Quale futuro per i "protettorati europei" di Bosnia e Kossovo? Ne discutono Gerard Knaus dell'ESI e Nicholas Whyte dell'ICG. Uno scambio epistolare tratto da IWPR. Traduzione a cura dell'Osservatorio sui Balcani.

07/07/2004 -  Anonymous User

I leader della NATO si sono incontrati ad Istanbul quest'anno ed hanno formalizzato la fine della missione in Bosnia Erzegovina che ha avuto il compito di garantire la sicurezza del Paese fin dalla firma degli Accordi di Dayton nel 1995.
Se la NATO manterrà una presenza di basso profilo, mirata all'arresto dei criminali di guerra ancora latitanti ed ad appoggiare il governo bosniaco nella riforma della Difesa, il suo ruolo di garante della sicurezza verrà assunto da un contingente UE: sarà la più grande ed ambiziosa missione militare avviata sino ad ora dall'Unione europea.
Il cambiamento coincide con un periodo di dibattito e di riflessione sul ruolo giocato dagli amministratori internazionali sia in Kossovo che in Bosnia. Alcuni ritengono che quanto è stato raggiunto è perlomeno criticabile e che la presenza internazionale debba finire o quanto meno essere radicalmente ripensata. Altri invece sono dell'opinione che si sia fatto molto nonostante le difficoltà e che sia troppo presto per andarsene.
IWPR, per promuovere ulteriormente il dibattito, pubblica uno scambio di missive sull'argomento tra Gerald Knaus, direttore dell'European Stability Iniziative (ESI) di Berlino e Nicholas Whyte, dell'International Crisis Group di Bruxelles.

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Caro Nicholas,

cinque anni dopo la fine della campagna militare della NATO in Kossovo e quasi nove anni dopo che l'Alleanza è intervenuta in Bosnia Erzegovina la presenza militare internazionale nell'ex-Jugoslavia è stata ridotta dalle circa 70.000 truppe del 1999 a poco più di 25.000.

Questo è un segnale che le minacce alla sicurezza sono diminuite e che si è fatto un certo progresso. Ciò nonostante la presenza internazionale civile non corrisponde più alle necessità della regione, e richiede una ristrutturazione radicale.

Sono sicuro che entrambi concordiamo sul fatto che il mondo debba avere un proprio ruolo nell'aiutare gli Stati più deboli dei Balcani - Albania, Bosnia, Kossovo, Serbia e Montenegro ed ex Repubblica yugoslava di Macedonia - a superare i loro problemi. Nessuno di noi pensa che la regione debba essere lasciata a se stessa. Suppongo inoltre che entrambi desideriamo che soggetti terzi giochino un ruolo più attivo nell'indirizzare l'unica questione di status che ancora rimane irrisolta, quella del Kossovo e, connessa a quest'ultima, quella della Serbia e Montenegro.

Inoltre entrambi crediamo che la pre-condizione per ogni progresso è il contenimento di qualsiasi grave minaccia alla sicurezza. Ogni strategia internazionale deve essere volta anche ad assicurare i cittadini della regione che il mondo esterno - sia lo faccia sotto forma di una presenza NATO o sotto forma di una combinazione tra NATO ed Unione europea - non tollererà più la guerra. Contemporaneamente la misura del successo dell'intervento internazionale dovrebbe essere il progresso di questi Paesi ed entità nel cammino verso l'integrazione europea, cioè la capacità di raggiungere le condizioni per avviare i negoziati di pre-annessione e, prima o poi, diventare stati membri dell'UE.

Il punto sul quale sospetto che siamo in disaccordo è la valutazione delle capacità delle istituzioni internazionali di far fronte alle sfide della regione. Sono convinto che settori della presenza internazionale siano divenuti inefficienti e, in alcuni casi, vadano controcorrente rispetto agli obiettivi di europeizzazione e di sviluppo economico.

