Il processo di allargamento dell'UE sembrava insesorabile. Ora, dopo il voto in Francia ed Olanda contro la costituzione europea, non più. Nonostante il Commissario per l'allargamento Rhen abbia dichiarato di non essersi ancora iscritto all'ufficio di collocamento, nei Balcani - e non solo - ci si preoccupa
A cura di TOL
Traduzione a cura di Osservatorio sui Balcani
L'allargamento e le sempre più forti relazioni in seno all'Unione europea in passato sembrava un processo inesorabile. A volte lento ma irreversibile ed in fin dei conti impossibile da bloccare.
Ma in seguito all'allargamento dello scorso anno, che ha portato da 15 a 25 gli Stati membri, gli entusiasmi in merito all'allargamento agli altri paesi ex comunisti - senza menzionare la Turchia - sembrano essersi attenuati. Ed il voto di bocciatura della proposta di costituzione UE degli elettori francesi e olandesi della scorsa settimana rischia di bloccare tutti questi piani.
E' improbabile che questo cambiamento di tendenza possa condizionare sensibilmente Bulgaria e Romania, che hanno già sottoscritto i loro trattati di adesione all'inizio di quest'anno. L'allargamento è previsto per il 1 gennaio del 2007 (vi è comunque una clausola di salvaguardia - dimostrazione di per se stessa dei dubbi sull'impegno dei due Paesi a procedere con le riforme a meno che non vi siano pressioni su di loro - che prevede la possibilità di ritardare l'ingresso se il Paese non rispetta pienamente gli impegni presi. Sono stati i primi trattati di adesione a contenere una clausola del genere).
Politicamente sarà però molto più arduo il cammino per Bulgaria e Romania. Il probabile cambiamento di governo in Germania, le elezioni politiche sono previste per il prossimo autunno, metterà sul filo del rasoio i due Paesi aspiranti all'UE; i conservatori della CDU (Unione cristiano-democratica) sono dichiaratamente contro l'allargamento alla Turchia e si sono anche lamentati in merito a Bulgaria e Romania.
Il Primo ministro romeno, Calin Popescu-Tariceanu, ha affermato che il risultato del referendum non avrà alcuna implicazione legale ma che il processo di integrazione diverrà più difficile e richieste ulteriori potrebbero essere poste ai due candidati.
I romeni sono ora molto meno entusiasti in merito all'UE di quanto non lo fossero poco tempo fa. Da un recente sondaggio emerge che chi dichiara di vedere positivamente l'UE è sceso sotto il 50%. Un sondaggio dello scorso autunno sottolineava come il 74% dei romeni di fidava nell'UE.
Il blues dell'allargamento
In una mossa interpretata quale sintomo dell'aria diversa che si respira nell'UE il commissario responsabile per l'allargamento, Olli Rehn, ha annunciato in seguito al voto francese ed olandese, che la Romania e la Bulgaria avrebbero ricevuto ammonimenti formali sul fatto che stavano ritardando nell'implementare le riforme, in particolare nel campo della giustizia.
Ha dichiarato che l'UE continuerà sul percorso dell'allargamento "sottolineando l'adesione alla lettera ai criteri posti per l'ingresso nell'UE e comunicando meglio ai nostri cittadini i vantaggi complessivi dell'allargamento".
Ha riconosciuto che "il blues dell'allargamento", come lo ha definito, ha giocato un ruolo nel rifiuto della costituzione da parte di un'opinione pubblica europea sempre più scettica in merito ai benefici legati all'ingresso di nuovi Paesi.
Queste sono cattive notizie per i Balcani occidentali, i cui leader hanno cercato di reagire con decisione alla situazione.
"La Croazia è incamminata sulla strada verso l'Europa, e sta procedendo" ha dichiarato ai suoi cittadini il Presidente croato Stipe Mesic. "Non vi sono alternative ad un'Europa unita. Come non vi sono alternative ad un nostro posto nell'Europa unita".
La sua posizione è condivisa dalla sua controparte macedone, Branko Crvenkovski.
Dopo un incontro con Mesic, tenutosi lo scorso 1 giugno a Zagabria, Cervenkovski ha dichiarato ai giornalisti che "il rifiuto francese della costituzione europea non deve fermare le riforme nei nostri Paesi e il raggiungimento degli standard. Dobbiamo fare tutto ciò che dipende da noi".
La Croazia è il Paese più vicino a sottoscrivere un trattato di adesione con la UE. L'unica questione che ancora blocca dall'avvio formale delle negoziazioni è il fallimento delle autorità croate nell'arrestare il generale Ante Gotovina, ricercato dal Tribunale dell'Aja ma considerato un vero e proprio eroe da molti croati per il suo ruolo nella riconquista, nel 1995, dei territori controllati dai serbi.
Con una mossa senza precedenti i Ministri degli esteri dell'UE hanno deciso in marzo di posporre l'avvio dei negoziati di adesione con la Croazia a causa dell'incapacità dimostrate dal governo nel collaborare pienamente con il Tribunale dell'Aja.
Mentre i Ministri croati si prodigavano per sminuire i possibili effetti negativi del voto francese ed olandese, Neven Mimica, presidente della commissione del Parlamento croato sulla politica estera, ha dichiarato lo scorso 31 maggio che il Paese è ora "più lontano dall'UE che due giorni prima".
