Nei mesi scorsi il gigante energetico russo Gazprom ha intrattenuto serrati negoziati coi paesi del sud est europeo. Ieri è arrivata la Final Investment Decision. L’obiettivo è realizzare velocemente il gasdotto South Stream
L’inizio dei lavori era previsto, originariamente, per la fine del 2013. Vladimir Putin, lo scorso dicembre, annunciò di volerlo anticipare di un anno. A quanto pare l’allora primo ministro russo, nel frattempo tornato alla presidenza, faceva sul serio. Nel corso degli ultimi mesi, infatti, sia lui che i notabili di Gazprom, braccio energetico del Cremlino, hanno intrattenuto con i paesi del sudest europeo serrati negoziati, volti a mettere a punto la strategia definitiva per la realizzazione di South Stream. Si tratta della maxi pipeline che correndo sul fondale del Mar Nero e poi risalendo i Balcani (Bulgaria-Serbia-Ungheria-Slovenia) approderà a Tarvisio, portando direttamente sui mercati dell’Europa occidentale il gas russo. A partire dal 2015, se la tabella di marcia dei lavori verrà pienamente rispettata. Nel 2019, invece, arriverà la messa a pieno regime.
Il progetto, che nella sua tratta offshore nel Mar Nero è compartecipato da Eni (20%), Électricité de France (15%) e dai tedeschi di Wintershall (15%), rientra nella diversificazione delle rotte energetiche varate dal Cremlino per bypassare l’Ucraina. L’ex repubblica sovietica, tradizionale cinghia di trasmissione tra il produttore russo e i consumatori europei, rappresenta agli occhi di Mosca un doppio ostacolo: fa lievitare le tariffe con i dazi e non offre la piena sicurezza degli approvvigionamenti ai clienti, complici i periodici attriti politico-economici tra Russia e Ucraina. Le cosiddette “guerre del gas”, volendo stare al gergo mediatico.
La sorpresa finale
Blindate le intese con i paesi dell’arco balcanico, è arrivata anche la Final Investment Decision. Ieri. Non senza sorprese, però. Il ramo meridionale di South Stream, che dalla Bulgaria avrebbe dovuto proseguire in Grecia e da qui, correndo sui fondali ionico-adriatici, avrebbe dovuto portare l’oro azzurro in Puglia, presumibilmente a Brindisi, non si farà più. Economicamente non è conveniente, hanno fatto sapere da Mosca. Dipende dal calo dei consumi, dettato dalla crisi, che si registra tanto nel paese ellenico, quanto in Italia. A scendere, nel secondo caso, è stata la domanda proveniente dai comparti produttivi, a fronte di una certa stabilità che si riscontra ancora sul fronte dei consumi privati.
Nelle scorse settimane era emerso qualche dubbio, in merito all’avvio dei lavori del secondo ramo di South Stream. Lo stesso amministratore delegato dell’Eni, Paolo Scaroni, «aveva fatto capire che sarebbe stato meglio iniziare con la tratta settentrionale di South Stream, congelando momentaneamente quella bulgaro-greco-italiana», riferisce Evgeny Utkin, giornalista russo specializzato in energia.
Perplessità erano affiorate anche sulla capacità della Grecia, alle prese con una situazione finanziaria sempre più traballante, di implementare il progetto. Tuttavia la cancellazione della variante meridionale del gasdotto non era stata messa in conto. Stupisce.
L’incognita bulgara
Ma vediamo all’altra tratta – quella confermata – e agli accordi contratti nei mesi scorsi tra la Russia e i paesi del sudest europeo. A dicembre 2011 sono stati firmati i protocolli finali con la Turchia. Ankara ha concesso al consorzio South Stream il diritto a dislocare tubi sul proprio territorio. Poi sono giunti gli accordi definitivi con Belgrado, a fine ottobre. Gli analisti indicano nell’accordo tra Gazprom e la controparte serba, Srbijagas, dei pro e dei contro. Il vantaggio è che grazie al passaggio di South Stream la Serbia dovrebbe ottenere, nei prossimi anni, 1.9 miliardi di dollari in investimenti diretti dall’estero. Lo svantaggio è l’aumento della dipendenza energetica da Mosca, già notevole. L’inizio dei lavori di costruzione del segmento serbo del gasdotto è imminente. Questione di settimane.
Più complicato il negoziato con la Bulgaria, il cui governo di centrodestra, che ha raffreddato parzialmente i rapporti con Mosca rispetto alla precedente giunta di centrosinistra, ha puntato un po’ i piedi.
In primavera il primo ministro Boyko Borisov ha deciso di cancellare la costruzione della centrale nucleare di Belene (sul tema si terrà un referendum a gennaio), portando la compagnia russa Atomstroyexport, che l’avrebbe dovuta realizzare, a chiedere risarcimento da un miliardo di euro. Un onere che potrebbe rallentare la ripresa economica a Sofia. È così che Borisov ha minacciato, come contromisura, di stracciare gli accordi su South Stream.
La sua, tuttavia, è stata soltanto una mossa tattica, finalizzata a tenere basse le richieste di Atomstroyexport e a ottenere qualche sconto sull’import di gas russo, proprio in cambio della conferma a South Stream. Copione rispettato. Il governo bulgaro ha appena annunciato la partecipazione al progetto, i cui costi verranno sostenuti tramite prestiti russi. Mosca, come contropartita, applicherà degli sconti retroattivi sulle forniture di gas.
Suspense croata
Sfuma, invece, la partecipazione croata a South Stream. Zagabria avrebbe dovuto sostituire Budapest, che a causa di alcune questioni burocratico-economiche ha rischiato negli ultimi mesi di essere tagliata fuori dal tracciato. Tant’è che Gazprom aveva avviato trattative proprio con la Croazia, arrivando a esercitare forti pressioni, conscia che il potere negoziale croato, con la crisi che morde sempre di più, non è affatto elevato. Poi il colpo di scena, il recente annuncio della firma dell’intesa con l’Ungheria e quello, ancora più recente, del percorso definitivo, che si snoderà anche in Slovenia, sulla base di accordi sanciti lo scorso settembre.
South Stream vs Nabucco
La Croazia, tuttavia, potrebbe essere in qualche modo ripescata, con la stipula di intese simili a quelli che il gigante russo ha vergato con la Macedonia (luglio 2012) e la Republika Srpska (settembre). Soggetti, questi, che non sono inclusi nel percorso ufficiale dell’infrastruttura, ma che potranno beneficiare di deviazioni che ne permettano l’approvvigionamento. Anche il Montenegro starebbe tentando di saltare sul carro.
Portare tutti dentro, a prescindere dal tracciato ufficiale di South Stream: una simile tattica serve anche, forse soprattutto, a limitare la concorrenza del Nabucco, gasdotto sostenuto da Bruxelles e da Washington con la stessa funzione e grosso modo il medesimo percorso di quello promosso dai russi. La differenza è che la materia prima importata sarà estratta dai giacimenti dell’Asia centrale, così da alleggerire la dipendenza energetica che il vecchio continente sconta nei confronti di Mosca. L’accelerazione impressa dai russi su South Stream ha in effetti – così almeno pare – raffreddato ulteriormente gli entusiasmi sulla pipeline sponsorizzata dall’Ue.