Innanzitutto sia in Bosnia che in Kossovo i vasti poteri d'emergenza delle organizzazioni internazionali costituiscono un vero e proprio ostacolo alla democratizzazione. Sino a quando l'Alto Rappresentante in Bosnia potrà ricorrere ai cosiddetti "Bonn powers" che gli permettono di contraddire le decisioni delle istituzioni locali, imporre normative, dimettere politici e funzionari bosniaci, il Paese è impossibilitato a divenire una piena democrazia. Essendo l'emergenza in Bosnia Erzegovina conclusa, l'Alto Rappresentante dovrebbe, entro la fine dell'anno, far posto ad un inviato speciale dell'Unione europea con alcuni poteri peculiari. Allo stesso modo in Kossovo la natura intrusiva della missione ONU rischia di minare lo sviluppo di una democrazia multietnica.

In secondo luogo la maggior parte della presenza internazionale nella regione distorce il processo di crescita delle istituzioni, necessario affinché l'operato del governo diventi più efficace. Sia in Bosnia che in Kossovo la comunità internazionale marginalizza le istituzioni locali assumendo la manodopera giovane e più qualificata a stipendi che né il settore pubblico né quello privato riescono a permettersi.

In tutta la regione la maggior parte degli sforzi di "rafforzamento istituzionale" non sono che progetti ad hoc, malpensanti ed inefficienti. Nei protettorati la strategia che guida l'azione politica cambia ogni due anni ( a volte più spesso ancora) perché le figura chiave nelle missioni internazionali cambiano. Ciò che manca è la continuità.

Ho due suggerimenti concreti. Innanzitutto bisogna far si che in Bosnia non vi sia più un protettorato e che quello esistente in Kossovo diminuisca la sua influenza. La Bosnia non dovrebbe essere trattata in modo differente dalla Macedonia dove un protettorato non è mai stato costituito.

In Kossovo i poteri riservati alla comunità internazionale dovrebbero essere solo nominali, e dovrebbero riflettere le attuali dinamiche politiche. Dopo le imminenti elezioni politiche le Nazioni Unite dovrebbero astenersi dall'intervenire nella gestione delle questioni economiche e concentrarsi ad esempio sulla costituzione di un Ministero degli interni multietnico. Ci si dovrebbe impegnare anche a raggiungere due standard chiave: il ritorno di tutte le proprietà agli sfollati e la garanzia di sicurezza per tutti i cittadini. Le Nazioni Unite - e la KFOR - devono assicurare di essere pronte a reagire a qualsiasi scoppio di violenza come quello avvenuto in marzo.

In secondo luogo andrebbero sostituiti gli attuali accordi internazionali con un più chiaro - e guidato dall'UE - processo di pre-annessione. Questo implicherebbe una maggior presenza della Commissione europea in ogni Stato ed una maggiore attenzione sulle questioni di coesione economica e sociale e sugli strumenti finanziari di pre-annessione per incidere sulle cause di un sottosviluppo oramai strutturato e sulla capacità nazionale di integrazione (come ad esempio il Programma Speciale di Annessione per l'Agricoltura o lo strumento delle Politiche Strutturali della pre-annessione).

Dal 2007 ad ogni Stato del sudest Europa che sottoscrive un accordo di stabilizzazione ed associazione deve essere dato pieno accesso ai programmi di pre-annessione. I livelli di assistenza ed i fondi dovrebbero essere sufficienti a garantire che non aumenti la distanza tra gli attuali Paesi candidati, come ad esempio la Bulgaria e la Romania, ed i futuri Paesi candidati.

La stabilità durevole della regione arriverà con la sua integrazione nell'Unione europea. La stabilità nel breve periodo arriverà se le élite locali si renderanno conto che l'integrazione è possibile.

Cordialmente,

Gerald

 


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Caro Gerald,


le mie opinioni non differiscono dalle tue per quanto riguarda l'obiettivo di medio-lungo periodo della comunità internazionale nei Balcani: la piena integrazione nelle strutture euro-atlantiche.

Ciò nonostante ritengo tu abbia sottostimato l'importanza delle minacce che ancora vi sono alla sicurezza nei Balcani. In Bosnia, sino a quando i più famosi criminali di guerra saranno ancora latitanti, mi sembra prematuro affermare che "l'emergenza sia terminata". Non è una questione meramente tecnica. E' di importanza fondamentale non solo prevenire futuri scoppi di ostilità ma anche assicurarsi che la Bosnia come Stato non venga messa in dubbio, e che coloro i quali si sono macchiati delle peggiori atrocità durante la guerra vengano puniti.

