Per festeggiare i suoi dieci anni di attività Viaggiareibalcani.it esce con un libro-guida destinato a tutti coloro che vogliano mettersi in viaggio verso il sud-est Europa. Duecentocinquanta pagine dense di sguardi "altri" rispetto alle tradizionali narrazioni (anche turistiche) su questi territori. Pubblichiamo l'introduzione al libro a firma di Michele Nardelli
Se penso a ciò che rimane di tanto viaggiare nell’Europa di mezzo, attraverso le strade e i paesaggi di una guerra che prima abbiamo scelto di ignorare e poi di non capire, più ancora dei volti delle persone mi vengono in mente i luoghi.
Come se in ognuno di essi i segni della tragedia trovassero quiete e il fascino della natura e della storia avesse il sopravvento, nonostante tutto. Qui, dove Oriente e Occidente si sono intrecciati, dove il vento freddo del nord s’incontra con il Mediterraneo, dove “si produce più storia di quella che si riesce a digerire”, a saperli guardare i luoghi diventano altrettanti moderni paradigmi. Come nelle opere di Ivo Andrić, immagini del “romanzo della storia”.
Quella di un villaggio verde smeraldo, dove la vita era scandita dai vecchi mulini e dal fruscio dell’acqua che accompagnava il sonno di Marta. Un grande acquarello naïf, dove perfino la ferrovia si è fermata di fronte al riapparire di confini che ne attraversavano ad ogni curva il tracciato.
O di una kafana, il cui nome del vecchio proprietario si tramanda di generazione in generazione, dove gli anziani si ritrovavano nell’approssimarsi dell’ora della preghiera pomeridiana per scrutare l’orizzonte e quanto il tempo gli andava riservando.
Penso al mio angolo del mattino, quando il sole fa capolino a riscaldare “il vecchio”. Per cinquecento anni, giorno dopo giorno, fin quando la moderna follia dei nuovi talebani decise di prenderlo a cannonate, per togliere di mezzo la testimonianza del genio umano di un’altra religione.
Ho negli occhi l’Europa che s’incontra sotto la grande fortezza, laddove i fiumi si uniscono mescolando in uno scenario mozzafiato le loro acque tedesche, magiare, slave, romanze ed ebraiche, in quella convivenza della natura che dà vita al fiume della melodia.
E come non ricordare quella locanda dove, a dispetto del tempo, ancora resiste l’immagine sbiadita del vecchio capo partigiano. Come se a rimuoverla, in quella pazza città, scomparissero d’incanto anche gli avventori che riverberano il loro canto nel collo di una bottiglia di Coca Cola.
Oppure l’antico caravanserraglio dove dalla notte dei tempi alloggiavano i viandanti ai quali si riservava l’acqua fresca e il pane caldo. Ed oggi luogo d’incontro nel cuore ottomano della Gerusalemme d’Europa, che abbiamo lasciato bruciare insieme alla nostra storia, a due passi dal ponte latino in cui, nel giorno di San Vito, si diede il là al secolo degli assassini.
E, ancora, quel fiume che sgorga dalla roccia, accanto alla tekija che diede il nome, ventinove anni prima del grande pogrom che con la fine di Sefarad cambiò lo sguardo europeo, all’editto della tolleranza. Il silenzio e la raffinatezza del posto ancora emozionano il viaggiatore o il pellegrino, nonostante l’ingombrante vicinanza del grande centro commerciale dei trafficanti d’armi (e di miracoli).
Seduti al fresco di un grande tiglio o dell’acqua che scorre, prendete un caffè. Non l’espresso, simbolo delle nostre vite di corsa, ma la kafa, turca, bosanska o domača che sia. Quel rito lento di cui abbiamo bisogno per riconnetterci con lo scorrere del tempo.
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