Tensione sempre più alta in Bosnia Erzegovina a pochi giorni dal voto. In primo piano la violenta strategia elettorale del premier serbo bosniaco, Milorad Dodik. Il ruolo di Belgrado e la convergenza tra i radicali in entrambe le entità. Dal nostro corrispondente
Traduzione per Osservatorio sui Balcani: Ivana Telebak
I giornali in Bosnia ed Erzegovina, ma anche in Serbia e Croazia, in questi ultimi giorni prima delle elezioni sono pieni delle dichiarazioni estremamente aggressive di Dodik, leader del partito socialdemocratico indipendente e premier della Republika Srpska RS, una delle due entità in cui la Bosnia Erzegovina è divisa, ndc. Persino gli analisti più tolleranti della Bosnia Erzegovina (BiH), locali e stranieri, sono ormai seriamente preoccupati per il tono e il contenuto dei messaggi che questo politico sta mandando ovunque e in ogni occasione. In modo particolare è preoccupante il tono violento e il vocabolario che questo politico sta usando. Si susseguono dichiarazioni del tipo: "Se dopo le elezioni il premier della BiH non sarà della Republika Srpska, che creino il governo con qualcuno da Marte". Oppure: "A noi non servono dei tutori che, all'interno delle istituzioni della BiH, decidano cosa possiamo fare e cosa no". La storia del referendum per la separazione della RS dalla BiH viene ripetuta costantemente: "Se il Kosovo si separerà, non vedo il motivo perché non lo potrebbe fare anche la RS, si tratta dello stesso principio". Le sue dichiarazioni sono piene di allusioni sulla "Sarajevo musulmana". Dodik dichiara apertamente che ogni volta che ritorna da Sarajevo a Banja Luka, suo figlio gli chiede: "Come si sta a Teheran?". Afferma che mai "permetterà l'abolizione della polizia della Republika Srpska, perché essa è la garanzia contro l'islamizzazione della Bosnia..."
L'atmosfera che ha portato al peggio
Queste e altre dichiarazioni simili sono ogni giorno più numerose. Le tensioni aumentano di ora in ora. Non sono poche le situazioni che ricordano un'atmosfera molto simile che, quindici anni fa, ha portato il peggio. La gente che conosce bene Milorad Dodik, oggi è divisa. Sono sempre meno, in ogni caso, quelli che continuano a sostenere l'affermazione che si tratta soltanto della "campagna pre elettorale e della retorica", nonostante essa dia degli ottimi risultati. Ogni giorno Dodik diventa sempre più forte. A pochi giorni dalle elezioni di settimana prossima, è quasi certo che lui e il suo partito saranno i vincitori assoluti in Republika Srpska in tutti i livelli dove compariranno.
Dall'altra parte ci sono sempre più persone, nella Federazione l'altra entità, ndc ma anche nella Republika Srpska, che credono che Dodik sia stato semplicemente "risucchiato" dalla situazione attuale e dall'estremismo nella RS, e che abbia "perso la bussola". Alcuni paragonano l'euforia di Dodik con Milosevic, e con le conseguenze della dichiarazione altisonante che all'epoca pronunciò in Kosovo: "Che nessuno osi picchiarvi!". Il leader della Serbia, sugli echi di questo grido, ha iniziato veramente a credere nella sua missione speciale sulla terra. Cosa accadde dopo, lo sanno tutti.
Una delegazione come questa non è mai stata neppure a Mosca!
Nel caso di Dodik, all'ebbrezza e alla sensazione di potere ha contribuito il sostegno organizzato di Belgrado, saggio e presentato in maniera scaltra. Nelle vele dell'ambizione e dell'orgoglio del leader di Laktasi, vicino a Banja Luka, ha soffiato forte il vento della "sede". Persino il radicale Nikolic, il sostituto di Seselj (accusato dal tribunale dell'Aia), ha detto pubblicamente che il presidente della Serbia Tadic e il premier Kostunica "lavorano per Milorad Dodik e gli stanno creando un immagine di grande eroe serbo che unirà la Republika Srpska e la Serbia..."
