Il microcosmo della sevdah, genere musicale della tradizione bosniaca, è ancora vivo e vegeto grazie a figure che difficilmente assurgono ai clamori della cronaca. Tra loro Amira Medunjanin, che si esibirà in aprile in Italia per "Lampi di Musicamorfosi"
Sono gli stessi abitanti dei Balcani a trovarsi in difficoltà quando devono dare un significato preciso alla parola "sevdah" e alle canzoni che la rappresentano, le sevdalinke. Entrambi i termini si riferiscono a una realtà musicale tipica della Bosnia, riconducibile all'universo folk, e quindi a un substrato cultural antropologico che affonda le sue radici agli albori della civiltà slavo-meridionale.
Ogni famiglia ha il "suo canto", replicato ovunque come un mantra. Non sono diffuse solo in Bosnia ma anche in Montenegro, Macedonia, Serbia, e Croazia e risentono di influenze che guardano tanto all'oriente quanto ai pentagrammi degli ebrei sefarditi. Sono rappresentate da figure "fantasma", uomini e donne di grande talento, che però rimangono quasi sempre ai margini, regalando le loro composizioni al popolo, senza avere nulla in cambio.
E', del resto, una prerogativa della musica folk, avvalersi di artisti in grado di diffondere magistralmente un certo "verbo" musicale, anteponendo alla propria notorietà, la storia da raccontare; anche in America i primi folksinger evitavano di calcare il palco mettendosi al livello degli ascoltatori e lo stesso accadeva in Grecia, in seguito alla diaspora successiva al Primo conflitto mondiale: ci sono migliaia di canzoni "rebetike", ma sono pochissimi i nomi dei rebetis passati alla storia.
Le canzoni riconosciute con il termine sevdalinka possiedono un andamento lento e un ritmo cadenzato; l'intento, del resto, è lasciare massima libertà di espressione ai cantanti, che trasportati dall'emozione ricamano inusitate e passionali melodie, spesso tristi e malinconiche. Si canta in minore, attingendo al maqam, scala modale che riflette il paradigma musicale turco, incentrato sul fatto che il tono viene suddiviso in nove comma, ottenendo "curiosità" come il quarto di tono corrispondente a quattro comma; si usano anche tempi rari in occidente come il 5/8 il 7/8 o l'11/8; e si pesca inoltre nel cosiddetto "modo frigio", identificabile anche nel blues e nel metal, e talvolta nel flamenco o nella classica (per esempio nella Quarta sinfonia di Brahms).
Questo potpourri di influenze è figlio del cosmopolitismo che s'è differenziato in Bosnia alla fine del Medioevo, con l'arrivo dei turchi e dei profughi sefarditi. La prima sevdalenka intitolata "La malattia di Mujo Carevic" risale al 1475 ed è stata forse composta da un giannizzero (soldato ottomano); del 1574 è invece la testimonianza di un italiano che passando per la Bosnia racconta di "canti malinconici che l'hanno rattristato".
Il blues dei Balcani
Importanti rivelazioni sulle sevdalinke si ottengono dal cosiddetto "manoscritto di Erlangen" (redatto in cirillico fra il 1716 e il 1733, andato perduto e riscoperto dal germanista Elias von Stenimeyer nel 1913), nel quale sono riportate più di duecento canzoni popolari. La stessa etimologia del nome la dice lunga: sevda deriva dall'arabo sawda, che significa bile nera; da qui il soprannome "blues dei Balcani".
Come nel blues americano e nel rebetiko emergono spesso temi come la nostalgia e il dolore derivante da un amore non corrisposto. Ma la sevdah è in realtà molto di più, una comunione di intenti, un modus vivendi, «è un intero rituale», precisa Adem Duliman, cantante di sevdalinke, «una ragazza che ti siede accanto, un buon piatto, un bel bicchiere di rakija».
Sono, peraltro, gli stessi "umori" che scaturiscono da un altro celebre "canto" europeo, il fado portoghese, la cui saudade - sorta di "nostalgia esistenziale" - può perfettamente essere assimilabile al contesto delle sevdalinke.
Amira
Oggi il microcosmo sevdah è ancora vivo e vegeto grazie a figure che difficilmente assurgono ai clamori della cronaca, ma che con la loro arte tengono accesa una fiamma appannaggio di un'umanità che altrimenti rischierebbe di perdere gran parte del suo fascino e del suo peso culturale. Ci sono innumerevoli epigoni e fra questi spicca una bravissima cantante nata a Sarajevo, Amira Medunjanin.
Amira cresce in una famiglia amante della musica, in particolare la madre è solita dedicarsi al canto e alle ballate tradizionali del popolo bosniaco. E' lei, di fatto, a introdurla nel magico mondo del blues dei Balcani.
Amira è una teenager quando scoppia la guerra nella ex Jugoslavia. Ogni cosa assume connotati diversi, ma la musica le dà la forza e la speranza di guardare al futuro con ottimismo. Impara a cantare le prime sevdalinke arrivando in poco tempo a elaborare un cantato che sposa perfettamente le esigenze del genere.
Il suo nome comincia a circolare. Se ne accorge il critico musicale Garth Cartwright che non perde tempo a darle il soprannome che si merita: la Billie Holiday della Bosnia. Il primo vero appuntamento con il professionismo arriva con la partecipazione a un disco dei Mostar Sevdah Reunion, supergruppo formatosi a Mostar nel 1998, secondo il Sunday Times in grado di evocare la "spiritualità" di Van Morrison o la duttilità dei Buena Vista Social Club.
“Secret Gate” è caratterizzato da affascinati brani tradizionali che sfiorano in alcuni casi gli otto minuti. Esce, invece, per Snail Records, il suo primo disco solista nel 2005, intitolato “Rosa”. Produce Dragi Sestic, istrionico ingegnere del suono e fondatore dei Mostar Sevdah Reunion, scopritore di talenti dimenticati come Saban Bajramovic e Ljijana Buttler-Petrovic. Fa breccia non solo nei Balcani ma anche nel resto dell'Europa, conquistando il cuore degli inglesi e numerosi premi.
Nel 2009 è la volta di “Amira Live”, superba registrazione di un concerto tenuto nel corso del Jazz Fest di Sarajevo un anno prima. E' il preambolo al nuovo lavoro in studio, “Zumra”, uscito per Gramofon, con la supervisione di Merima Kljuco, gigante dell'establishment artistico bosniaco, collaboratrice di star internazionali, compresi attori come Angelina Jolie. Segna una svolta rispetto alle vecchie interpretazioni perché compaiono nuovi strumenti e alcuni arrangiamenti mischiano senza problemi l'abulico approccio tradizionale al sevdah, a filosofie più sfrontate e moderne.
L'ultima fatica è del 2011. “Amulette” convince tutti. Le recensioni della stampa internazionale sono entusiasmanti. I tabloid anglosassoni gli conferiscono quattro stelle e parlano dell'artista bosniaca come di una figura “angelica, semplicemente angelica”. Merito anche di Bojan Zulfikarpasic (meglio conosciuto come Bojan Z), sopraffino pianista di Belgrado, vincitore nel 1989 del primo premio Giovane Musicista Jazz della Jugoslavia. Amira potremo vederla dal vivo anche in Italia, a Monza, sabato 12 aprile, al Teatro Villoresi. Canterà accompagnata dal chitarrista Bosko Jovic.
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