(25.09.2001) "L'Europa oltre i confini" è il titolo dell'Appello a favore di un'integrazione rapida dei Balcani nelle istituzioni europee, che è stato presentato oggi in Campidoglio dai Sindaci di Sarajevo e di Roma. Ma che senso ha un Appello in questi giorni, in mezzo ai tragici fatti cui stiamo assistendo? A cosa può servire fare delle proposte di apertura, immaginare scenari nuovi di dialogo e di confronto con le aree geografiche "calde" del mondo, dopo che la follia omicida abbattutasi a New York e Washington ha innescato spirali tremende di vendetta e chiusura? Chi può ascoltare delle flebili voci, mentre siamo tutti assordati dai rumori di morte degli aerei caduti e di quelli che si preparano a bombardare?
Ce lo siamo chiesto anche noi dell'Osservatorio sui Balcani, organizzatori di questo evento assieme all'ICS - Consorzio Italiano di Solidarietà. E a momenti abbiamo pensato che forse no, forse in questo momento era meglio sospendere la presentazione e rimandarla più in là nel tempo. Forse aveva proprio ragione Nicola Matteucci, quando giustificava una possibile rappresaglia armata dell'occidente sostenendo che "il focolaio di un incendio va spento al più presto"; come dire che in certi momenti non servono parole, ma fatti. E però abbiamo deciso di andare avanti, nonostante o proprio in risposta al clima di lutto e disperazione che gela il mondo. Perché se l'incendio della violenza va spento, non è con altro fuoco che lo si può fare ma con l'acqua del ragionamento e della politica. Dunque anche con idee e suggestioni nuove per il futuro dell'Europa, oltre i suoi attuali e limitati confini.
La questione dei Balcani infatti non è una partita secondaria in un'area periferica del continente. I suoi non sono i vecchi problemi di una terra arretrata e pre-moderna, ma sono - come per altre zone del pianeta a torto ritenute marginali - le attualissime sfide di una società globale e post-moderna: si pensi all'economia finanziarizzata ed ai suoi intrecci con tutti i traffici che attraversano le rotte adriatiche, alla crisi di un welfare state strutturato al pari di quelli occidentali, ai temi della differenza, delle nuove cittadinanze e dei rapporti tra culture, alla crisi dei sistemi politici tradottasi in una forte personalizzazione del contendere e nella scomparsa dell'intermediazione dei partiti tra interessi individuali e luoghi decisionali. Tutte questioni che toccano tanto quelle aree quanto le nostre perché, per riprendere una metafora cara a molti, i Balcani sono lo specchio dell'Europa contemporanea, non la fotografia di quella ottocentesca.
Se tutto questo è vero, lanciare un Appello a favore di un'integrazione dell'area balcanica nelle istituzioni europee - ma sarebbe più corretto dire, a favore di un'integrazione tra Europa del sud est ed Europa del nord ovest - può essere una risposta almeno parziale alle crisi globali cui ci troviamo di fronte. Il testo della petizione suggerisce un'integrazione rapida, per poter dare a queste terre un'idea di futuro, una speranza certa che vada oltre la sopravvivenza nei micro-confini sorti con gli Accordi di Dayton. E insieme per spezzare prima possibile la catena delle rivendicazioni secessionistiche, che dopo la Macedonia potrebbe toccare Montenegro, Sangiaccato, Vojvodina, Istria croata e chissà quale altra piccola patria. Senza assolutamente negare loro il diritto all'autonomia locale, ma per definire assetti istituzionali stabili che superino in avanti, sciogliendole in unioni maggiori, le attuali suddivisioni statali.
