sulla relazione di una coppia gay azerbaijana e armena emigrata in Svizzera, ha attaccato ripetutamente gli attivisti per la pace. In particolare in un articolo intitolato "Pacifisti – ovvero un altro nome per chiamare una troia".
In una situazione in cui la politica nel senso di antagonismo e contestazione non esiste più l'Azerbaijan si trova, almeno all'apparenza, su un suolo sterile.
Eppure, nonostante la vittoria in guerra, i vecchi problemi sociali rimangono. Negli ultimi giorni sono diventati virali alcuni video. In uno, un soldato di stanza nella neoconquistata Jabrail si lamenta delle tende sfondate dalla pioggia in cui sono costretti a vivere. In un altro video, nella neo-conquistata Gubadli, un soldato chiede aiuto: la sua famiglia è stata da poco sfrattata perché non più in grado di pagare l'affitto. Una foto - divenuta virale - mostra il miserabile pacchetto di aiuti che il ministero della Protezione sociale ha inviato alla famiglia di un soldato di 26 anni, rimasto ucciso nel conflitto.
Tutto questo e altro ha causato un'ondata di indignazione sui social media, il "quasi totalitarismo" in cui Aliyev spera, a quanto pare, è costruito su un terreno instabile. Il dissenso è ancora possibile.
Non che questi siano segnali di buon auspicio per una rivolta imminente, o che l'opinione pubblica azera si consideri un soggetto di cambiamento in sé e per sé. Ma sono comunque barlumi di speranza.
Nel 2013 le proteste "Stop Soldier Deaths" hanno portato molti azeri all'attivismo politico, me compreso. Quasi otto anni dopo, nel nuovo Azerbaijan del dopoguerra, è chiaro che dobbiamo ricominciare. Le stesse vecchie disuguaglianze sociali e lo stesso vecchio regime autoritario sono in questo dalla nostra parte, insieme a nuove rivendicazioni.
L'emergere di un nuovo movimento di protesta richiederà tempo. Per la nuova generazione di attivisti, questa storia di fallimenti che segna la nostra generazione - vincolata com'eravamo dalla questione del Nagorno-Karabakh e dalla mancanza di contenuto ideologico nelle nostre richieste - non deve essere dimenticata se deve esserci una speranza di vittoria. Aliyev è più forte di quanto lo sia mai stato, ma la sua forza non è totale e la storia prosegue la sua marcia costante, anche se lui vorrebbe congelarla.