Parla l'attore serbo Miki Manojlovic. Figlio d'arte, ha lavorato con molti registi, tra cui Emir Kusturica e Peter Brook. Attualmente è impegnato nelle riprese del nuovo film di Giuliano Montaldo, nel ruolo dello scrittore russo
Valentina Cosimati, pubblicato su "Liberazione" il 15 marzo 2007
"Sono un rivoluzionario: cerco sempre la verità nelle sue infinite sfumature". A pensarla così è Miki Manojlovic, uno dei più grandi attori serbi contemporanei.
Capelli ricci e ribelli, gli occhi vivaci di un artista che non ha mai smesso di sognare e il tono affabile e amichevole di un personaggio pubblico che non ha paura di mostrarsi nella sua umana semplicità.
In concorso a Berlino con Irina Palm di Sam Garbarski (presente anche con Klopka di Srdan Golubovic e La fine del mare di Nora Hoppe), è attualmente impegnato insieme a Roberto Herlitzka, Pamela Villoresi, Anita Caprioli e Carolina Crescentini nelle riprese del nuovo film di Giuliano Montaldo su Fedor Dostojevskij.
Straordinario interprete di moltissimi film quali Papà è in viaggio d'affari e Underground di Emir Kusturica, L'Inferno di Danis Tanovic, Tango Argentino di Goran Paskaljevic, proviene da una famiglia di attori e ama definirsi 'una persona normale'.
"Sono diventato famoso nel mio paese, la Jugoslavia, quando avevo 22 anni. Amo molto il mio lavoro e ho sempre dedicato un grande impegno ad ogni produzione, teatrale e cinematografica. Ogni volta sono in cerca di qualcosa, di una verità che permetta di vedere e mostrare il mondo e l'essere umano da un'angolazione differente, senza divisioni nette tra bianco e nero, nella bellezza e nell'orrore del reale che si esprime in tutte le sue meravigliose sfumature e variazioni"
Lei è figlio d'arte, ha lavorato con alcuni tra i più importanti registi e da molti è considerato uno degli attori più versatili della scena contemporanea. Come prepara i personaggi? Come riesce a ricreare quella magia ogni volta?
Il lavoro dell'attore su se stesso è un po' un mistero. Ho seguito i corsi all'Accademia di Belgrado e devo ammettere di essere stato fortunato perché le scuole dell'Est sono veramente molto valide e impegnative, o almeno lo erano quando le ho frequentate io, prima della caduta del Muro di Berlino. In generale per i film e per il teatro c'è uno scambio continuo in un lavoro collettivo. Per me il lavoro dell'attore, se onesto, è rivoluzionario nella sua essenziale ricreazione del reale e ha molto a che fare con il gioco. Con Emir Kusturica, nonostante abbiamo lavorato molto insieme, ogni volta è un gioco nuovo, una scoperta.
Attualmente lei sta lavorando sul personaggio di Fedor Dostojevskij nel nuovo film di Giuliano Montaldo, può anticiparci qualcosa su questo?
Il film racconta le vicende legate all'incontro tra lo scrittore russo e il giovane Gusiev (Filippo Timi) innamorato di Aleksandra (Anita Caprioli) che dichiara di aver preso parte ad un attacco terroristico; del suo rapporto con la futura seconda moglie Anna (Carolina Crescentini) cui detta Il giocatore, Dostojevskij si oppone all'azione violenta del gruppo che vorrebbe uccidere lo zar. È la storia di un gruppo di giovani che vogliono cambiare il mondo attraverso una rivoluzione sanguinaria ed è una riflessione su quel particolare momento storico che oggi è di straordinaria attualità. Non posso dire molto sul personaggio in sé perché si tratta sempre di un lavoro in divenire e le riprese sono cominciate da poco. La lezione di Dostojevskij è che l'essere umano cambia le espressioni, i comportamenti, il corpo, le idee ma il cuore e le passioni vere rimangono. Non è la prima volta che interpreto ruoli impegnativi di personaggi storici o teatrali importanti, ma il lavoro con Giuliano Montaldo è particolarmente stimolante perché lui mi sta chiedendo una mia riflessione su Dostojevskij, un grande lavoro per un attore. E' una vera sfida: sto leggendo e rileggendo tutti gli autori russi del periodo di Dostojevskij, sto lavorando sull'iconografia e sul pensiero dell'epoca, poi si vedrà alla fine del film, cosa accadrà in questo processo senza fine che è la creazione di un personaggio.
Cosa significa per lei essere rivoluzionari oggi?
In realtà ha poco a che fare con le contingenze storiche. Se cerchi la verità, ad ogni livello umano, sei necessariamente un rivoluzionario, senza implicazioni con guerre e ideologie. Significa avere il coraggio di agire seguendo un principio di onestà intellettuale, essere coscienti della realtà in cui si vive e non saltare a conclusioni che spesso negano il principio stesso di realtà, per sua natura sfaccettata e piena di contraddizioni.
Una realtà che per lei si è concretizzata in un lungo esilio, questo è il coraggio di cui parla?
Non ho avuto il coraggio di uccidere Slobodan Milosevic o di legarmi alla resistenza armata quando ne avrei avuto l'opportunità, se è questo il punto, ma ho ucciso me stesso all'interno del mondo in cui avevo vissuto fino a quel momento, optando per l'esilio in Occidente. Non avrei potuto recitare nel mio paese durante quel periodo e per me questo è stato un atto di coraggio, rivoluzionario e doloroso nella sua pratica quotidiana.