Un'illustrazione di Minority Azerbaijan che raffigura Isa Shakhmarli, accompagnato dalle sue ultime parole

Un'illustrazione di Minority Azerbaijan che raffigura Isa Shakhmarli, accompagnato dalle sue ultime parole

Negli ultimi sei anni, la comunità lesbica, gay, bisessuale e trans dell'Azerbaijan ha dedicato la giornata del 22 gennaio al combattere l'odio omofobo. Una data scelta dopo che, proprio quel giorno, nel 2014, un noto attivista per i diritti queer si tolse la vita

05/03/2021 -  Hamida Giyasbayli

(Pubblicato originariamente da OC Media il 22 gennaio 2021)

Isa Shakhmarli era il presidente di Azad LGBT, un gruppo con sede a Baku che si proponeva attività di sensibilizzazione in merito alle questioni LGBT. È stato trovato morto il 22 gennaio 2014: si era impiccato con una bandiera arcobaleno.

Isa Shakhmarli, attivista apertamente gay, ha lasciato un ultimo messaggio su Facebook. “Ti lascio, Dio ti benedica. Questo paese e questo mondo non sono per me. Adesso sarò felice. Di' a mia madre che l'ho amata molto. Do la colpa a tutti voi per la mia morte. Questo mondo non è abbastanza colorato per i miei colori. Addio”.

In un'intervista del 2013, Isa Shakhmarli rivelò che la sua famiglia considerava la sua sessualità "una malattia".

“Vorrei che la nostra società non fosse di parte. Che prima di odiare si legga di omosessualità su Internet, si impari a conoscerla, voglio che le persone LGBT siano coraggiose ... Se si vuole, si può ottenere molto", dichiarò.

Amici e altri membri della comunità LGBT che provarono a partecipare al suo funerale vennero aggrediti dai parenti del defunto. Solo dopo che la famiglia se ne fu andata, il cimitero si riempì di attivisti. I simpatizzanti della comunità LGBT ricoprirono la sua tomba con la bandiera arcobaleno, che venne poi strappata durante la notte e sul luogo di sepoltura di Isa Shakhmarli vennero lasciate tracce visibili di profanazione. Nei giorni successivi gli amici di Isa organizzarono turni di guardia presso la tomba per evitare ulteriori atti di vandalismo.

La notizia del suicidio di Isa scosse le comunità queer di tutto il mondo che promossero varie iniziative e proteste. Vennero organizzate manifestazioni a Mersin, Ankara, Istanbul e Antep in Turchia contro la discriminazione e la violenza contro le persone LGBTI +.

Un altro anno di violenza e odio

Sono passati sei anni dalla morte di Isa Shakhmarli, ma la situazione in Azerbaijan rimane difficile per molte persone queer. Gli atti di violenza, inclusi stupri e molestie, non sono diminuiti. A volte, lo stato stesso, compresi gli agenti delle forze dell'ordine, sono la fonte di tale violenza. Vahid Aliyev, un attivista per i diritti LGBTI + del gruppo Nafas LGBTI con sede a Baku, afferma che non ci sono stati progressi sui diritti LGBTI + nel paese negli ultimi cinque anni. Dice che oltre alla legge del 2000 che depenalizza l'omosessualità, nessun'altra legge a protezione delle persone LGBTI + è stata adottata nel paese.

"Dai rapporti annuali dell'International Lesbian, Gay, Bisexual, Trans and Intersex Association Europe (ILGA) risulta che il nostro paese, per quanto riguarda i diritti LGBTI+ stia peggiorando di anno in anno”, afferma Vahid Aliyev a OC Media.

Secondo Vahid Aliyev sono vari i fattori che ne sono la causa, tra questi la "caccia" alle persone LBGTI + portata avanti dalla polizia nel 2017 e 2019, la mancanza di legislazione per proteggere le persone LGBTI + e la diffusa discriminazione sistemica nei loro confronti.

Secondo il rapporto 2019 dell'ILGA, almeno 15 tra gay e prostitute trans sono stati arrestati dalla polizia a Baku in quell'anno e molti sono stati sottoposti con la forza a test STI (test su malattie sessualmente trasmesse, ndr).

Alcuni sono stati multati per "teppismo", altri sono stati condannati a 10-30 giorni di detenzione amministrativa per aver disobbedito alla polizia. Nel febbraio 2019, la Corte europea dei diritti umani ha chiesto all'Azerbaijan di rendere conto dei raid del 2017, in cui vennero incarcerati oltre 80 gay e trans, molti dei quali vennero torturati e maltrattati.

