Un traghetto lungo il canale di Lesina - foto di Fabio Fiori

Lungo il canale di Lesina - foto di Fabio Fiori

I traghetti della Jadrolinija realizzano da decenni i sogni di mare di milioni di turisti e sono essenziale cordone ombelicale, durante il resto dell'anno, tra le isole croate e la terraferma

24/08/2022 -  Fabio Fiori

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Per chi come me ama arrivare nelle città adriatiche dal mare, i traghetti Jadrolinija sono leggendari. Traghetti transadriatici piccoli e lenti, se paragonati a quelli giganti e veloci che collegano l'Italia con la Grecia o alle meganavi da crociera, perciò ancora più romantici oggi. Sempre che si viva il viaggio non come un algido, fastidioso spostamento, ma nella pienezza di relazione con lo spazio e il tempo. O semplicemente che si ami guardare e annusare il mare dal ponte di una nave, affacciarsi alle battagliole delle murate per vedere le città allargare le braccia o stare a poppa per vederle richiudere, rimpicciolendo nella scia spumeggiane ed effimera, come la vita.

“Ed ecco che la rivedeva, quella stupefacente riva d'approdo, quell'abbagliante composizione di edifici fantastici che la Serenissima presentava agli sguardi riverenti dei navigatori che si approssimavano… e mentre contemplava si disse che arrivare a Venezia dalla terraferma era come entrare in un palazzo dalla porta di servizio, e che solo per nave, dall'alto mare, come aveva fatto lui questa volta, bisognava giungere nella più inverosimile città del mondo”. È questa l'idea del famoso scrittore tedesco Gustav Aschenbach, alter ego di Thomas Mann, in “Morte a Venezia”. È questa l'idea di tutti quelli che, consciamente o inconsciamente, sono legati affettivamente ai traghetti della Jadrolinija, qualsiasi sia il porto di partenza o di arrivo, oggi sulle rotte Ancona-Spalato o Bari-Ragusa o sulle decine di altre brevi tratte che collegano la costa alle isole istro-dalmate.

La nave ammiraglia della Jadrolinija, la Marko Polo, ancorata ad Ancona - Foto di Fabio Fiori

La nave ammiraglia della Jadrolinija, la Marko Polo, ancorata ad Ancona - Foto di Fabio Fiori

Jadrolinija, fondata a Fiume nel gennaio del 1947, insieme alla compagnia di trasporto mercantile Jugolinija oggi non più attiva. Jadrolinija che riuniva, con decreto firmato del presidente del governo della Jugoslavia, il Maresciallo Josip Broz Tito, le precedenti più piccole compagnie di navigazione che avevano sede a Fiume. La fondazione di una delle quali viene fatta risalire al 1882. Possiamo così dire che quest'anno Jadrolinija compie 75 anni o addirittura 140, se si considerano le precedenti esperienze imprenditoriali da cui origina.

Jadrolinija che ancora una volta, con una delle sue navi ammiraglie la Marko Polo, mi ha portato da Ancona a Spalato, in una burrascosa notte di luglio, perché il mare era imbiancato da una forte Bora chiara e i motori dovevano spingere forte, mentre lo scafo beccheggiava e rollava sulle onde spumeggianti. Ancora una volta ho rinnovato le ritualità del passeggero, nelle modalità odierne, dell'acquisto del biglietto sola andata per due persone, “passaggio ponte”, con uno scooter, per un totale di 146 euro; dell'imbarco in stiva, della salita dalle strette scale in ferro nel ventre torrido della nave, fino al quarto ponte e all'aria aperta. Ed è quest'ultimo il vero, prezioso, impareggiabile regalo offerto da questi traghetti! Perché sulla Marko Polo, oggi come un tempo, si può scegliere dove stare per godersi il viaggio. Non nelle gelide arie condizionate interne, stordenti e anonime di tutte le grandi navi di oggi o esclusivamente a poppa sotto la cappa maleodorante dei camini. No! sui traghetti Jadrolinija possiamo stare sulle murate, in piedi appoggiati alle battagliole o seduti sulle panchine. Anche in navigazione, sopravento o sottovento, all'ombra o al sole, per godere di un panorama e di un'aria salmastra indimenticabile. Il mio traghetto era poco affollato, soprattutto mancavano i mitteleuropei un tempo numerosi, che oggi preferiscono probabilmente raggiungere le coste dalmate in auto, percorrendo le nuove autostrade prima e poi la ormai mitica, ma sempre trafficata Jadranska Magistrala. Al tramonto, quando già eravamo a una decina di miglia dalla costa, sul quarto ponte della murata sinistra, un ragazzo suonava note struggenti al sax per la sua innamorata. Su quella destra un elegante vecchio signore slavo leggeva a voce alta pagine di un libro, accarezzando dolcemente i capelli alla sua compagna stesa sulla panca che poggiava la testa sulle sue gambe. C’era chi guardava il sole inabissarsi in direzione della terraferma e chi invece preferiva un orizzonte pelagico morato.

Non tutte le città adriatiche offrono “l'aerea magnificenza del Palazzo Ducale e il Ponte dei Sospiri, le colonne sulla riva col Leone e col Santo, il pomposo aggetto del tempio fiabesco, il traforo della Porta dell'Orologio coi Mori”, sempre riprendendo Mann. Ma tutte, viste dal mare, hanno un innegabile fascino levantino. Così come le coste viste dal mare stemperano qualche angoscia paesaggistica contemporanea, per riammantarsi dell'originaria aura geografica.

Nelle luci del tramonto il Conero prende le forme di un'isola scura che si staglia nell'ardore infuocato di un giorno che non vuole lasciarsi sopraffare dalla notte. Mentre in quelle dell'alba le isole spalatine annunciano l'arrivo nel labirinto terracqueo dalmatico, in un ocra aurorale che è il colore dell'alba del mondo. Un mondo antico, caro ai marinai veneziani e prima di loro a quelli bizantini, romani, illirici, greci e chissà quanti altri che hanno fatto vela in un dedalo d'approdi vicini, di rive feconde. Perciò, dopo aver bevuto un paio di pivo točeno, guardando l'ultima luce solare punteggiata dagli scintillii stellari, ho appuntato sul mio taccuino che il viaggio con i traghetti Jadrolinija dovrebbe essere riconosciuto come un patrimonio immateriale dell'umanità. O almeno dell'Homo adriaticus, aggiungo ora più pacatamente, ma con immutata emozione. Quella indimenticabile che regalano le arie salmastre e i colori del crepuscolo, riflessi dall'altomare adriatico.