I muri non interrompono i flussi, li deviano. Così avviene anche per quanto riguarda la rotta balcanica e la fuga dalla guerra e dalla soppressione dei propri diritti di migliaia di profughi
Tra le maglie della rotta balcanica - che si vorrebbe sigillata ma che chiusa non è - sono nate nuove vie per chi aspira ad una vita migliore nell’Europa occidentale. Oltre alla deviazione del flusso migratorio che ha portato gruppi sempre più numerosi di rifugiati e migranti ad evitare il confine serbo-croato e ad avventurarsi in Bosnia o ancora a tentare l’imbarco dal porto di Patrasso verso l’Italia, due nuovi percorsi hanno fatto la loro comparsa nei Balcani.
Il primo riguarda il mar Nero e chi prova, dalle coste della Turchia, ad imbarcarsi direttamente per la Romania. Il secondo concerne invece il caso specifico degli iraniani, che dalla seconda metà del 2017 non hanno più bisogno di un visto per recarsi in Serbia. Da allora, le autorità serbe hanno registrato un alto numero di turisti in arrivo dall'Iran, che tuttavia rimangono oltre i 30 giorni previsti dal soggiorno turistico per tentare di raggiungere l’Unione europea.
Attraverso il Mar Nero
"I muri non hanno mai fermato i flussi migratori, li deviano semplicemente". La notte del 15 settembre 2015, quando l’Ungheria ha chiuso formalmente il suo muro al confine serbo, il coordinatore di Medici senza frontiere in Serbia, Stéphane Moissaing, ha previsto tutto. Così si esprimeva infatti ai giornalisti venuti ad assistere alla prima prova di forza di Orban. E con lui, decine di intellettuali, attivisti e cittadini si sono spesi da allora contro la politica dei respingimenti e dei muri che alle porte dell’Europa ha provocato non la fine dei flussi migratori, ma un ancora più disperata ricerca di corridoi alternativi, sempre più pericolosi.
Il caso del Mar Nero non fa eccezione. Secondo i dati raccolti dalla polizia di frontiera romena, durante il periodo 2013–2014 e fino al febbraio 2015, le guardie di confine hanno individuato circa 500 persone intente ad entrare illegalmente in Romania usando il Mar Nero. La polizia romena sottolinea che se tra il febbraio 2015 e l’agosto 2017, non è stato registrato nessun caso di migrazione illegale via mare, durante la seconda metà nel 2017 la rotta si è invece riattivata.
In sei mesi, sei navi sono sbarcate nei dintorni della città costiera di Costanza, portando con loro un totale di 537 migranti dall’Iraq, Iran, Pakistan, Siria e Afghanistan, ovvero più di quanti sono stati registrati nei quattro anni precedenti. Inoltre, riporta la polizia di frontiera romena, si è trattato di persone in stato di difficoltà, a causa delle barche sovraccaricate e della cattive condizioni meteo. Una testimonianza raccolta da Al Jazeera a fine 2017 conferma le difficoltà del viaggio sul Mar Nero, improvvisato per ovviare ai vari blocchi sulla rotta balcanica. Mohammed, un rifugiato, racconta che la propria traversata è durata "due notti e tre giorni", perché "(i trafficanti, nda.) si erano sbagliati, stavamo andando in Russia. Per 13 ore eravamo in acque russe".
Come le acque territoriali romene registrano una più intensa attività migratoria, così anche gli altri confini del paese hanno segnalato un aumento nel numero di attraversamenti illeciti riscontrati dalle forze dell’ordine. Nel 2017, la polizia di frontiera ne ha contati più di 5.800, dei quali 2.840 riguardano casi di tentato ingresso nel paese. Per avere un’idea della crescita, si consideri che, nel 2016, 1075 persone avevano tentato di entrare in Romania, mentre nei due anni precedenti il loro numero aveva di poco superato la soglia dei 900. In questi casi, si tratta di gruppi che arrivano dalla vicina Serbia o dalla Bulgaria e la cui intenzione è quella di raggiungere l’Ungheria e quindi l’area Schengen. Ancora una volta, si tratta di una risposta agli ostacoli posti dai diversi governi sul cammino che dal Medio Oriente porta all’Europa.
In volo da Teheran
Il 22 agosto 2017, Serbia ed Iran hanno concluso un accordo che ha introdotto per i cittadini iraniani la possibilità di entrare in Serbia in qualità di turisti e senza visto per un periodo inferiore a 30 giorni. Da allora e fino a metà marzo 2018, il ministero del Commercio serbo ha registrato l’arrivo di circa 7.000 turisti iraniani, di cui 485 hanno presentato domanda di asilo. Tuttavia, secondo l’associazione InfoPark, che dall’inizio della cosiddetta "crisi migratoria" ha dato sostegno ai rifugiati nei pressi della stazione degli autobus di Belgrado, molti di questi turisti sono in realtà persone che hanno deciso di lasciare il proprio paese una volta per tutte. "Stando ai risultati delle interviste che abbiamo condotto con cittadini iraniani sin dall’autunno del 2017, la Serbia è usata come una zona di transito, ritenuta come un passaggio sicuro e a buon prezzo in direzione dell’Europa occidentale", spiega in un comunicato l’associazione belgradese.
Giovani coppie o uomini single, le persone intervistate dai volontari di InfoPark ammettono in effetti di aver lasciato l’Iran per sfuggire alle persecuzioni (in quanto "cristiani, membri della comunità LGBTQ o oppositori politici") o semplicemente per "andare in un paese con maggiori chances di prosperità economica". Scontato dunque, che la Serbia sia solo una zona di transito. "Tutti gli intervistati hanno indicato come loro destinazione finale i paesi sviluppati dell’Unione europea, in primo luogo la Germania e la Francia", afferma Gordan Paunović di Info Park .
A dimostrazione di questo fenomeno, l’Unhcr indica nel suo ultimo rapporto “Serbia update ” che quasi un terzo dei nuovi arrivi registrati in Serbia a inizio marzo è di origine iraniana. E il numero di iraniani in arrivo in Serbia, potrebbe essere destinato a crescere. Dal 10 marzo 2018, infatti, un collegamento aereo diretto tra l’Iran e la Serbia (un volo bisettimanale tra Teheran e Belgrado operato da IranAir) è stato reintrodotto dopo 27 anni di assenza. E dal 19 marzo, un’altra linea (questa volta assicurata da Qeshm Air) è entrata in funzione.