La gara nel dare a Dodik ogni sorta di supporto da parte di Belgrado è arrivata al culmine quattro giorni prima delle elezioni. A Banja Luka è arrivata una delegazione della Serbia mai vista prima, per firmare l'accordo sui legami paralleli e speciali fra Serbia e Republika Srpska. Sono arrivati il presidente e il premier della Serbia e una decina di ministri, consiglieri, diplomatici, capi di gabinetto, economisti ecc. Tutto ciò ha spinto un giornalista locale, completamente accecato da tutta quella felicità che gli ha dato il grande fratello di Belgrado, a dire: "Una delegazione come questa, col presidente e il premier, non è mai andata nemmeno a Mosca!"
Stato o entità
Analisti dalla mente fredda noteranno facilmente in tutta questa storia alcuni elementi: è vero che l'accordo di Dayton permette la stipula di questi tipi di rapporti e altri simili. Ma, senza dubbio, una tale premessa era concessa al tempo in cui bisognava fermare la guerra in Bosnia e appare oggi completamente anacronistico e fuori dalla nuova realtà europea. Inoltre, gli accordi internazionali e la politica estera in generale della BiH sono di competenza degli stati e non delle entità. La chiave di tutta la storia è molto semplice: l'entità non è uno stato, e Dodik lo nega con tutte le forze. Il giorno prima di firmare l'accordo lui ha risposto a Sarajevo in modo brusco: "Non se ne parla di includere in nessun modo gli organi della BiH a far parte di questo accordo..."
A Belgrado, naturalmente, sanno benissimo tutto questo. Dodik sta facendo tutto questo non per i rapporti speciali ma prima di tutto per cercare di procurare alla Republika Srpska le prerogative di uno stato. Ciò è abbastanza chiaro. Rimane, invece, la questione del perché Belgrado stia cercando così fortemente di coinvolgersi in tutto ciò. C'è, naturalmente, anche la domanda del perché la comunità internazionale e l'Alto Rappresentante vi passino sopra. Per quanto riguarda la sostanza del problema, loro tacciono in modo drammatico, limitandosi a dare il consenso per il "senso" economico dell'accordo.
Non c'entrano
Belgrado ha introdotto anche la minaccia della "stabilità regionale" nel gioco dell'indipendenza del Kosovo, per loro molto importante, e lo ha fatto saggiamente, pensando in modo strategico ma anche politicamente aggressivo. Tramite tutti i canali diplomatici, e altri, è stata lanciata sulla scena internazionale la tesi che l'indipendenza del Kosovo provocherà una "reazione domino". Tradotto, significa che "per la stessa situazione vale lo stesso principio". Detto ancora più letteralmente: l'indipendenza del Kosovo significa anche il diritto al referendum per la separazione della Republika Srpska. Nel baccano pre-elettorale e diplomatico, e dei media su tutto questo, non si sente una voce che affermi che "il caso del Kosovo" e "il caso della Republika Srpska" non c'entrano l'uno con l'altra né storicamente, né legalmente, né costituzionalmente e alla fine nemmeno moralmente.
Nel gioco si sono trovati dei partner. Dodik aiuta Tadic e Kostunica a rendere internazionale la paura dell'instabilità nella regione se il Kosovo dovesse andarsene. Kostunica e Tadic, in cambio, aiuteranno il fratello più piccolo dell'altra parte della Drina a rafforzare la posizione e l'immagine in casa, prima e in funzione delle elezioni. "L'uomo che ha di nuovo unito i fratelli di entrambe le sponde della Drina" ed è diventato un caro ospite a Belgrado in tutte le feste, dalle partite di calcio della Stella Rossa fino al festival culturale popolare serbo dei suonatori di trombe a Dragacelo, è un nuovo leader che restituisce orgoglio a una nazione abbastanza frustrata.
Dall'altra parte della BiH, dietro le linee del fronte politico e nazionale, sono comparsi, naturalmente, anche i contro-leader e le contro-politiche e i contro-partiti accompagnati da una contro-cacofonia mediatica. Tutti loro, si nutrono in modo reciproco con l'aggressione politica. Tutto questo, un paio di giorni prima delle elezioni, alza nel paese la temperatura tanto che i radicali di tutti i tipi possono strofinarsi le mani con soddisfazione.