Tre italiani, dopo l'8 settembre, passano dalla parte dei partigiani jugoslavi, vivendo esperienze straordinarie di lotta e fratellanza. Giacomo Scotti, poeta, scrittore e saggista al confine tra i mondi italiano e slavo, racconta la Storia attraverso la lente della concreta esperienza umana. Edizioni Kappa Vu, 2006
Di Federico Degni Carando*
La "Giornata del ricordo dell'esodo degli italiani da Istria, Fiume e Dalmazia" del 10 febbraio rischia di diffondere tra gli italiani un'idea distorta del contesto storico in cui i fatti si svolsero. In primo luogo perché, come ha sottolineato Michele Nardelli su Osservatorio sui Balcani il 10 febbraio scorso, non si rende un buon servizio alla storia decontestualizzando gli avvenimenti che si trattano. In secondo luogo, perché si tende semplicisticamente a generalizzare quei fatti, facendo intendere che alla base ci sia stato uno scontro etnico, italiani da una parte, jugoslavi dall'altra. A tal proposito è interessante l'ultimo libro di Giacomo Scotti "Tre storie partigiane", edito da Kappa Vu poco meno di un mese fa. Lo scrittore napoletano mostra come durante l'ultimo conflitto mondiale diversi soldati italiani, trovatisi in Jugoslavia dopo l'8 settembre, abbiano lottato contro i nazi-fascisti al fianco dei partigiani di Tito, vivendo una straordinaria esperienza di fratellanza. Questa macrostoria la tramanda attraverso tre microstorie.
La prima riguarda Antonio Ciccarelli, medico napoletano, ribattezzato dai titini "Doktor Anton". Scotti lo conobbe nel 1975. Si unì ai partigiani sloveni subito dopo l'8 settembre, combattendo vicino al confine tra Slovenia ed Italia. Uomo di poche parole, aveva vissuto parte della giovinezza a Gorizia e amava liquidare con un semplice "non ho fatto nient'altro che il mio dovere di uomo e di medico, per una causa giusta" la sua esperienza. Oggi Ciccarelli è un personaggio popolarissimo nelle zone in cui ha combattuto e il "Museo della Rivoluzione" di Lubiana gli ha dedicato una sezione.
La seconda narra di un altro medico, stavolta piemontese, Domenico David, ribattezzato "Cappello Alpino". Partendo dal Sangiaccato si unì ai partigiani partecipando alla liberazione di Belgrado. Ufficiale della "Taurinense", si imbatte dopo l'8 settembre nei partigiani di Pero Popovic', che gli chiede di unirsi a loro. Domenico accetta e, "dopo qualche ora di marcia (...) Pero, indicando col dito una stella in cielo, sorridendo dice 'Zvezda', poi indica la stella rossa sulla sua bustina 'crvena zvezda'. Sono le prime parole che il medico italiano impara" (dal libro di Scotti, cit. pag. 74). David si distinse per coraggio e lealtà, tanto che le autorità jugoslave, terminata la guerra, lo decorarono con una medaglia al valor militare e gli permisero in segno di riconoscenza di rientrare in Italia armato e con la sua divisa da alpino.
La terza, ed ultima, riguarda il marinaio livornese Pier Luigi Gaiozzi. Prigioniero dei tedeschi in Grecia, riuscì a fuggire in Kossovo per poi dirigersi fino a Belgrado lottando al fianco dei titini. Interessanti le parole di Gaiozzi riportate da Scotti: "Ci tenne un discorso il Maresciallo Tito. Oltre a ringraziarci per il contributo dato alla lotta di liberazione della Jugoslavia (....) disse 'con il vostro sacrificio avete riscattato l'onore dell'Italia mettendo un'ipoteca sul suo avvenire" (dal libro di Scotti, cit. pag. 126).
Come si può notare, la storia di quelle terre e dei rapporti tra italiani e jugoslavi è molto più complessa di quanto si pensi o di quanto si voglia far pensare.