La Commissione Europea ha approvato le Agende di riforma necessarie per stanziare entro la fine dell'anno i primi fondi del pacchetto economico da 6 miliardi di euro in Albania, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia. Rimane indietro la Bosnia Erzegovina, ancora paralizzata dallo stallo istituzionale che ha bloccato la presentazione del suo documento
Bruxelles – La Commissione Europea ha voluto attendere l'inizio dell'ormai consueto viaggio autunnale nella regione balcanica della presidente Ursula von der Leyen per annunciare l'attesa notizia sul Piano di crescita per i Balcani occidentali. Uno dei maggiori investimenti strategici dell'Unione Europea per avvicinare i sei partner attraverso un pacchetto di finanziamenti vincolato all'attuazione di riforme sociali ed economiche è pronto per essere attuato, grazie all'approvazione il 23 ottobre delle Agende di riforma di Albania, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia.
Parte così il processo che "entro la fine dell'anno" - parola della presidente von der Leyen - porterà all'esborso della prima rata di prefinanziamento del nuovo Strumento Ue. Resta fuori per ora la Bosnia ed Erzegovina, paralizzata dallo stallo istituzionale che ha reso finora impossibile anche solo definire e presentare a Bruxelles il documento necessario per convincere i partner europei della sostenibilità degli investimenti sul piano sociale e amministrativo.
Cos'è il Piano di crescita per i Balcani occidentali
Il Piano di crescita per i Balcani occidentali è stato presentato dalla Commissione Ue nel novembre 2023 ed è stato approvato dai co-legislatori del Parlamento e del Consiglio dell'Ue lo scorso aprile. Si tratta di un Piano fondato su 4 pilastri che dovrebbe sia "chiudere il gap economico e sociale" tra l'Unione e i Paesi balcanici, sia permettere "l'integrazione sul campo anche prima che entrino formalmente come Paesi membri", ha rivendicato von der Leyen.
Il primo pilastro è l'integrazione economica nel Mercato unico in sette settori fondamentali, a condizione di un allineamento alle regole Ue e dell'apertura dei settori pertinenti ai Paesi vicini: libera circolazione delle merci, libera circolazione dei servizi e dei lavoratori, accesso all'Area unica dei pagamenti in euro (Sepa), facilitazione del trasporto su strada, integrazione e de-carbonizzazione dei mercati energetici, mercato unico digitale e integrazione nelle catene di approvvigionamento industriale. Il secondo pilastro riguarda invece l'integrazione economica interna attraverso il Mercato regionale comune - anch'esso basato su regole e standard Ue – che a Bruxelles si stima potrebbe aggiungere un 10 per cento alle economie dei sei partner.
Il terzo pilastro è quello delle riforme che sosterranno da una parte il percorso dei candidati all'adesione Ue e dall'altro gli investimenti esteri e il rafforzamento della stabilità regionale. Il quarto pilastro riguarda l'assistenza finanziaria: un nuovo Strumento da 6 miliardi di euro per il periodo 2024-2027 - 2 miliardi di euro in sovvenzioni e 4 miliardi in prestiti agevolati - i cui pagamenti saranno vincolati all’attuazione delle riforme socio-economiche concordate in un'Agenda di riforme (proprio come il Next Generation Eu per 27 Paesi membri).
Il supporto finanziario ai Balcani occidentali
Secondo quanto previsto dal Regolamento sullo Strumento di riforma e crescita, le allocazioni per ciascun Paese tengono conto dei dati più aggiornati al 25 maggio 2024 (data di entrata in vigore del Regolamento stesso) sulla popolazione e sul rapporto tra Pil pro capite dell'intera regione e quello del singolo Paese. Il primo beneficiario è la Serbia con 1,59 miliardi di euro (28,3 per cento di tutto il pacchetto), seguita da Bosnia ed Erzegovina con 1,08 miliardi, Albania (922 milioni), Kosovo (883 milioni), Macedonia del Nord (750 milioni) e Montenegro (383 milioni). A questi si aggiungono 30 milioni destinati all'assistenza tecnica e amministrativa e 360 milioni in accantonamenti per i prestiti (che non saranno erogati direttamente ai beneficiari).
Ciò che arriverà a breve a cinque dei sei Paesi coinvolti è la prima rata di prefinanziamento - fino al 7 per cento dell'importo totale – che richiedeva l'approvazione della "pertinenza, completezza e adeguatezza" delle Agende di riforma "riguardanti sia le riforme nell'area dei fondamentali sia le riforme socio-economiche", spiegano i portavoce della Commissione Europea. I pagamenti saranno effettuati due volte l'anno fino al 2027, sulla base delle richieste presentate dai partner e della verifica a Bruxelles di una serie di condizioni.
Lo scorso 25 settembre l'esecutivo Ue aveva inviato la sua valutazione positiva agli Stati membri, che hanno poi dato il via libera definitivo l'11 ottobre in seno al Comitato Ipa (l'organo del Consiglio dell'Unione Europea responsabile per l'assistenza finanziaria dei Paesi che beneficiano dello Strumento di assistenza pre-adesione). La Commissione ha così potuto approvare le cinque Agende di riforma e, parallelamente, sta concludendo gli accordi di finanziamento e di prestito con ciascun partner, che permetteranno l'effettiva erogazione del prefinanziamento e includeranno l'obbligo di adottare misure per prevenire e combattere frodi, corruzione e conflitti di interesse che ledono gli interessi finanziari dell'Unione.
Il caso Bosnia e il nodo Serbia-Kosovo
Dei sei Paesi dei Balcani occidentali la Bosnia ed Erzegovina è l'unico a non aver ancora presentato a Bruxelles un'agenda di riforma definitiva, fattore che rischia di avere implicazioni ben più pesanti del ritardo all'erogazione della prima rata di prefinanziamento dal valore di circa 70 milioni di euro. A Sarajevo nel novembre 2023 la presidente della Commissione von der Leyen aveva avvertito che "le risorse saranno ridistribuite ad altri Paesi che sono in grado di farlo", in caso di mancata implementazione delle riforme fondamentali.
A nulla sono valse le pressioni politiche (e la proroga estiva alla scadenza concessa per raggiungere in extremis in accordo) di fronte al caos istituzionale emerso a seguito della presentazione della bozza del Gruppo di lavoro ad hoc. Prima il presidente serbo-bosniaco Milorad Dodik si è rifiutato di accettare due punti sulla nomina dei giudici della Corte costituzionale centrale e sul riconoscimento delle decisioni della Corte stessa, poi i rappresentanti di quattro cantoni della Federazione di Bosnia ed Erzegovina (Bosnia Centrale, Tuzla, Zenica-Doboj e Una-Sana) non hanno dato il consenso al documento. A oggi è ancora tutto fermo e i portavoce dell'esecutivo Ue hanno poche parole a riguardo, se non l'augurio che "la Bosnia ed Erzegovina possa finalizzare al più presto la sua Agenda di riforme finale per procedere alla valutazione formale".
Per quanto riguarda la Serbia e il Kosovo, esiste una clausola supplementare. Vale a dire l'impegno "in modo costruttivo" nella normalizzazione delle relazioni bilaterali, con l'obiettivo di attuare pienamente tutti gli obblighi derivanti dall'accordo (e dell'allegato di attuazione) del febbraio/marzo 2023, oltre al ritorno ai negoziati sull'Accordo globale. Questo significa che, senza progressi nel dialogo Pristina-Belgrado, rimarranno in stallo - o andranno perduti - i finanziamenti previsti dal Piano di crescita, già a partire dalle "valutazioni più sotto data di pagamento" sulla prima rata, mette in chiaro la Commissione Ue.