Scoperta una rete che favoriva a Trieste l'immigrazione clandestina di bosniaci. All'ambascita italiana a Sarajevo si afferma "di non saperne nulla".
In Bosnia Erzegovina si è da poco iniziato nuovamente a parlare di clandestini nei paesi dell'Unione Europea. E' accaduto in seguito ad un articolo pubblicato sul quotidiano di Trieste "Il Piccolo" a riguardo di una vicenda di immigrazione clandestina.
Secondo il quotidiano triestino sarebbero 483 le persone di origine bosniaca entrate in Italia grazie ad un permesso di soggiorno procurato tramite la mediazione di un negozio di abbigliamento di Trieste gestito da Jasmina Miljkovic, e poi spariti nel nulla.
La Miljkovic si difende affermando che erano suoi partner e venivano dalla Bosnia per comperare merce all'ingrosso.
L'inchiesta è partita quando presso l'Ambasciata italiana a Sarajevo si è notato che erano stati rilasciati più di 750 visti con destinazione Trieste. Nella maggior parte di questi veniva inoltre indicato lo stesso indirizzo (quello del negozio di abbigliamento di Trieste) come propria futura residenza.
Secondo i giornalisti de "Il Piccolo" si sarebbe trattato di una vera e propria organizzazione che favoriva l'immigrazione clandestina, gestita dalla stessa Mlijkovic e dal fratello Sinisa, residente a Sarajevo, che per ogni visto d'ingresso procurato richiedeva 750 €. Era lui ad "organizzare tutto" poi con l'ambasciata.
Il quotidiano bosniaco Dnevni Avaz ha tentato di ottenere maggiori informazioni in merito alla vicenda rivolgendosi presso l'Ambasciata italiana a Sarajevo ma i rappresentanti italiani hanno solo risposto di non aver ricevuto alcuna informazione dalle autorità di frontiera. Anche Emir Hasic, viceconsole della BiH presso il consolato di Milano, ha negato di aver saputo qualcosa dalle autorità di frontiera italiane ed anzi si è dimostrato stupito nel venire a conoscenza dell'informazione sui 483 bosniaci entrati illegalmente in Italia.