"Anche solo guardando al 2020, possiamo vedere che i media, la polizia e la cosiddetta opposizione stanno esplodendo di odio", sottolinea Aliyev. "Fin dai primi mesi del 2020, ogni settimana, sono stati segnalati alla nostra organizzazione Nafas casi di omofobia e crimini causati dall'odio nei confronti della comunità LGBTI+". Un caso, ad esempio, è stato la riunione online del Consiglio nazionale delle forze democratiche (NCDF) che rappresenta l'opposizione, dove uno dei partecipanti ha dichiarato di dispiacersi moto del fatto che “Hitler non abbia sterminato i gay”.

Autore della frase Rafig Manafli che è stato costretto a dimettersi dal consiglio di coordinamento del Consiglio nazionale dopo che un video che documentava questa sua affermazione è stato pubblicato on-line.

L'associazione Nafas LGBTI ha documentato molti altri casi di violenza e discriminazione contro le persone LGBTI + nel 2020.

Nel gennaio 2020 una giovane donna lesbica che studiava in Russia è stata rapita dalla propria famiglia e riportata con forza in Azerbaijan. La ragazza è poi riuscita a scappare e rifugiarsi presso l'ambasciata russa.

A febbraio una coppia gay è stata aggredita e obbligata a girare dei video in cui si baciavano che sono poi stati poi diffusi contro la loro volontà sui social media. Attualmente, uno di loro ha trovato rifugio a Madrid.

Sia la pandemia che le restrizioni messe in atto per contrastarla hanno pesantemente influenzato la vita delle persone LGBTI + in Azerbaijan. Hanno sofferto in particolare le prostitute trans e gay.

Nafas ha fornito supporto materiale e morale a diverse donne durante il periodo di quarantena. Tuttavia, il sostegno finanziario non è sufficiente e in un momento di limitate opportunità di lavoro, alla vigilia dello scoppio del virus, molte prostitute trans non hanno avuto altra scelta che continuare a lavorare. Nafas ha documentato diversi attacchi motivati ​​dall'odio contro prostitute trans nei mesi di giugno e luglio 2020.

Un evento memorabile del 2020 è stata la marcia dell'8 marzo, Giornata internazionale della donna, alla quale hanno preso parte anche membri della comunità LGBTI + dell'Azerbaijan. Insieme agli organizzatori della marcia, si sono radunati cantando "Le strade libere sono nostre". Molti media hanno condannato la marcia, in uno è stata presentata come la "promozione dell'immoralità in nome del femminismo e la legittimazione dei diritti LGBT in Azerbaijan, prendendo di mira l'istituzione morale della società".

Un'eredità di cambiamento?

Vahid Aliyev di Nafas LGBTI afferma che, nonostante la situazione desolante, negli anni successivi alla morte di Shakhmarli sono emersi anche aspetti positivi. Tra questi il lancio della prima e unica piattaforma web in Azerbaijan di notizie sulla minoranza LGBTI e il fatto che si è riusciti a celebrare, ogni anno, la Giornata internazionale contro l'omofobia, la transfobia e la bifobia grazie al sostegno di varie ambasciate.

Diversi gruppi hanno anche organizzato festival incentrati sul genere e sulla sessualità, afferma Aliyev, aggiungendo che iniziative come Y-PEER, Nafas LGBTI e Salaam Cinema hanno aiutato la comunità durante la pandemia.

Lala Mahmudova, che ora dirige l'organizzazione a cui capo vi era Isa, Azad LGBT, riflettendo sull'eredità lasciata da quest'ultimo sottolinea che il suo suicidio ha fatto luce su molti dei problemi affrontati dalle persone LGBTI in Azerbaijan.

Aggiunge poi che anche iniziative come Azad, creata da Isa, e Nafas LGBTI hanno avuto un ruolo importante in questo. "Si è suicidato con la bandiera LGBTQIA +, il che significava che il suo suicidio era collegato a un grande messaggio", ha sottolineato Mahmudova a OC Media. "Le ultime parole che ha scritto prima della sua morte indicano che il suo suicidio è stato causato dall'omofobia".

Secondo Lala Mahmudova dal 22 gennaio 2014 in Azerbaijan è stata stabilita una presenza pubblica visibile per le persone LGBTI +, in modo che ci si possa guardare e dire: 'Sì, ci sono persone come me, la mia verità non merita di essere nascosta, non merito di essere umiliato e umiliata, io sono qui”.