L'Appello poi indica il bisogno di un'integrazione che sia sostenibile, ossia che possa garantire uno sviluppo stabile dei paesi balcanici fondato sulle loro peculiarità locali - uso razionale delle risorse naturali, turismo di qualità, agricoltura e industria di trasformazione, cultura... - piuttosto che sulle sottoproduzioni industriali, delocalizzate dall'Europa ricca per sfuggire alle regole ambientali e sociali che essa stessa si è data. Uno sviluppo autocentrato, dunque, dove l'economia ha molto a che fare con l'autogoverno locale (in un quadro federato, non secessionista) e con la responsabilità individuale.
Infine l'Appello indica la via delle relazioni tra comunità, tra singoli territori del sud est e del nord ovest d'Europa, come metodo migliore per praticare da subito la strada dell'integrazione. Prima e a fianco della via governativa, perché così è stato fatto - anche nelle molte esperienze dei comitati locali e dei comuni italiani - in questi anni di assenza e fallimento della comunità internazionale ufficiale nei Balcani. E perché solo così, forse, si può dare reale parità alle associazioni, ai gruppi, agli intellettuali locali per troppo tempo lasciati senza parola, emarginati dai governi nazionalisti in casa loro e inascoltati all'estero. Simbolicamente anzi l'Appello si apre con la frase di una di essi, Rada Ivekovic, e raccoglie sostegni importanti da tutti i paesi dell'area.
"L'Europa oltre i confini", dunque. Un sogno per il futuro lontano ma anche un orizzonte politico per il prossimo domani, sapendo che se è vero che per costruire l'attuale Unione Europea ci sono voluti quasi cinquant'anni, è altrettanto vero che nell'era attuale anche il tempo è cambiato: ciò che fino a ieri si misurava in decenni, oggi si compie in pochi anni. E' passato un lustro dalla caduta del muro di Berlino, eppure già gli attacchi criminali sugli Stati Uniti hanno segnato una nuova svolta epocale. Che non ci porta, come notava giustamente Stefano Bianchini in un'intervista concessaci alcuni giorni fa, verso un presunto "scontro di civiltà". Ma al contrario, sperabilmente, può aprire le porte ad un mondo che sappia andare "oltre i propri confini".
© Mauro Cereghini
(25.09.2001) "L'Europa oltre i confini" è il titolo dell'Appello a favore di un'integrazione rapida dei Balcani nelle istituzioni europee, che è stato presentato oggi in Campidoglio dai Sindaci di Sarajevo e di Roma. Ma che senso ha un Appello in questi giorni, in mezzo ai tragici fatti cui stiamo assistendo? A cosa può servire fare delle proposte di apertura, immaginare scenari nuovi di dialogo e di confronto con le aree geografiche "calde" del mondo, dopo che la follia omicida abbattutasi a New York e Washington ha innescato spirali tremende di vendetta e chiusura? Chi può ascoltare delle flebili voci, mentre siamo tutti assordati dai rumori di morte degli aerei caduti e di quelli che si preparano a bombardare?
Ce lo siamo chiesto anche noi dell'Osservatorio sui Balcani, organizzatori di questo evento assieme all'ICS - Consorzio Italiano di Solidarietà. E a momenti abbiamo pensato che forse no, forse in questo momento era meglio sospendere la presentazione e rimandarla più in là nel tempo. Forse aveva proprio ragione Nicola Matteucci, quando giustificava una possibile rappresaglia armata dell'occidente sostenendo che "il focolaio di un incendio va spento al più presto"; come dire che in certi momenti non servono parole, ma fatti. E però abbiamo deciso di andare avanti, nonostante o proprio in risposta al clima di lutto e disperazione che gela il mondo. Perché se l'incendio della violenza va spento, non è con altro fuoco che lo si può fare ma con l'acqua del ragionamento e della politica. Dunque anche con idee e suggestioni nuove per il futuro dell'Europa, oltre i suoi attuali e limitati confini.
