Edi Rama al Western Balkan Media Days di Tirana (foto N. Pedrazzi)

Edi Rama al Western Balkan Media Days di Tirana (foto N. Pedrazzi)

Organizzata dalla Commissione europea, la due giorni ha posto la libertà di stampa al centro del dibattito sull’eurointegrazione dei Balcani Occidentali. A far parlare di sé il discorso del premier albanese Rama e il “flash-mob” improvvisato dai giornalisti serbi

14/11/2017 -  Nicola Pedrazzi Tirana

Quando politici, ambasciatori e alti funzionari europei si riuniscono nel più lussuoso hotel della capitale che li ospita, la discussione che ne scaturisce solitamente tende a darsi i limiti e i toni che si convengono alle classi dirigenti. Così non è stato per i Western Balkan Media Days di Tirana: un’intensa due giorni di dibattito che la Commissione europea ha voluto dedicare allo stato della libertà di stampa nei Balcani Occidentali e che tra l’8 e il 10 novembre scorsi ha registrato più di 250 partecipanti. A fianco dei politici locali e dei funzionari europei, giornalisti, rappresentanti delle associazioni di categoria e attivisti della società civile provenienti da tutti i paesi balcanici – anzitutto dalla Serbia – hanno stipato il grattacielo dell’hotel Plaza fresco di inaugurazione per condividere pensieri e preoccupazioni su un tema che è al centro della faticosa transizione democratica dei loro paesi.

“La libertà di espressione è un valore fondamentale dell'Unione europea e in quanto tale è una condizione non negoziabile per ogni candidato sulla strada verso l'adesione all'UE”, ha dichiarato il commissario UE per l'allargamento Johannes Hahn aprendo i lavori. “La Commissione monitora costantemente le sfide e gli ostacoli che i giornalisti dei Balcani affrontano nell'esercizio della propria professione: queste osservazioni si riflettono direttamente nei nostri rapporti sui singoli paesi della regione; data la mancanza di progressi continueremo a seguire la questione, ad affrontarla con le autorità e a insistere sul fatto che non vi deve essere alcuna impunità”.

Mentre dalla Commissione il messaggio politico usciva chiaro – “la libertà di stampa è un criterio imprescindibile per l’adesione all’Unione” –, le proteste dei giornalisti serbi che hanno chiesto all’Ue un maggiore impegno nel campo della mediafreedom, il controverso discorso di apertura del premier ospitante Edi Rama e le animate discussioni aperte nei singoli workshop hanno restituito la vivace complessità del presente.

L'appello dei giornalisti serbi: #EUdomore

Dopo i discorsi di apertura di Hahn e Rama – per i quali il format non prevedeva contraddittorio e al termine dei quali il secondo ha lasciato la sala – il panel d’apertura moderato dal celebre giornalista dell’”Economist” Tim Judah ha riunito a dibattito il capo esecutivo della Thomson Foundation Nigel Baker, la direttrice del Centro per la Democrazia e la Riconciliazione nel sud-est Europa (CDRSEE ) Zvezdana Kovač; la giornalista dell’emittente albanese “Ora News” Ilva Tare, il membro di Styria Media Group Klaus Schweighofer e la direttrice per i Balcani Occidentali della DG NEAR Genoveva Ruiz Calavera (la quale ha sostituito all’ultimo minuto l’ambasciatrice Ue in Albania Romana Vlahutin: un cambio di programma che ai presenti non è passato inosservato). Dopo il primo giro di tavolo ai giornalisti in sala è stato concesso il microfono, ed è a quel punto che si è compreso che la due giorni sarebbe stata intensa.

Il clima non si è scaldato subito. Alcuni giornalisti hanno chiesto perché l’ambasciatrice Ue non fosse presente, altri si sono dichiarati "delusi" per il discorso pronunciato dal premier albanese; a un certo punto, da un angolo della sala, la giornalista albanese Alida Karakushi ha domandato perché la Commissione europea avesse bloccato il profilo twitter del portale EXIT : “Siamo qui ad auspicare un giornalismo indipendente, EXIT è indipendente, anche se è critico verso le istituzioni europee”. Di domanda in domanda, i relatori sul palco si sono aperti a risposte sempre meno ingessate, fino a quando il microfono è passato a Branko Čečen , direttore del Center for Investigative Journalism of Serbia (CINS ): “Da Tirana chiediamo all'Unione europea di sostenere il giornalismo libero, professionale e responsabile in Serbia, chiediamo di smettere di trascurare il disperato stato del giornalismo serbo”. A queste parole una decina di colleghi si sono alzati in piedi, indossando sopra cravatte e tailleurs una maglietta nera con su scritto “questo è il colore che vedi quando non c’è libertà di stampa”. Con l’aiuto dell’hashtag #EUdomore, in pochi minuti il “flash-mob” si è diffuso in rete, mentre nel corso dell’evento le t-shirts sono state distribuite a colleghi giornalisti di tutte le nazionalità.

“Parlo a nome di più di 130 organizzazioni libere, indipendenti e professionali, che si sentono disperate” – ha detto Čečen, mettendo l’accento sull’abisso che separa la percezione pubblica del progresso democratico serbo visto dall’ottica della Commissione e la realtà quotidiana, in cui il governo marginalizza e minaccia il giornalismo indipendente. “Ogni tanto i funzionari dell'Ue potrebbero visitare noi giornalisti indipendenti, e se ritengono che il nostro lavoro sia democratico e europeo ci potrebbero sostenere, anziché sostenere solamente il governo serbo”. Slobodan Georgiev del Balkan Investigative Reporting Network (BIRN ) ha fatto eco al collega evidenziando il doppio standard delle istituzioni europee sulle aggressioni ai giornalisti: “Un conto è quando avvengono negli stati membri, un altro quando ogni giorno accadono nei Balcani”.