"L'UE si concentrerà ora su problemi interni e non sull'allargamento. E' ora chiaro quanto è stato negativo il fatto che abbiamo fallito nel far partire in tempo i negoziati sull'adesione. Se fossimo riusciti, saremmo ora in una posizione meno difficile", ha dichiarato Mimica al quotidiano di Zagabria Vecernji list.
Il quotidiano di Spalato Slobodna Dalmacija ha recentemente riportato affermazioni di fonti rimaste anonime di Bruxelles che affermavano come la Croazia potrebbe subire "danni collaterali" nel probabile scenario del rifiuto della Turchia da parte di alcuni dei Paesi membri. "Sarebbe politicamente e nella pratica impossibile rifiutare la Turchia ed allo stesso tempo aprire la porta alla Croazia, in particolare se non viene soddisfatta la richiesta di piena cooperazione con il Tribunale dell'Aja", si scrive sul quotidiano.
La pressione occidentale per l'arresto dei ricercati per crimini di guerra nei Balcani - in cima alla lista vi sono l'ex leader dei serbo-bosniaci, Radovan Karadzic ed il suo comandante militare Ratko Mladic, che si ritiene sia in Serbia - potrà risultare meno convincente senza la carota di una eventuale adesione, anche se non è solo la questione dei criminali di guerra a preoccupare i riformatori.
Il Presidente della Serbia Boris Tadic ha confermato che molte questioni irrisolte potrebbero divenire ancora più difficili da affrontare se le prospettive di adesione diminuiranno. "Tutte le questioni principali che ci troviamo ad affrontare nella nostra regione diverrebbero molto più difficili da risolvere se viene meno la prospettiva di adesione all'UE" ha affermato al Financial Time, ed in queste parole facile cogliere il riferimento alla questione dello status irrisolto del Kosovo, che formalmente è parte della Serbia e Montenegro ma dal 1999 è sotto amministrazione internazionale.
I negoziati sul suo status finale dovrebbero iniziare in autunno e potrebbero portare ad una sorta di "indipendenza condizionata" dove un supervisore internazionale abbia, per un periodo di transizione, autorità ultima. L'UE dovrebbe giocare, qualsiasi sia l'accordo che emergerà, un ruolo chiave.
L'allargamento comincia a casa
La posizione di chi è a favore dell'integrazione potrebbe anche essere minata da questioni relative alle riforme interne. Un elemento a loro favore sono però le solide maggioranze politiche a favore di legami più stretti con Bruxelles, visti come l'unico modo per uscire dalla povertà e dalla stagnazione.
Ciononostante in Bosnia questi sentimenti non si sono tradotti in volontà politica di soddisfare le condizioni poste dall'UE prima che si possa arrivare alla firma di un Accordo di Stabilizzazione ed Associazione, SAA.
Poco prima dei referendum in Olanda e Francia la comunità serba della Bosnia ha rifiutato una delle condizioni poste dall'UE, la creazione di una forza di polizia unificata. Vi è ora un pericolo reale che l'associazione, lasciando da parte l'adesione, è stata bloccata non da un sentimento europeo anti-allargamento ma dall'incapacità della leadership del Paese ad accordarsi su un percorso realistico.
Il Primo ministro Adnan Terzic ha affermato che il Paese aveva risposto a tutte le condizioni poste e che la UE stava "cambiando le regole del gioco". Dichiarazioni di questo tipo è difficile raccolgano simpatie in particolare ora che l'UE è più concentrata su se stessa.
L'economista Vladimir Gligorov, dell'Istituto di Vienna per gli Studi in Economia Internazionale, intervistato dall'agenzia di stampa con sede a Belgrado BETA, che francesi ed olandesi non hanno rigettato solo la costituzione ma l'intero concetto di UE, e che altri Paesi sono su posizioni simili. "L'intera questione dell'allargamento verrà ora riaperta. E' difficile ora dire se questo porterà a posticipare le date di adesione degli altri Paesi. Certo è che vi sarà un irrigidimento sui criteri per la candidatura per l'integrazione".
L'attuale incertezza ed il cambiamento di umore non colpisce solo la politica interna dei Paesi che aspirano all'adesione ma ha anche ripercussioni sulle relazioni internazionali, che a loro volta si riflettono sui Balcani.
In un articolo pubblicato sul New York Times, il 5 giugno scorso, l'editorialista Roger Cohen ha riassunto le difficoltà che il governo USA incontrerà nei Balcani quando avrà a che fare con l'UE sulle questioni chiave che domineranno il resto dell'anno in corso: "Proprio nel momento nel quale l'amministrazione sperava di raccogliere i frutti maturi degli sforzi di migliorare i rapporti con l'UE - in particolare nella forma di assistenza "critica" in Iran ed in merito ai negoziati che dovrebbero cominciare in Kosovo sullo status finale - si trova ad avere a che fare con un continente consumato dalle sue questioni interne".
Ma l'allargamento non è uscito dall'agenda. L'umore di un pubblico incostante potrebbe cambiare; i leader occidentali potrebbero riconoscere che l'integrazione di un'area tradizionalmente problematica all'interno di una più ampia struttura europea non è un'opzione, ma una necessità, ed i Paesi dei Balcani potrebbero accelerare le riforme.
Il Commissario per l'allargamento Rhen ha dichiarato ai giornalisti a Bruxelles che "le dicerie sulla morte della politica d'allargamento dell'UE sono evidentemente esagerate". Ed ha aggiunto: "Non mi sono ancora iscritto all'ufficio di collocamento e non ho neppure chiuso le serrande".