L'emergenza è certamente in una fase diversa, ma sino a quando diverse strutture proteggono queste persone non penso sia terminata.

Concordo sul fatto che altre cose stiano andando, in Bosnia, nella giusta direzione. L'istituzione della Difesa, dell'Intelligence, della polizia e della tassazione indiretta a livello nazionale sono essenziali prima che la comunità internazionale riduca la propria presenza. Questi auspicabili sviluppi ora sembrano imminenti, ma è dubbio che si sarebbe potuto raggiungerli senza l'intervento internazionale "muscolare" che abbiamo avuto sin dalla firma degli Accordi di Dayton.

Hai affermato che la presenza di un Alto Rappresentante con "Bonn powers" è stato un freno alla ricostruzione. Io ritengo invece che è stato essenziale per portarci dove siamo adesso. Ritieni infatti che un ritiro internazionale nel 1997 avrebbe avuto come conseguenza, nel 2004, un Paese pacificato, democratico e prospero?

Sono invece più simpatetico con le tue osservazioni sul Kossovo dove i poteri economici sono stati assunti dalla comunità internazionale fin dall'inizio e dovrebbero essere trasferiti il prima possibile agli attori locali. Nessuno deve sottostimare il potenziale esplosivo della bomba demografica ad orologeria che rappresentano i due milioni di kossovari, metà dei quali sotto i vent'anni, in una situazione dove la disoccupazione è endemica e la valvola di sfogo tradizionale rappresentata dall'emigrazione è bloccata dalla frontiera di Schengen. E' paradossale che insistiamo sul fatto che i popoli dei Balcani dovrebbero assumere valori europei e poi impediamo loro di venire in Europa per imparare quei valori.

Sfortunatamente per la maggior parte dei politici kossovari il dibattito su queste questioni economiche sono poco più che vetrine mentre gli sta molto più a cuore la questione scottante dei rapporti con Belgrado, e se ritengono che gli elettori la pensano diversamente certo hanno fallito nel dimostrarlo durante le campagne elettorali. Parlare di diminuire la presenza internazionale in Kossovo senza essere coscienti che il motivo per il quale si è presenti - quello sulla sua sovranità - è ancora irrisolto è come ignorare un elefante in una sala da pranzo.

E' auspicabile che in tutti i modi si trasferiscano i poteri ai rappresentanti locali liberamente eletti. Ma il vero test per la credibilità della missione ONU in Kossovo, l'UNMIK, sarà la sua capacità di gestire, nel prossimo anno, il cammino vero la definizione dello status. Un altro impegnativo test nel breve periodo sarà essere in grado di garantire la sicurezza.

L'esempio macedone è calzante per quanto riguarda la necessità di intervento internazionale di un certo peso. Senza il coinvolgimento diretto dei responsabili dell'Unione europea e della NATO la situazione sarebbe degenerata in un altro conflitto su larga scala. E la presenza continuativa del Rappresentante speciale UE a Skopje è stato un elemento di stabilizzazione importante a partire dalla crisi del 2001.

Questo sottolinea l'importanza che avrebbe una presenza internazionale più visibile a Belgrado, ancora coinvolta nel caos politico delle elezioni presidenziali (già tenutesi n.d.t) alle quali è probabile segua un rimpasto di governo. Rimangono inoltre salienti in Serbia le questioni legate alla responsabilità per i crimini di guerra ed al controllo democratico dei servizi di sicurezza.

L'aver avuto un Alto Rappresentante ed un Rappresentante Speciale (qualcosa in più di una "più forte presenza della Commissione" come proponi) rispettivamente in Bosnia ed in Macedonia ha reso possibile che la comunità internazionale fosse in grado di parlare all'unisono e che i rappresentanti locali non potessero andare a fare "shopping" presso le varie anime della comunità internazionale. A mio avviso è anche importante porsi gli obiettivi politici giusti. Sino a quando la comunità internazionale - e l'Unione europea in particolare - rimane impantanata in questioni futili, come ad esempio implementare l'unione tra Serbia e Montenegro, i progressi nei due Paesi saranno con tutta probabilità lenti.

