Decine di migliaia di persone nei Balcani stanno firmando per sostenere il progetto della Rekom, un'iniziativa regionale volta ad accertare i fatti avvenuti durante i dieci anni di guerre in ex Jugoslavia. Un passo concreto verso la riconciliazione. Il progetto nella voce di alcuni dei suoi protagonisti
Il 23 giugno Maja Mićić, rappresentante della Rekom, sarà a Rovereto per partecipare al dibattito “Vent'anni dopo: donne per la riconciliazione nei Balcani”, organizzato da Osservatorio Balcani e Caucaso in collaborazione con il comune di Rovereto nell'ambito della manifestazione “Sentieri di Pace 2011”
Un milione di firme da raccogliere entro il 30 giugno in tutta la regione, per chiedere a parlamenti e governi dei Paesi dell'ex Jugoslavia di istituire una Commissione sulla verità riguardo ai dieci anni di guerre balcaniche (1991-2001). E' quello che sta provando a fare la “Coalizione per Rekom”, un insieme di 1.780 soggetti tra ong, associazioni, media, enti religiosi e singoli individui provenienti da tutta la regione.
La campagna, iniziata il 26 aprile scorso, è già arrivata a 225.000 firme. I presidenti di Croazia e Serbia, Ivo Josipović e Boris Tadić, e il primo ministro del Montenegro, Igor Lukšić, hanno firmato la petizione assieme ad altre personalità politiche. Secondo un sondaggio fatto dalle ong, tra il 25 e il 35% dei cittadini della ex Jugoslavia conosce e sostiene l'iniziativa della Coalizione per Rekom. Questa, per gli attivisti, è già una vittoria.
Nelle intenzioni dei proponenti, Rekom sarà una commissione regionale inter-statale, sostenuta economicamente dai diversi governi, che metteranno a disposizione le informazioni sugli eventi bellici in loro possesso. La Commissione sarà formata da 20 membri, ciascuno dei quali dovrà ricevere l'approvazione di tutti i Paesi coinvolti, personalità che godano di una piena fiducia per lo svolgimento del lavoro che andranno ad affrontare.
Dare voce alle vittime
“I cittadini dei Balcani – spiega Lazar Stojanović della Coalizione per Rekom - non hanno dimenticato le tragedie provocate da dieci anni di guerra. I tribunali per i crimini di guerra hanno come unico scopo quello di punire i colpevoli, utilizzando le vittime unicamente come testimoni. Rekom darà voce alle vittime con momenti di ascolto pubblico e confronto. Non saranno prese in considerazione solo le vittime di crimini di guerra, ma anche quelle che hanno sofferto per la guerra in senso lato, dagli sfollati a chi è dovuto fuggire all'estero per sfuggire alla coscrizione obbligatoria”.
Rekom cercherà di arrivare il più vicino possibile alla verità dei fatti raccogliendo testimonianze, articoli di giornali, le sentenze dei tribunali di guerra locali e internazionali, i libri e tutto ciò che possa aiutare a portare avanti questo compito. Se alcuni fatti accertati da questo lavoro saranno diversi da quelli, ad esempio, contenuti nelle sentenze dei tribunali, la Commissione non potrà fare altro che trasmetterli alle sedi giudiziarie competenti senza però, ci tengono a precisare da Rekom, aver nessun tipo di potere se non quello di informare il pubblico.
“La prima commissione regionale al mondo avrà come unico mandato quello di raccogliere e pubblicare i fatti che riguardano le vittime e le violazioni dei diritti umani perpetrati tra il 1991 e il 2001 – continua Lazar Stojanović.”
Un'altra questione che verrà affrontata è quella dei dispersi, ad oggi circa 14.500 persone di cui non si conoscono le circostanze della morte. “Rekom dovrà occuparsi di tutti i morti, sia civili che militari. Per questo è molto importante la collaborazione che abbiamo avviato con le varie associazioni dei veterani e con quelle degli ex-internati dei campi di concentramento – spiega ancora l'attivista.”
Una visione condivisa sulla storia recente
L'idea dunque è quella di raggiungere una storia condivisa sulla quale potersi confrontare con cognizione di causa, senza cadere nelle manipolazioni in senso nazionalistico portate avanti utilizzando proprio i fatti dell'ultima guerra. I governi dovranno sostenere il lavoro della commissione e spingere vittime e colpevoli a parlare.