La questione dei Balcani infatti non è una partita secondaria in un'area periferica del continente. I suoi non sono i vecchi problemi di una terra arretrata e pre-moderna, ma sono - come per altre zone del pianeta a torto ritenute marginali - le attualissime sfide di una società globale e post-moderna: si pensi all'economia finanziarizzata ed ai suoi intrecci con tutti i traffici che attraversano le rotte adriatiche, alla crisi di un welfare state strutturato al pari di quelli occidentali, ai temi della differenza, delle nuove cittadinanze e dei rapporti tra culture, alla crisi dei sistemi politici tradottasi in una forte personalizzazione del contendere e nella scomparsa dell'intermediazione dei partiti tra interessi individuali e luoghi decisionali. Tutte questioni che toccano tanto quelle aree quanto le nostre perché, per riprendere una metafora cara a molti, i Balcani sono lo specchio dell'Europa contemporanea, non la fotografia di quella ottocentesca.
Se tutto questo è vero, lanciare un Appello a favore di un'integrazione dell'area balcanica nelle istituzioni europee - ma sarebbe più corretto dire, a favore di un'integrazione tra Europa del sud est ed Europa del nord ovest - può essere una risposta almeno parziale alle crisi globali cui ci troviamo di fronte. Il testo della petizione suggerisce un'integrazione rapida, per poter dare a queste terre un'idea di futuro, una speranza certa che vada oltre la sopravvivenza nei micro-confini sorti con gli Accordi di Dayton. E insieme per spezzare prima possibile la catena delle rivendicazioni secessionistiche, che dopo la Macedonia potrebbe toccare Montenegro, Sangiaccato, Vojvodina, Istria croata e chissà quale altra piccola patria. Senza assolutamente negare loro il diritto all'autonomia locale, ma per definire assetti istituzionali stabili che superino in avanti, sciogliendole in unioni maggiori, le attuali suddivisioni statali.
L'Appello poi indica il bisogno di un'integrazione che sia sostenibile, ossia che possa garantire uno sviluppo stabile dei paesi balcanici fondato sulle loro peculiarità locali - uso razionale delle risorse naturali, turismo di qualità, agricoltura e industria di trasformazione, cultura... - piuttosto che sulle sottoproduzioni industriali, delocalizzate dall'Europa ricca per sfuggire alle regole ambientali e sociali che essa stessa si è data. Uno sviluppo autocentrato, dunque, dove l'economia ha molto a che fare con l'autogoverno locale (in un quadro federato, non secessionista) e con la responsabilità individuale.
Infine l'Appello indica la via delle relazioni tra comunità, tra singoli territori del sud est e del nord ovest d'Europa, come metodo migliore per praticare da subito la strada dell'integrazione. Prima e a fianco della via governativa, perché così è stato fatto - anche nelle molte esperienze dei comitati locali e dei comuni italiani - in questi anni di assenza e fallimento della comunità internazionale ufficiale nei Balcani. E perché solo così, forse, si può dare reale parità alle associazioni, ai gruppi, agli intellettuali locali per troppo tempo lasciati senza parola, emarginati dai governi nazionalisti in casa loro e inascoltati all'estero. Simbolicamente anzi l'Appello si apre con la frase di una di essi, Rada Ivekovic, e raccoglie sostegni importanti da tutti i paesi dell'area.
"L'Europa oltre i confini", dunque. Un sogno per il futuro lontano ma anche un orizzonte politico per il prossimo domani, sapendo che se è vero che per costruire l'attuale Unione Europea ci sono voluti quasi cinquant'anni, è altrettanto vero che nell'era attuale anche il tempo è cambiato: ciò che fino a ieri si misurava in decenni, oggi si compie in pochi anni. E' passato un lustro dalla caduta del muro di Berlino, eppure già gli attacchi criminali sugli Stati Uniti hanno segnato una nuova svolta epocale. Che non ci porta, come notava giustamente Stefano Bianchini in un'intervista concessaci alcuni giorni fa, verso un presunto "scontro di civiltà". Ma al contrario, sperabilmente, può aprire le porte ad un mondo che sappia andare "oltre i propri confini".
© Mauro Cereghini