Le dinamiche in due dei Paesi che non hanno grandi problemi per quanto riguarda la sicurezza - l'Albania e la Croazia - sono istruttive in merito ai limiti dell'intervento esterno. In Croazia è stata presa una chiara decisione da parte di tutte le forze politiche per andare avanti con le riforme. L'Albania, d'altro canto, rimane bloccata dalla scarsa volontà dei propri leader di impegnarsi in tal senso.

In entrambi i casi però abbiamo assistito al rifiuto del gioco ottocentesco dell'allargamento territoriale a favore di quello più in voga nel 21mo secolo dell'integrazione internazionale. Questa è una decisione politica, non economica. Ma è una decisione presa dalle élites del Paese e non dai rappresentanti dell'UE o della comunità internazionale. Si può portare un cavallo ad abbeverare ma è impossibile obbligarlo a bere. In Paesi i cui governi non sono pronti ad andare avanti l'Unione europea non deve essere obbligata a dare più carote piuttosto che più bastoni.

Cordialmente,

Nicholas

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Caro Nicholas,

Prima di tutto lasciami rispondere alla tua domanda. Nel 1997 c'era bisogno di un ruolo internazionale energico in Bosnia Erzegovina ed il ritiro sarebbe stato un disastro. La Bosnia nel 2004 è però uno Stato molto differente. Nel 1997 le persone che erano state accusate di aver compiuto crimini di guerra controllavano il Ministero degli interni, la Presidenza e l'esercito. Nel 1997 nessun bosniaco mussulmano aveva fatto ritorno nella Republika Srpska.

In questo periodo si sta concludendo il processo che ha portato alla restituzione di 220.000 proprietà ai legittimi proprietari. Si stanno ricostruendo le moschee nella Republika Srpska. I criminali di guerra sono all'Aja o latitanti. Ecco perché l'ampio potere internazionale assunto nel 1997 non è più né necessario né appropriato.

Hai ragione ad insistere sulla necessità di consegnare alla giustizia Karadzic e Mladic, ma questo difficilmente giustifica la presenza di un'istituzione internazionale permanente in grado di dirigere i politici eletti dai cittadini bosniaci. La risposta più appropriata alla tragedia degli anni Novanta è uno Stato democratico e multietnico, che si accinge ad integrarsi con l'Unione Europea. Questo non è un obiettivo strategico di lungo periodo, come lo definisci tu: mi piacerebbe vedere l'attuale governo bosniaco seguire le orme di Ankara, Skopje e Zagreb e presentare una domanda ufficiale all'Unione Europea prima della fine del 2006.

Ti faccio una domanda schietta: perché il meccanismo che elogi per la Macedonia - un rappresentante speciale dell'UE, una missione di polizia internazionale che ponga l'attenzione sul capacity building, più una realistica prospettiva europea per la completa sovranità dello Stato- non è adatto alla Bosnia?

Negli ultimi anni Ankara e Skopje hanno raggiunto straordinari progressi e portato avanti dolorose e sensibili riforme come esito, e non a dispetto, della democrazia. Anche la Bosnia ha ottenuto dei progressi ma, fino a quando esisteranno i "Bonn powers", ai suoi cittadini non ne verrà riconosciuto il merito. Molti osservatori discuteranno sempre - come fai tu- che nessun progresso è possibile senza un intervento internazionale 'muscolare'. Ma si potrebbe discuterne per il prossimo decennio.

Non credo che noi discordiamo molto per quanto riguarda il ruolo internazionale in Kossovo. Ti chiedo sinceramente: supporteresti la creazione di un Ministero degli interni multietnico in Kossovo e faresti della protezione delle minoranze lo standard chiave che tutte le istituzioni del Kossovo - ma non solo, anche l'UNMIK stessa - debbono raggiungere? Dare alle istituzioni locali la responsabilità di provvedere alla sicurezza delle minoranze ha sempre implicato un atto di fede, ma ha funzionato in Bosnia, in Macedonia e nella valle di Presevo nel sud della Serbia. Rendere le istituzioni responsabili nei confronti delle persone a cui forniscono i propri servizi garantisce migliori risultati.

