Il CESPI ha appena pubblicato un Dossier che tenta di fare luce su quale possano essere le conseguenze dei progetti di cooperazione decentrata sulla criminalità e viceversa. Di seguito un'introduzione..
L'assassinio del primo ministro serbo Zoran Djindjic ha tragicamente sottolineato la pericolosità degli intrecci tra criminalità e istituzioni in Serbia, e ha esemplificato la persistenza delle dinamiche politico-criminali nel contesto della transizione e dei vari dopoguerra. Per quanto la vicenda di Djindjic e il caso della Serbia siano emblematici dei rapporti tra crimine, politica e economia nei Balcani, costituiscono tasselli di un quadro decisamente più complesso. La lunga serie di conflitti, che l'Europa Sud orientale ha conosciuto nello scorso decennio, ha catalizzato lo sviluppo di complesse reti di traffici illeciti da e attraverso la regione, ma ha soprattutto fornito un terreno di incontro tra le istituzioni degli Stati sorti dalle ceneri della Jugoslava socialista e forme diverse di criminalità comune e organizzata. Il problema è dunque, pur in misura diversa, comune a molti paesi dell'area e va analizzato nella sua dimensione regionale. La complessità dei legami tra dinamiche criminali e sviluppo istituzionale nei Balcani richiede inoltre un'analisi ampia e approfondita che ne restituisca le diverse dimensioni.
L'obiettivo principale di questo dossier prodotto dal CESPI è di proporre una chiave di lettura del fenomeno politico-criminale nei Balcani non appiattita sulla cronaca degli eventi ma attenta alle sue origini, ai fattori profondi e alle implicazioni sociali e politiche. A questo scopo il dossier presenta una rassegna di documenti ufficiali e materiali di ricerca (editi e inediti, direttamente prodotti dal CeSPI e non) che permettano a un tempo un inquadramento più ampio e una messa a fuoco più efficace della questione. In particolare, il dossier raccoglie:
- alcuni degli interventi più significativi sul ruolo del patto di stabilità e sulla criminalità organizzata in Albania, presentati a una conferenza organizzata dal CeSPI lo scorso novembre sul tema della criminalità organizzata in Europa sud orientale;
- una riflessione inedita, a cura di A. Rotta (CeSPI), sui fattori locali e globali di crescita del fenomeno criminale nei Balcani e sulle origini e le implicazioni dell'assassinio del premier serbo, con un'ampia e aggiornata sezione bibliografica;
- un rapporto dell'United States Insitute for Peace (Usip) sulla criminalizzazione dell'economia in Bosnia-Erzegovina, Kosovo e Serbia;
- un rapporto dell'International Crisis Group (Icg) sulla Serbia del dopo Djindjic;
- la presentazione dell' iniziativa sul crimine organizzato del Patto di stabilità (SPOC Iniziative);
- le conclusioni della conferenza interministeriale di Londra del 25 novembre 2002 sul crimine organizzato nei Balcani;
- l'intervento del commissario europeo Patten alla stessa conferenza;
- il dibattito pubblico sulla lotta alla criminalità nei Balcani occidentali all'interno delle conclusioni del Consiglio dell'Unione europea su giustizia e affari interni del 28 febbraio 2003;
- i materiali preparatori per la conferenza economica annuale dell'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce), che hanno per oggetto l'impatto economico del traffico di esseri umani, armi e stupefacenti (pp. 14-23);
- la dichiarazione finale del Summit eurobalcanico di Salonicco;
- il piano di azione in materia di droga tra l'Ue, i paesi dei Balcani occidentali e i paesi candidati.
La lettura incrociata di questi materiali offre una panoramica ampia e diversificata, che spazia dall'analisi del fenomeno alla presentazione degli strumenti di contrasto a livello internazionale e in particolare europeo. Il tema è di estremo interesse per gli enti locali italiani attivi nell'area balcanica, poiché riguarda da vicino buona parte dei campi di intervento tradizionali ed emergenti della cooperazione decentrata. L'analisi della problematica è importante sia come strumento di conoscenza del contesto in cui la cooperazione è chiamata a operare, e quindi per affinare le modalità di intervento, sia per individuare possibili nuovi settori di interesse per l'azione internazionale delle autonomie locali.
Un primo importante livello di intersezione tra le attività della decentrata italiana e l'oggetto del dossier è costituito dal tema del rafforzamento delle capacità amministrative e di governo delle controparti istituzionali nei Balcani, che costituisce spesso sia un'attività a sé della decentrata, sia una sorta di effetto trasversale di altre attività specifiche. Dove la guerra e la capacità di controllo dei traffici illeciti hanno spesso agito da meccanismi di selezione della classe politica, capire il livello di inquinamento e la natura delle istituzioni locali ha, per i soggetti della decentrata, un'importanza cruciale per poter valutare priorità e impatto della propria azione di rafforzamento istituzionale e amministrativo. L'analisi del nesso tra criminalità e politica è dunque indispensabile per capire come si struttura il potere a livello locale. Da questo punto di vista i processi di decentramento politico e amministrativo che la cooperazione decentrata sostiene direttamente e indirettamente nei paesi di intervento sono un altro luogo fondamentale di interazione tra politica e legalità. In particolare è necessario chiedersi se, nei contesti specifici, l'assunzione di maggiori responsabilità a livello locale favorisca una maggiore trasparenza dell'amministrazione pubblica, più vicina ai cittadini e quindi più controllabile, o non moltiplichi piuttosto i livelli di corruzione, aumentando il peso della corruzione sull'economia locale e bloccando, piuttosto che alimentare, la partecipazione sociale e civile alla vita politica e alla amministrazione della cosa pubblica. L'analisi del rilievo locale delle dinamiche descritte in questo dossier potrebbe suggerire l'adozione, tra le attività della cooperazione decentrata, di programmi contro la corruzione o finalizzati ad aumentare la trasparenza dell'amministrazione pubblica.
