Perché è improbabile si arrivi ad un'Unione doganale dei Balcani occidentali, soprattutto per la Serbia che ne aveva auspicato la realizzazione. Un'analisi
(Pubblicato originariamente Pescanik.net il 6 giugno 2017)
Un’unione doganale implica l’esistenza di un regime doganale comune nei confronti del resto del mondo. I paesi dei Balcani occidentali, che attualmente fanno parte dell’area di libero scambio CEFTA (Central European Free Trade Agreement), avranno un regime commerciale uniforme nei confronti dell’Ue, caratterizzato dall’assenza di dazi doganali, quando ciascuno di essi giungerà alla completa attuazione del rispettivo Accordo di stabilizzazione e associazione. Ma rimarrà comunque il problema dell’assenza di una tariffa doganale comune sulle importazioni da altri paesi. Un problema che potrebbe essere risolto proprio attraverso l’istituzione di un’Unione doganale dei Balcani occidentali.
A quel punto la Serbia si troverebbe costretta a scegliere tra l’unione doganale e l’accordo di libero scambio con la Russia. Poi ci sono anche quei progetti di cooperazione con l’Unione economica euroasiatica. Come membro dell’Unione doganale dei Balcani occidentali, la Serbia potrebbe cooperare in ambito doganale con la Russia o con l’Unione euroasiatica solo in base ad un accordo di libero scambio stipulato tra queste ultime e la stessa Unione doganale. Le possibilità che tali accordi vengano conclusi sono decisamente scarse.
Dunque, la Serbia dovrà rinunciare all’accordo di libero scambio con la Russia una volta che sarà diventata membro a pieno titolo dell’Ue, ma anche entrando eventualmente a far parte dell’Unione doganale dei Balcani occidentali. L’istituzione di una tale unione probabilmente sarebbe una cosa positiva dal punto di vista economico e politico, ma prima di prendere seriamente in considerazione tale proposta sarebbe necessario sapere se essa effettivamente rispecchia la politica commerciale della Serbia. Se davvero si decidesse di avviare i negoziati per l’istituzione di un’unione doganale, emergerebbero anche altre questioni, ma quella riguardante i rapporti commerciali tra Serbia e Russia sarebbe la prima a dover essere risolta. Altrimenti non ci sarebbe nulla su cui negoziare.
Un mercato comune è un’altra cosa, anche se l’assenza di una politica doganale comune creerebbe dei problemi. Ad esempio, alcuni dei problemi che si verificano alle frontiere esterne dell’area CEFTA derivano dalla necessità di verificare l’origine delle merci importate. Perché l’accordo CEFTA prevede l’abolizione dei dazi doganali tra i paesi firmatari, ma non nei confronti del resto del mondo. E questo vale anche per le merci importate dall’Ue, perché alcuni dei paesi firmatari non hanno ancora rimosso tutte le barriere agli scambi con l’Ue. Poi vi sono anche i paesi terzi, nei confronti dei quali vengono applicati trattamenti tariffari differenziati, che possono influenzare l’andamento delle rotte commerciali. Tutto questo sarebbe semplificato con l’uniformazione delle procedure doganali. Comunque la maggior parte di questi problemi verranno meno una volta che tutti i paesi dei Balcani occidentali adotteranno un regime di esenzione totale dai dazi sulle importazioni dall’Ue, ovvero quando provvederanno all’attuazione della parte commerciale dei rispettivi Accordi di stabilizzazione e associazione.
Infine, per quanto riguarda le imposte, occorre tenere presente che la maggior parte dei ricavi deriva dalla detrazione dell’imposta sul valore aggiunto. L’armonizzazione dell’Iva non è necessaria, e probabilmente neanche auspicabile. La situazione è simile anche per quel che riguarda i contributi previdenziali e le imposte dirette sul reddito, che possono influire sull’attrattività degli investimenti esteri, ma il loro eventuale effetto negativo viene di solito controbilanciato da diversi strumenti per favorire la concorrenza. Tuttavia, un accordo sull’armonizzazione dei regimi previdenziali non sarebbe inutile, ma per questo non è necessaria l’istituzione di un’unione doganale né di un mercato unico.
Le cose stanno diversamente, invece, per quanto riguarda il tasso di cambio e la politica monetaria. A differenza di altri paesi che hanno tassi di cambio rigidamente fissi o utilizzano l’euro, la Serbia tende a ricorrere alla svalutazione monetaria, usando il tasso di cambio come strumento di politica economica. Tuttavia, l’armonizzazione delle politiche monetarie e del cambio è difficilmente realizzabile, a meno che non si introduca una moneta unica.
Quindi, l’istituzione di un’Unione doganale tra i paesi dei Balcani occidentali richiederebbe l’adozione di una politica doganale comune nei confronti del resto del mondo. A sfavore di tale obiettivo gioca il fatto che la Serbia non è membro dell’Organizzazione mondiale del commercio, l’adesione alla quale facilita il coordinamento degli scambi con il resto del mondo, ma soprattutto il fatto che essa è l’unico paese della regione ad aver stipulato un accordo di libero scambio con la Russia, che dovrebbe essere annullato al fine di creare l’Unione doganale nei Balcani occidentali.
La creazione di un mercato comune richiederebbe invece l’armonizzazione delle politiche commerciali, dove il problema non consiste tanto nell’armonizzare le strategie fiscali quanto quelle monetarie e valutarie.