Dubito che la maggior parte dei politici kossovari considererebbe le questioni economiche come "mere vetrine". Comunque, fino a quando gli esperti legali delle Nazioni Unite affermano che, per esempio, dare i permessi agli investitori per estrarre i minerali può essere in contrasto con il mandato delle Nazioni Unite in Kossovo , ci sarà un collegamento tra il suo status e la sua prosperità. Quest'autunno ci si potrà trovare nella situazione assurda in cui il "Kuwait della lignite" non può estrarre legalmente il proprio carbone per rifornire le proprie centrali elettriche. Ecco il motivo per cui l'UNMIK deve cambiare il modo in cui interpreta il suo ruolo di amministratore e deve farlo da subito. È, dopo tutto, amministratore nell'interesse degli albanesi, dei serbi e degli altri che vivono in Kosovo, dove la piaga economica cresce disperatamente di giorno in giorno.

Cordialmente,

Gerald

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Caro Gerald,

l'idea che l'ufficio dell'Alto Rappresentante in Bosnia Erzegovina, OHR, sia adesso o possa mai diventare "un'istituzione internazionale permanente" è uno spaventapasseri. Nessuno afferma che dovrebbe durare oltre il suo mandato, e non lo fa certamente colui che ne è attualmente a capo. In quasi tutti i suoi discorsi ha sottolineato chiaramente che il suo compito è destinato ad esaurirsi.

Parlando al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite dopo le elezioni del 2002, egli ha affermato, "Il mio approccio sarà quello di distinguere in maniera ferma tra le cose che sono veramente essenziali e quelle che sono semplicemente desiderabili. L'OHR, con il potere esecutivo che esercita, dovrebbe concentrare la sua attenzione sulle prime. Ci sono molte altre Agenzie internazionali che possono intraprendere i compiti di sviluppo di lungo termine una volta che ce ne saremo andati".

La domanda non è se l'OHR dovrebbe trasformarsi in qualcosa simile alla presenza internazionale a Skopje, ma quando deve farlo. Sembra che tu pensi che il momento ideale sarebbe stato tra il 1997 e il 2004, sebbene non dici in quale data o perché. Credo invece che non accadrà quest'anno ma dovrebbe avvenire entro un anno o due.

Le situazioni sono differenti. L'accordo di Ohrid dell'agosto 2001, che ha terminato il conflitto in Macedonia, ha riconfermato le strutture statali e provveduto a creare dei meccanismi per radicare con maggiori garanzie di sicurezza le minoranze albanesi nello Stato. I leader dell'insurrezione del 2001 oggi proclamano il loro impegno per integrare la propria gente con il resto dello Stato.

Questo non è successo dopo il conflitto bosniaco. Gli Accordi di Dayton hanno creato un sistema costituzionale nel quale paradossalmente si incentivava i leaders dei tre gruppi nazionali ad elaborare tre diverse politiche e ad ignorare lo Stato centrale. Coloro che sono accusati di crimini di guerra rimangono sotto la protezione delle forze di sicurezza di parti dello Stato bosniaco. La distruzione dello Stato bosniaco non è stata causata dall'Alto Rappresentante ma dalla guerra.

Quando lo Stato bosniaco avrà lo stesso livello di credibilità, nella persona dei suoi leaders, che aveva l'ex Repubblica jugoslava di Macedonia, la transizione verso un livello di impegno pari a quello della Macedonia sarà appropriato. Non credo che quel giorno sia lontano e vedo che l'OHR lo sta programmando. Sicuramente non dovrebbe avvenire molti anni dopo che Sarajevo presenterà domanda per diventare membro dell'Unione Europea.

Desidero condividere la tua fiducia nel fatto che i politici kossovari considerino lo sviluppo economico più che un addobbo per vetrina. Un'occhiata rapida alla stampa locale ed alle loro affermazioni mostrerà che i commenti sulle questioni politiche (delle quali non hanno in molti casi controllo formale) superano quelli sulle questioni economiche per un totale di due ad uno. Comunque la metà delle affermazioni sull'economia hanno come preoccupazione lo straordinario cul-de-sac legale in cui le Nazioni Unite si sono andate a mettere con la privatizzazione.

