Pila di libri su un tavola di una biblioteca © Billion Photos/Shutterstock

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Il commento di Božidar Stanišić sul testo di Diego Zandel “Anita Likmeta e la fiaba sul comunismo”, pubblicato su queste pagine lo scorso 19 agosto

22/08/2024 -  Božidar Stanišić

Non ho letto il libro di racconti di Anita Likmeta, ma il testo di Diego Zandel sul suo libro di racconti l’ho letto.

Questa è una recensione?

Se sullo scaffale di un negozio di ferramenta su un cacciavite troviamo l’etichetta con scritto martello, crederemo che si tratti davvero di un martello?

Lasciando il giudizio ai lettori, vi ricordo solo che in rete potete trovare numerose definizioni di recensione, in fondo del tutto simili, da Wikipedia all’edizione elettronica della Treccani. Ciascuna tiene conto che il termine deriva dal verbo latino recensere, che significa esaminare, riflettere.

Considerata un testo valutativo e interpretativo di un’opera letteraria, artistica o scientifica, la recensione dovrebbe essere frutto di un’analisi che tratta aspetti estetici e contenutistici. Certamente, destinata ad un vasto pubblico, può contenere anche un ritratto biografico dell’artista o dello scienziato.

Nel testo di Zandel ho trovato poco di tutto ciò e neppure un accenno agli aspetti estetici. Il suo testo è una recensione camuffata il cui vero scopo ritengo non sia stata la presentazione di un libro di racconti ma esporre una propria riflessione del tutto ideologica.

Comunque sia, questa recensione mi ha ricordato un aneddoto della giovinezza nella mia Cartagine (il termine sarà spiegato più avanti).

In quell’aneddoto, un professore di biologia un po’ senile pone da anni agli studenti la stessa domanda – sulla farfalla. Tutti gli studenti quindi studiano solo questo argomento. Ad un esame il professore inaspettatamente pone ad uno degli studenti la domanda sull’elefante. E quello studente? “Un elefante? Ha quattro zampe, due orecchie… Poi… Ha due occhi, una coda… Anche una proboscide su cui spesso si posa una farfalla!”. Quindi continua, ovviamente parlando della farfalla.

Diego Zandel? Nel suo caso credo sia meglio sostituire la farfalla (il libro dei racconti che forse davvero avrebbe voluto recensire, ma non l’ha fatto) con l’elefante (il comunismo che in Europa non c’è più). Perciò ritengo che la sostanza del suo scritto, in cui doveva analizzare piuttosto un libro di narrativa, sia l’ammonizione di Catone Ceterum censeo Carthaginem esse delendam. Però con un anacronismo. Semplicemente: Carthago diruta est. (Nella Jugo - Cartagine, ormai disfatta, abbiamo studiato il latino, il che, tuttavia, non ci ha salvato dalla nostra vergogna fratricida degli anni novanta; quindi ne siamo responsabili).

E qui, provo a dare uno sguardo sulla sua “recensione” del comunismo, ovvero sulla maggior parte del suo testo in cui, non volendo sottovalutare l’intelligenza dei lettori, mi fermerò solo su alcuni punti cruciali. Soprattutto su quelli in cui è morto ogni forse e figuriamoci i punti interrogativi. (Dovrei sottolineare il fatto, più di una volta anche descritto, che non sono stato membro dell’unico Partito, né penso che Tito sia stato un santo; tuttavia, ritengo che la Storia non possa essere trattata in termini generali, ma con i metodi scientifici che comprendono la ricerca e il confronto continuo degli scritti).

Zandel ritiene che il comunismo – messo tutto insieme in un sacco – sia stato solo e unicamente un mondo di paura. Se fosse ancora vivo Edward Said, avrebbe sicuramente qualcosa da dire su questa affermazione. Comodamente espressa da Zandel, da Said sarebbe vista come la proiezione della paura attuale, sia la nostra che quella sperimentata da tutta l’umanità; tutto a causa di una “piccola cosa” ovvero una catastrofe nucleare.

Solo chi vive convinto di sapere tutto sui vizi umani, sulle loro “vere origini”, può pensare che l’invidia sia esistita soltanto nel mondo comunista. Idem l’ipocrisia.

La violenza esisteva solo laddove governava l’ideologia comunista? Non dico nulla perché tutti sappiamo molto bene – anche quando stiamo zitti in questo mondo libero (direbbe Ken Loach) – che la violenza si manifesta in varie forme nel nostro oggi democratico e pure nel contesto del santo libero mercato.

E, a proposito della Milano, nel testo di Zandel idealizzata, per puro caso conosco anche alcuni altri volti della metropoli lombarda, incluse le mense per i poveri. Non poche, purtroppo.

Poi, Zandel sa come e cosa si insegnava nelle scuole dei paesi comunisti? Posso testimoniare solo del caso jugoslavo. In breve: abbiamo comunque studiato e imparato molto di più sugli altri di quanto loro abbiano imparato su di noi.

Una seria analisi della prassi comunista in vari e, tra l’altro, diversi paesi potrebbe essere basata su una semplificazione? Con il metodo Zandel è possibile anche se scientificamente insostenibile. Nella seconda parte della “recensione” si è fatto un sacco con dentro “vari dittatori, da Enver Hoxha e Stalin e successori, da Tito a Zivkov a Ceausescu”.

E con lo stesso “metodo”, è possibile almeno intuire come siamo, dopo il crollo del Muro, arrivati al punto di svolta nella nostra storia in movimento? No, non vorrei sottovalutare i lettori. Non vado oltre.

Infine, colui che scrive recensioni di libri di narrativa che li analizzi restando umile e concentrato su ciò che conosce davvero.

Quindi…

Sutor, neultre crepidam! Ci vuole la traduzione? Eccola: Ciabattino, non [andare] oltre la scarpa!