L'immagine di copertina di "Prima che la Jugoslavia finisse" (Infinito Edizioni)

L'immagine di copertina di "Prima che la Jugoslavia finisse" (Infinito Edizioni)

Una storia d'amore, una lotta per sopravvivere alle tragiche vicende del '900. E per protagonista la terra rossa d'Istria

03/02/2020 -  Vittorio Filippi

Dopo ormai diciassette anni dalla sua cancellazione ufficiale, il termine Jugoslavia ritorna. Ancora una volta. Quasi a sottolineare la complessità non del tutto elaborata di un esperimento politico-statuale durato 74 anni, una formula breve per un “secolo breve”, per dirla con Hobsbawm.

Questa volta ritorna nel titolo di un asciutto romanzo storico che fa intersecare, pagina dopo pagina, la microstoria delle singole vite nelle loro difficili quotidianità con la macrostoria (per alcuni versi fin troppo macro, come disse Churchill dei Balcani) che attraversa quella faglia geostrategica piccola ma complicata che è l’Istria.

Perché è in Istria che si dipana la biografia della protagonista centrale del romanzo, che attraversa con la sua vita per alcuni versi avventurosa (come furono avventurosi tempi e luoghi) i vari diaframmi che la storia novecentesca drammaticamente pone: dall’Istria italiana (di cui al trattato di Rapallo del 1920), alla violenza del cosiddetto “fascismo di confine” e via via fino alla guerra, al contatto con il mondo partigiano, al doversi schierare tra ideologie ed irredentismi, alle grandi speranze del socialismo titoista ed anche alle sue altrettanto grandi, graffianti delusioni.

Una biografia che - fortunatamente, scrive l’autrice - si chiude in tempo per risparmiarsi il baratro in cui affonda la Jugoslavia del dopo Tito, in cui ritornano come spettri usciti da certe pagine di Miroslav Krleža le violenze, le soldataglie, i nazionalismi.

Come si è detto, questo è un romanzo che mescola la storia evenemenziale con la storia profonda, per usare la tassonomia di Braudel e della scuola degli Annales. Ma la storia profonda non è solo l’obbligato e superficiale sfondo della storia evenemenziale, perché è quest’ultima a condurci – sia pure letterariamente – verso la comprensione di una storia grande, complessa e tragica come quella jugoslava. Questi tre aggettivi pesanti si giustificano se si pensa che in quelle terre (ed in particolare nella rossa terra d’Istria) si sono giocati i confronti della guerra fredda, le convivenze tra popoli e culture diverse, i destini di un socialismo sui generis, nonché una parte della stessa storia d’Italia, prima fascista e poi repubblicana, disegnata proprio dal confronto talvolta durissimo con la nuova Jugoslavia socialista. In questo senso allora il romanzo storico si fa esso stesso storia obbligando noi italiani a fare i conti con un confine ingombrante e con un paese – Prima che la Jugoslavia finisse - altrettanto ingombrante quanto ineludibile perché, lo si voglia o no, intrecciato fortemente a tante italiche vicende.

 

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