Sono felice di concordare con te che l'interpretazione del proprio mandato da parte dell'UNMIK è lontana dall'essere di tipo restrittivo per quanto concerne il campo economico. Concordo anche sulla necessità di dare più potere ai Kossovo Protection Corps affinché proteggano i cittadini kossovari di qualsiasi etnia, sebbene ritengo tu non abbia parlato dei problemi vissuti anche in altre parti dei Balcani con il ritorno dei rifugiati. Il fattore chiave che ha determinato il successo dei rimpatri in Bosnia non è stato il livello di assunzione di responsabilità delle autorità locali o delle forze di sicurezza bensì se erano stati tolti di mezzo o meno coloro i quali erano ritenuti responsabili di aver causato quel movimento di popolazione.

Cordialmente,


Nicholas

 

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Caro Nicholas,

La mia proposta è quella di rinforzare il Kossovo Police Service multietnico e non i Kossovo Protection Corps che hanno molta meno credibilità tra i serbi del Kossovo. In ogni caso concordiamo sul fatto che le Nazioni Unite debbano in fretta devolvere più poteri. La priorità in Kossovo dovrebbe essere rafforzare le istituzioni locali in un contesto di sicurezza ed avviare una campagna per permettere agli sfollati di rientrare in possesso delle proprie proprietà. Il Kossovo ha bisogno di un vero governo in grado di rispondere alla crisi economica e sociale.

Permettimi di fare qualche precisazione sulla mia posizione rispetto alla Bosnia. Per la fine di quest'anno i "Bonn powers" dovrebbero essere revocati. Lord Ashdown dovrebbe essere l'ultimo Alto Rappresentante. E non si deve ricorrere, vero la fine dell'anno, ad imposizione dell'ultimo minuto, come è accaduto nei mesi antecedenti alla fine del mandato del proprio predecessore. Il governo bosniaco pienamente sovrano dovrebbe avere come obiettivo principale quello di avviare, per l'inizio del 2005, le negoziazioni per arrivare ad un Accordo di associazione con l'UE.

In termini più generali la presenza internazionale nel 2006 dovrà essere molto diversa dall'attuale. In ogni Paese della regione governi eletti in modo democratico dovrebbero avere pieni poteri. Ovunque la priorità per quanto riguarda la sicurezza dovrebbe essere il rafforzamento di forze di polizia multietniche. Ovunque la presenza della Commissione europea dovrebbe essere rinforzata e dovrebbe aiutare questi Paesi e le loro istituzioni a raggiungere gli standard europei.

A Skopje ed a Zagabria le negoziazioni per entrare a far parte dell'UE dovrebbero essere pienamente in corso. Quello che invece serve a Sarajevo e Pristina sono governi pienamente responsabili. Non si può insegnare alla élites politiche a correre una maratona portandole alla linea d'arrivo.

Cordialmente,

Gerard


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Caro Gerald,

Certamente non si dovrebbero portare i corridori sino alla linea d'arrivo, il problema è portarli alla partenza!

Non dobbiamo stabilire date certe tanto per farlo. Molto meglio stabilire i compiti che devono essere adempiuti prima che la missione venga dichiarata finita. Lord Ashdown ritiene che avrà completato quei compiti entro un anno. Non ritengo che porterebbe a qualcosa mettere su di lui ulteriore pressione. In ogni caso alla fine di quest'anno con tutta probabilità l'Unione europea subentrerà alla NATO nel garantire sicurezza in Bosnia Erzegovina, ed è sicuramente più prudente non cambiare tutto in una volta sola.

Mentre concordo sulla forma desiderabile che dovrebbe avere la presenza internazionale nel 2006, rimango preoccupato del fatto che ancora non sappiamo con certezza quali saranno i confini nella regione. Una cosa che manca nella tua visione sul Kossovo è un senso di movimento verso la risoluzione della questione dello status finale. La vaga promessa di una revisione sulla questione a metà 2005 fatta dal Gruppo di contatto lo scorso novembre rappresenta un passo, che deve però essere maggiormente sostanziato. Senza questo tutti gli sforzi profusi nel rafforzamento istituzionale e nello sviluppo economico rischiano di essere vani.

Concludendo voglio sottolineare come la presenza in Kossovo della NATO sarà necessaria per molti anni.

Cordialmente,

Nicholas



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La Bosnia di Dayton. La voce degli intellettuali locali

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