Da Sarajevo il messaggio di un'Europa che non vuol'essere più dimezzata; di un'Europa capace di costituire una polarità in grado di contagiare altre possibili polarità e dunque di rappresentare un'alternativa all'attuale dis-ordine mondiale.
La retorica (e talvolta l'ipocrisia) che finora ha accompagnato il tema dell'allargamento ad est dell' Unione Europea sembra lasciare il campo ad un dibattito vero, quand'anche duro, dove le nebbie si diradano mettendo a fuoco i nodi del contendere. Ovvero una profonda divaricazione in seno agli stati dell'Europa occidentale attorno alla questione del rapporto con l'est europeo e l'area balcanica. Non si tratta soltanto di una diversa idea di Europa, ma anche del ruolo decisivo che l'Europa potrebbe giocare nello scenario internazionale. Appare infatti sempre più nitidamente come la questione "Europa" rappresenti il possibile punto di forza per riaprire una dialettica nella società delle nazioni, a partire dalla considerazione che l'unica vera e concreta alternativa alla logica imperiale nordamericana è rappresentato dal costituirsi di una multipolarità di aree plurinazionali, in dialogo fra loro nel ricostruire sedi certe ed autorevoli di un nuovo diritto internazionale.
Prijedor, marzo 1996. In un locale esclusivo della nomenclatura nazionalista serbo-bosniaca, i signori della guerra che lì si erano resi responsabili della ricomparsa nel cuore dell'Europa dei campi di concentramento e di uno fra i più spaventosi capitoli della "pulizia etnica", ragionano senza ritrosia sul futuro della loro piccola patria come paese "off shore", capace di attrarre capitali di ogni genere in virtù dell'assenza di regole.
Nelle lande desolate del dopoguerra bosniaco, nel cuore del richiamo nazionalistico alla fratellanza di sangue e di suolo, emerge la vera natura di una guerra dove l'elemento etnico rappresenta la grande bugia per nascondere una spregiudicata operazione di potere e di criminalità economica. L'ipermodernità di una modalità hard di abitare la globalizzazione, laddove il traffico di armi e di droga, le miniere trasformate in discariche di rifiuti tossici, il traffiking e i bordelli, i casinò, i grandi centri commerciali e le lavorazioni nocive, rappresentano i santuari dell'accumulazione finanziaria, i luoghi dove il movimento virtuale dei capitali scende a terra e si materializza...
Come ci spiega Paolo Rumiz (La Repubblica, 9 marzo 2002), c'è una criminale convergenza fra la destra europea che rema contro l'allargamento ad est dell'Unione e le leadership nazionalistiche che sono alla guida di una serie di paesi dell'Est europeo. Gli uni e gli altri sanno che la fine della deregolazione corrisponderebbe alla messa in discussione dell'humus fondamentale nel quale prospera una criminalità economica spesso intrecciata a vecchie e nuove nomenclature. Questa sporca alleanza non è per nulla estranea alla "guerra dei dieci anni", ne costituisce insieme lo scenario e il movente, riguarda da vicino le responsabilità dei principali paesi europei nella tragedia balcanica, ha molto a che vedere con "alleati" con i quali si fanno affari di ogni tipo e che poi diventano nemici giurati, sullo sfondo di una parodia di maschere che - fra schermaglie finte e massacri veri - si sorreggevano una con l'altra.
Ed il dopoguerra balcanico ne è fortemente segnato, perché se è vero che un cambio politico in molti di questi paesi c'è stato, è altrettanto vero che costoro hanno ereditato una situazione economica spaventosa, stati paralizzati dalla propria crisi fiscale, economie incontrollate e presidiate da mafie potenti e senza scrupoli, aiuti internazionali quasi sempre insostenibili, privatizzazioni gestite dai vecchi apparati di potere insediatisi alla testa di combinat che hanno qualche chance solo per effetto di produzioni fuori da qualsiasi norma e nella proprietà di grandi aree.
A Sarajevo il 6 aprile, nel decimo anniversario dell'inizio della guerra di Bosnia e per iniziativa dell'Osservatorio sui Balcani, dell'ICS e della Città di Sarajevo, accade un fatto importante.In occasione della presentazione dell' Appello "L'Europa oltre i confini" firmato da centinaia di intellettuali, sindaci e persone della società civile di qua e di là del mare Adriatico, il tema dell'integrazione rapida, certa, dal basso del sud est Europa nell'Unione Europea verrà posto in un convegno della società civile che ha l'ambizione di accompagnare dal basso questo processo, ma soprattutto con un evento che vedrà la partecipazione del Presidente della Commissione Europea Romano Prodi. Insomma l'idea che l'Europa possa rappresentare il luogo in cui contenere e diluire le grandi contraddizioni dell'area balcanica, facendole evolvere dentro un quadro di regole e di diritti a tutela delle persone, delle comunità e dei territori. Ma anche il messaggio di un'Europa non più dimezzata, capace di costituire una polarità in grado di contagiare altre possibili polarità e dunque di rappresentare un'alternativa all'attuale dis-ordine mondiale.