In Francia si è nel pieno della campagna presidenziale. Il nostro partner Courrier des Balkans ha voluto conoscere le posizioni dei candidati su una serie di problematiche relative ai Balcani. Un'intervista a Ségolène Royal, cadidata del Partito socialista
Intervista realizzata da Le Courrier des Balkans
Traduzione a cura di Osservatorio sui Balcani
Che soluzione auspicate per la definizione dello status futuro del Kosovo? Ritenete che l'impegno politico, civile e militare della Francia debba essere mantenuto, ridefinito, ridotto, aumentato?
L'impegno della Francia, non solo in Kosovo, ma in tutta l'area balcanica, è di lunga data e profondo. A dieci anni dalla guerra che ha lacerato i paesi della ex Jugoslavia la regione si trova ad un punto di svolta. Le armi sono mute ma ciononostante non è stata ancora acquisita piena stabilità. L'incertezza in merito al Kosovo è uno delle cause di questa fragilità.
Ritengo che, parlando di Balcani, occorra partire dalla realtà tenendo però conto dei simboli. Nel caso del Kosovo la realtà è che è un territorio popolato per il 90% da albanesi che non vedono alcun futuro sotto la tutela di Belgrado, anche limitata, ma vi è anche un 10% di minoranze, in particolare quella serba, alle quali occorre garantire sicurezza. Ci troviamo davanti ad una società in un equilibrio molto instabile, con una disoccupazione drammatica, che ha bisogno di stabilità per svilupparsi. Il simbolo - è evidente - è il significato che il Kosovo rappresenta per la Serbia dal punto di vista della storia nazionale e religiosa.
Occorre quindi per il Kosovo una soluzione che tenga presente sia la realtà che i simboli. Ora questa soluzione deve essere trovata dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Una cosa è certa: né lo status quo, né lo stallo sono possibili. Non ci possiamo permettere la permanenza di un conflitto più o meno congelato nei Balcani. Qualunque sia la soluzione trovata la comunità internazionale dovrà rimanere fortemente impegnata in Kosovo e ritengo che la Francia dovrà continuare a fare la sua parte, che è considerevole visto che siamo i primi nel contribuire alla KFOR e presto alla missione europea.
Siete favorevole alla soppressione del regime dei visti per i residenti nei Balcani occidentali e a garantire il loro libero accesso allo spazio Schengen? Nel caso contrario, ritenete che l'attuale sistema dei visti debba essere rivisto? Seguendo che criteri?
Tutto ciò che può contribuire ad un avvicinamento tra i popoli dei Balcani occidentali e il resto d'Europa è naturalmente positivo. Non ci sono dubbi sul fatto che quando un giovane della Serbia o della Bosnia Erzegovina si trova a non poter andare nei paesi europei se non con il visto - cosa che potevano invece fare liberamente i suoi genitori quando esisteva la Jugoslavia - ha ovviamente l'impressione di una regressione. Ma quanto accaduto si può spiegare anche con il conflitto jugoslavo e le sue conseguenze. Attualmente vi è un obiettivo che nessuno contesta: rendere più tangibile il riavvicinamento tra l'Unione europea e i Balcani. Un processo che faciliti l'ottenimento dei visti è già stato avviato con alcuni paesi della regione. Ricordo che questo processo richiede però una posizione comune di tutti i paesi dell'Unione, su una proposta della Commissione, e dipende anche dall'evoluzione in termini di democratizzazione e lotta alla criminalità in seno ai paesi dei Balcani.
Sosterrete l'integrazione europea dei paesi dei Balcani occidentali? Secondo quali modalità, quali criteri, che calendario?
Come sapete questi paesi hanno una prospettiva europea aperta sin dal summit di Zagabria nel 2000, avvenuto sotto la presidenza francese dell'Unione europea, e confermata poi a Salonicco nel 2003 e molte volte successivamente. Da parte mia, sostengo questa prospettiva.
E' un processo necessariamente lungo, anche solo per ragioni tecniche: tutte le norme dell'Unione, i cosiddetti "acquis communautaire" debbono essere implementate da questi paesi. Inoltre vi sono criteri in seno alla stessa Unione, volti a garantire di essere pronti, da parte nostra, ad accogliere questi paesi nelle condizioni migliori. Tutto questo naturalmente verrà realizzato, ciascuno al proprio ritmo: la Croazia e la Macedonia sono già paesi candidati. La Francia sarà molto attenta all'evoluzione della situazione nella regione.
Ritenete che la Francia abbia un ruolo specifico da giocare nella ricostruzione dei paesi della ex Jugoslavia? Quali gli ambiti che dovranno essere privilegiati nella cooperazione con i paesi dell'Europa centrale e orientale?
La Francia deve continuare ad investire nei paesi dei Balcani. Come ho già sottolineato, lo fa già ampiamente, bilateralmente e attraverso l'Unione europea. Siamo ora in una fase di stabilizzazione di questi paesi e la Francia ha un ruolo da giocare rispetto ad ognuno di questi paesi per aiutarli nei loro progressi verso l'Europa.
Ritengo che la nostra azione può essere ben veicolata dalla cooperazione decentrata. I gemellaggi tra città e paesi della Francia e dei Balcani, gli scambi tra le scuole, i progetti concreti portati avanti da una città, una regione, permettono effettivamente di conoscersi meglio, di creare legami più forti di qualsiasi trattato internazionale, di rendersi indispensabili l'uno all'altro.