Elettrizzati da una mattinata inattesa, i workshop del pomeriggio hanno confermato il desiderio di confronto aperto. Al centro di un dibattito dominato dall’idea condivisa di vivere all’interno di una “rivoluzione epocale” che coinvolge tutto il panorama mediatico europeo e di cui non sono prevedibili gli esiti, gli organizzatori hanno posto le relazioni che i sistemi mediatici dei paesi balcanici intrattengono con il mercato, con la rivoluzione digitale, con l’etica e la deontologia professionale, con le loro società in transizione, con la riconciliazione politica e l’implementazione delle riforme.

Edi Rama: un discorso scivoloso

I Western Balkan Media Days sono approdati a Tirana nei giorni in cui era in corso uno scontro aperto tra governo e giornalismo albanese. Appena due settimane prima, imbarazzato dal “caso Tahiri” che ne scuote l’esecutivo, Edi Rama si era scagliato contro “il calderone mediatico” che impedirebbe all’opinione pubblica nazionale “una corretta comprensione dei fatti”. Il suo discorso in un contesto europeo era dunque molto atteso anche dalla stampa locale, pronta a cogliere nelle sue parole quel doppio registro che Rama è abituato a utilizzare muovendosi tra il suo palazzo e le cancellerie europee. L’attacco del primo ministro albanese, accolto con un sospiro di sollievo dai funzionari Ue, sembrava in effetti ricalcare il copione del leader consapevole dei problemi del suo paese: “Freedom House, Reporters without Borders e la Commissione europea sono concordi nel dire che i mezzi di comunicazione nella nostra regione sono parzialmente liberi. Al contempo la libertà di espressione è un diritto fondamentale, l'arma più potente che abbiamo per combattere le ingiustizie, compresa la corruzione, lungo il cammino verso l'integrazione europea”.

Ma a questo incipit sono seguiti diversi “tuttavia”, alquanto indicativi della mentalità con cui il primo ministro albanese si approccia alla libertà di espressione: “Tuttavia, se la intendiamo come arma per proteggere i valori e i principi della famiglia europea, la stampa non dovrebbe mai essere usata per colpire i valori e i principi alla base del meccanismo democratico. Purtroppo in Albania la dignità delle persone è violata quotidianamente. Anche adesso che stiamo parlando, una violazione simile è probabilmente in corso. I media albanesi sono diventati istituzioni non attendibili per il pubblico. Le fake news oscurano la verità. Il padre fondatore del giornalismo italiano, Indro Montanelli, diceva che di un giornalista ricco non ci si può fidare; oggi in Albania i media stanno crescendo come un tumore nelle mani dei ricchi. Il dovere di non lasciare che la libertà dei media precipiti nel degrado del quotidiano è il dovere dell'intera società”. Nella ricostruzione del premier, la scarsa indipendenza dei media albanesi sarebbe riconducibile ai potentati economici che ne inibiscono l’attendibilità; le fake news colpirebbero unicamente la dignità del suo governo e la politica sarebbe estranea alla parcellizzazione del panorama mediatico e al suo utilizzo fazioso. In questo quadro, i salari dei giornalisti, l’autocensura dovuta alla precarietà del lavoro, la proliferazione delle testate politicizzate, le aggressioni e le minacce fisiche cui sono esposti gli esponenti della professione non sarebbero “fatti” meritevoli di attenzione.

Poco dopo l’intervento di Rama, Top Channel – una delle principali emittenti televisive del paese, solitamente vicina al Partito Socialista del premier – ha mandato in onda un servizio riepilogativo delle critiche che Bruxelles muove al sistema mediatico albanese. Titolo del documentario: “Hahn e kazan”, ovvero “Hahn e il calderone”, per riprendere l’espressione del primo ministro. “Davanti al Commissario Hahn, Rama non ha menzionato ‘il calderone’, né ha etichettato i giornalisti come ‘stupidi’, ‘incompetenti’ o ‘ignoranti’, espressioni che i giornalisti albanesi sentono spesso quando fanno domande al premer. L’incontro sulla libertà dei media e la conferenza stampa con il commissario Hahn non sono stati trasmessi come le altre attività del Premier sul suo canale personale ERTV TV, ma erano presenti altre telecamere”, ha riportato il commento editoriale di Top Channel.

Tuttavia, secondo il sito Tiranapost.al ed altre fonti non propriamente vicine al governo, lo scontro tra Rama e il colosso televisivo da sempre amico non riguarderebbe tanto la difesa della libertà di fare giornalismo, quanto la nomina del nuovo direttore delle poste. Il 3 novembre è stato infatti nominato Laert Duraj, candidato del Partito Socialista alle elezioni di giugno, mentre la magnate di Top Channel Vjollca Hoxha avrebbe spinto per qualcun altro. Che si tratti di fake news o di esempio perfetto dell’intreccio inestricabile tra media, politica e affari in Albania, l’impressione è che nella partita tra governo e sistema mediatico albanese il lessico europeo del mediafreedom venga utilizzato per parlare di tutt’altro.

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