Berlino, sede del Bundestag (foto Cezary Piwowarski)

Berlino, sede del Bundestag (foto Cezary Piwowarski )

Mentre la Germania si appresta ad accogliere migliaia di rifugiati provenienti in particolare da Siria, Afghanistan e Iraq, le richieste di asilo di cittadini dei Balcani occidentali vengono sistematicamente respinte

05/10/2015 -  Matteo Tacconi

La macchina tedesca, sui rifugiati, è ottimamente oliata anche sul fronte dei rimpatri, come registra il New York Times. "La Germania sta assemblando un’infrastruttura efficiente per accogliere centinaia di migliaia di rifugiati in fuga dalla guerra, ma ha iniziato a installare un altrettanto efficiente sistema per rispedire in patria le persone che arrivano in cerca di lavoro da paesi poveri, ritenuti tuttavia sicuri", ha scritto il quotidiano americano in un servizio, uscito qualche giorno fa, sul centro rimpatri di Bamberg, nella parte settentrionale della Baviera, il Land più ricco della Germania.  

Questa struttura, dal 1945 fino all’anno scorso, è stata una base dell’esercito americano. Oggi vi transitano quei richiedenti asilo che hanno possibilità quasi pari a zero che la loro domanda venga accolta. Il che significa che Berlino li rimanda nel posto da cui sono venuti. Dai Balcani, fondamentalmente.

Molte delle domande di asilo raccolte ogni anno dalle autorità tedesche vengono infatti inoltrate da cittadini dei paesi dell’ex Jugoslavia e dell’Albania. Il 40% circa di quelle depositate nel periodo gennaio-agosto 2015, volendo ragionare in termini percentuali. Se invece il discorso si sposta sulla nazionalità, risulta che dopo i siriani il gruppo più massiccio di richiedenti è quello degli albanesi (circa 40mila richieste), seguito dai kosovari (tra le 30mila e le 35mila) e dai serbi (poco più di 20mila). Anche bosniaco-erzegovesi e macedoni richiedono asilo con una certa frequenza. 

Ma come detto, le speranze di restare in Germania e iniziare lì un progetto di vita sono scarse. Questo perché il governo di Berlino, nel corso degli ultimi dodici mesi, ha formalmente inserito i Balcani occidentali in una lista di paesi ritenuti sicuri. In altre parole: non essendo martellati da conflitti non c’è ragione di lasciarli arrivare. Quindi la Germania non può spalancare le porte. Albania, Kosovo e Montenegro sono state considerate sicure qualche giorno fa. Serbia, Macedonia e Bosnia Erzegovina già nel novembre scorso.

Le richieste di asilo dai Balcani non sono una novità. Il fenomeno è da anni consistente e va in crescendo. Nel secondo trimestre di quest’anno, indicano i dati Eurostat, le domande di asilo presentate su tutto il territorio comunitario da cittadini albanesi (17.700) sono state inferiori solo a quelle inoltrate da siriani (44mila) e afghani (27mila). Rispetto allo stesso periodo del 2014, si evince inoltre che la richieste effettuate da kosovari sono aumentate di quasi quattro volte; quelle da albanesi di tre e mezzo; quelle di montenegrini di tre.

First time asylum applicants by citizenship, EU-28, relative change between Q2 2014 and Q2 2015 - Eurostat

Ma perché ci si lascia alle spalle i Balcani occidentali tentando di ottenere in Germania lo status di rifugiato politico? La domanda è lecita, dopotutto. Nella regione ci sono tensioni politico-sociali latenti e non c’è dubbio che in certe aree il grado di sicurezza sia insufficiente. Tuttavia non è questo il motivo, non quanto meno il principale, che induce all’emigrazione. L’insicurezza avvertita da chi lascia i Balcani non si misura secondo logiche fisiche. È più sfumata. A volte è legata alla discriminazione (diversi richiedenti asilo sono rom), il più delle altre alla carenza di prospettive, di lavoro e speranze nei paesi d’origine.

Questo tra l’altro dovrebbe convincere a smarcarsi da quell’idea, veicolata da più fonti negli ultimi tempi, secondo cui in Albania, ad esempio, sarebbe in corso una vera e propria rivoluzione economica, che contamina ogni frazione della società. Non è così. L’Albania, come la Serbia, come il resto dei Balcani, sperimenta oggi una tenuta migliore rispetto al passato, ma ci sono inevitabilmente grosse sacche di “vinti” della transizione. È qui che si annida l’insicurezza di cui sopra. È questa la fonte delle richieste d’asilo, che spesso scattano nel tentativo di bypassare le regole, disciplinate con rigore, sull’accesso al mercato del lavoro tedesco.

Il centro rimpatri di Bamberg non è l’unica struttura del genere presente in Baviera. Ai margini di Ingolstadt ce n’è un’altra. Anch’essa ospita quasi esclusivamente migranti balcanici. È stata inaugurata a inizio settembre: non più di un mese dopo – annota il sito della radio Deutsche Welle – che il presidente-ministro della Baviera, Horst Seehofer, aveva rovesciato sul tavolo l’idea di rimpatriare i richiedenti asilo giunti da paesi meno travagliati rispetto a Siria, Iraq, Afghanistan, Somalia.

Qui si entra in un discorso tutto politico. Seehofer è esponente dei cristiano-sociali (Csu), partito storicamente egemone in Baviera, nonché alleato tradizionale dei cristiano-democratici (Cdu). Dunque, in questo momento, socio di coalizione a Berlino. Ebbene, Seehofer e gli altri pesi massimi della Csu esprimono sui rifugiati posizioni più rigide di quelle della cancelliera. Ne consegue che la decisione di definire i Balcani occidentali una regione sicura, rendendo quasi automatica la respinta delle richieste di asilo, potrebbe configurarsi anche come una concessione della Merkel agli alleati bavaresi, benché sia probabile che questa misura sarebbe comunque stata presa e che al tempo stesso, anche all’interno della Cdu, c’è una corrente che sui rifugiati è meno flessibile e teme che l’arrivo di 800mila persone nel solo 2015 – queste le stime del governo – possa rivelarsi insostenibile sotto più punti di vista.  

Si rileva invece un’apertura, sulle persone in arrivo dai Balcani, da parte di Aydan Özoğuz , una socialdemocratica che nel governo ha il portafoglio all’immigrazione. Özoğuz, figlia di immigrati turchi, ha spiegato che la situazione dei richiedenti asilo balcanici dovrebbe essere trattata separatamente dalle altre, tenuto conto delle sue specificità. Difficile, però, che una linea del genere possa passare in questo momento.