La capacità di pianificazione e gestione del territorio è un altro settore di intervento della decentrata in cui il discorso sulla legalità è molto importante. Generalmente, le politiche del territorio si scontrano nei paesi ex socialisti con una percezione particolarmente "debole" degli spazi pubblici, che sono spesso oggetto di interessi di tipo privatistico o apertamente criminali. Il sostegno alle capacità di pianificazione, di tutela ambientale e di programmazione dell'uso del territorio, ad esempio a fini turistici e di sviluppo locale, deve da un lato tener conto della variabile degli interessi criminali che insistono sul territorio stesso, sulla gestione dei rifiuti e sullo sfruttamento dell'ambiente, mentre dall'altro lato può configurarsi come una modalità di rafforzamento della capacità dell'ente locale partner di proporsi come alternativa credibile ai poteri paralleli di natura illegale e criminale, e di presentare una strategia di sviluppo locale basata sulla legalità.
Ancora più esplicito è il legame tra situazioni di legalità/illegalità e la gestione di servizi vari. In primo luogo, una gestione efficiente passa attraverso il miglioramento della capacità di esazione di tributi delle controparti locali nei Balcani, quindi dipende direttamente dal clima generale di legalità e dall'autonomia fiscale degli enti locali. In secondo luogo, la capacità, da parte degli enti locali, di fornire servizi sociali e sanitari, costituisce uno strumento di contrasto della morsa sul territorio di soggetti criminali e mafiosi, che basano il proprio potere anche sull'insicurezza sociale e sulla scarsa "protezione" pubblica offerta ai cittadini. La realizzazione di un welfare locale di qualità, fondato su un'idea partecipativa e sociale di cittadinanza, potrebbe costituire l'obiettivo comune di enti locali italiani e balcanici, e rappresentare una strategia di lotta alla criminalità e all'illegalità che ne colpisca anche le cause.
Le recenti ipotesi di maggior coinvolgimento degli enti locali in una gestione più equa e razionale dei flussi migratori, che prevedono che la cooperazione decentrata possa diventare il luogo in cui sistemi territoriali italiani e balcanici si incontrano per disegnare percorsi di formazione, lavoro e utilizzo delle rimesse reciprocamente vantaggiosi, costituiscono un terreno di contrasto diretto degli interessi della criminalità organizzata, che ha nei bisogni di emigrazione uno dei business più lucrosi. Ancora più direttamente il possibile impegno dei soggetti della cooperazione decentrata in programmi di assistenza a vittime di tratta, o in programmi di sviluppo locale e di imprenditoria femminile che affrontano il fenomeno della tratta alla fonte, hanno un impatto diretto sulle attività gestite dalla criminalità organizzata.
Infine, il patrimonio di esperienze fortemente innovative di lotta alla criminalità e di costruzione della legalità dal basso che, in molte realtà del Sud, ha coinvolto, assieme alle istituzioni locali, diversi soggetti del territorio (scuole, associazioni, imprese) potrebbe costituire un tema nuovo e forte della cooperazione decentrata italiana. L'esperienza italiana in questo campo, sottoposta a una sostanziale rilettura alla luce delle caratteristiche del fenomeno criminale nei Balcani, potrebbe essere esportata con successo e costituire la chiave di ingresso nella cooperazione internazionale per gli enti locali meridionali che hanno adottato e sostenuto pratiche quali il riutilizzo a fini sociali di beni confiscati e l'educazione alla legalità nelle scuole, conferendo una dimensione profondamente partecipativa alla lotta alla mafia tradizionalmente intesa.
In conclusione, i vantaggi che generalmente si attribuiscono alla cooperazione decentrata rispetto a forme più tradizionali di cooperazione, vale a dire la natura tendenzialmente orizzontale e paritaria delle relazioni con gli enti partner, la maggiore attenzione al contesto locale e alle sue esigenze, il sostegno ai processi di decentramento e al rafforzamento istituzionale, ne fanno uno strumento potenzialmente utile nel contrasto di attività criminali radicate nei territori di intervento, non tanto sul fronte della repressione quanto per la capacità di proporre concretamente un modello di sviluppo basato su una maggiore equità, e una prospettiva di cittadinanza realmente e sostanzialmente europea.Vai a Crimine, politica e prospettive europee nei Balcani di Alessandro Rotta