“Sono passati dieci anni dalla fine della guerra – conclude il rappresentate della Coalizione per Rekom. È il tempo minimo per formare una commissione di questo tipo, non è troppo tardi. Del resto nei Balcani non siamo ancora venuti a patti con i fatti della Seconda Guerra Mondiale, ma neanche con le guerre balcaniche e, se vogliamo arrivare all'assurdo, non abbiamo ancora superato la battaglia del Kosovo del 1389”.
La raccolta di firme è iniziata contemporaneamente a Sarajevo, Banja Luka, Belgrado, Lubiana, Zagabria, Skopje, Pristina e Podgorica. Ogni comitato locale affronta le difficoltà proprie del posto.
Siniša Bundalo, da Banja Luka, è soddisfatto delle 5.000 firme raccolte finora. Racconta che non ci sono stati problemi, non ci sono stati attacchi né dai politici né dai media. La difficoltà più grossa è la diffidenza iniziale, perché le persone in Republika Srpska (RS) sono così abituate ad essere manipolate che il sospetto che si tratti di un'iniziativa anti-serba scatta automaticamente. “Quando però spieghiamo che si tratta di una commissione per arrivare alla verità, allora la gente firma. Perché tutti vogliono sapere la verità”.
Problema opposto a Pristina dove, come racconta Kushtrim Koliqi dell'ong Integra, che svolge la campagna per Rekom, le firme raccolte sono già l'85% di quelle che andavano raccolte per il Kosovo. Le persone che hanno firmato sono già circa 80.000, tra le quali anche persone che vivono nelle aree a maggioranza serba, ma gli attacchi da parte di altre ong o di personalità politiche sono frequenti. “Ci accusano di portare avanti una campagna per la Serbia e non per il Kosovo, purtroppo in Kosovo manca ancora un dibattito sul confronto con il passato e con gli eventi della guerra”.
Papà, dov'eri durante la guerra?
Žarko Puhovski, storico attivista croato e professore alla Facoltà di Filosofia di Zagabria, è una delle personalità che stanno lavorando per la creazione di Rekom. “Quello di cui abbiamo bisogno, nei Balcani, è una cosa che non abbiamo mai sperimentato: affrontare il passato. Questo non avviene né in Serbia, né in Croazia o in Bosnia Erzegovina. Il nostro intento è quello di renderlo, se non effettivo, almeno possibile, raccogliendo tutti i fatti non solo in relazione ai crimini di guerra, ma anche alle vittime della guerra. Bisogna evitare quello che è successo dopo la Seconda Guerra Mondiale, ovvero che nessuno sapeva esattamente quante persone fossero morte, chi fossero le vittime. Questo portò a molti spiacevoli dibattiti nazionalistici nel periodo jugoslavo e post – jugoslavo. Quello a cui noi aspiriamo è avere fatti precisi e, ancora di più, dare un nome alle vittime”.
Rivolgersi al passato però non è facile in un Paese come la Croazia, che sta per entrare in Europa ed è quindi più rivolto al futuro. “Siamo in una situazione simile a quella della Germania dei primi anni sessanta. Allora c'era il boom economico, e i tedeschi erano più che felici di scordare quello che era accaduto nella Seconda Guerra Mondiale. La generazione del '68, però, ha costretto la società a guardare il passato, per ragioni sociali, morali ma anche psicologiche. I figli iniziarono a chiedere al padre e anche alla madre: 'Cosa hai fatto durante la guerra?' E se si può mentire ai giudici o ai giornalisti, è più difficile mentire a tuo figlio. E questa è una cosa che ci aspettiamo dai nostri giovani. Diciamo che, in rapporto alla situazione tedesca, con la coalizione per Rekom adesso siamo nel 1960. Stiamo preparando il terreno per il momento in cui, tra cinque o sei anni, i ragazzi inizieranno a fare ai propri genitori domande scomode”.
In Croazia c'è però ancora un forte sentimento nazionale che complica le cose. “Si può dire che la Croazia abbia vinto la guerra, ed è difficile fare queste domande nella nazione vincitrice. Negli Usa, ancora oggi, non si può neppure sollevare la questione se bombardare Hiroshima e Nagasaki sia stato un crimine di guerra o no. Quindi sarà difficile sollevare questioni analoghe in Croazia, dove la gente si chiede perché i propri eroi nazionali debbano essere perseguiti”. La sentenza a 24 anni di carcere per Gotovina, ad esempio, ha scatenato un'ondata di sentimento anti-europeo, proprio ora che Zagabria è a due passi dalla membership. E comunque, conclude Puhovski, “dobbiamo insistere perché la Croazia appoggi Rekom prima di entrare in Europa. Una volta dentro non ci saranno più strumenti per fare pressione sul governo, e avremo perso un'altra occasione per affrontare il nostro passato”.