Si è svolto sabato scorso presso la sala Piamarta di Brescia, un'incontro organizzato dall'Associazione Guido Puletti dal titolo: "L'eccidio dei tre volontari italiani e i crimini di guerra in Bosnia. Tra memoria, ricerca della verità e giustizia".
L'incontro ha voluto commemorare la morte dei tre volontari bresciani, uccisi tra Gorni Vakuf e Travnik il 29 maggio del 1993, mentre il processo che si è recentemente aperto a Travnik è tuttora in corso.

I relatori della serata sono stati: il sindaco di Brescia, Paolo Corsini; Esad Hecimovic, redattore del settimanale bosniaco "Dani" e Ilario Salucci dell'Associazione Guido Puletti.
Non molto il pubblico presente in sala, onorato tuttavia dalla presenza di Paolo Di Giannantonio, giornalista della RAI.
Il sindaco Corsini - che personalmente ha seguito parte della vicenda giudiziaria relativa all'eccidio dei tre giovani di Brescia e che si è preso a cuore la battaglia condotta dalle associazioni nella difficile ricerca della verità - ha aperto la serata. "A Travnik e Sarajevo - dice il sindaco Brescia - ho avuto modo di vedere la tenacia di questa città nel non lasciarsi prendere dall'amnesia o dalla smemoratezza di ciò che è accaduto tempo fa". Inoltre grazie all'Associazione "ho avuto modo di avere una chiave di lettura di tutta la questione, mi sono reso conto, infatti, che non si trattava solo di un eccidio, ma piuttosto l'espressione di qualcosa che fa paura, un'azione della criminalità politica e militare, ovvero di qualcosa di più grave".
Queste parole vengono completate dalla competenza e dalla preparazione di Esad Hecimovic, che da anni si occupa dei crimini commessi in Bosnia. "Dal '97 mi sono occupato dei crimini commessi ai croati, sia civili che militari. Il problema è stato quando ho iniziato a scrivere di Paraga, allora sono iniziate le minacce". Paraga è il responsabile della morte dei tre volontari ed è anche una persona piuttosto influente nella città di Travnik e in buona parte della Bosnia. Nonostante il pericolo corso, Hecimovic è riuscito ad intervistare Paraga e secondo le sue parole "quella fu proprio la sua prima uscita in pubblico dal '93". Nella intervista, Paraga sostenne di non essere mai stato sul luogo dei fatti, mentre recentemente ha ammesso di essersi trovato sul luogo, ma di non aver commesso egli stesso l'omicidio e che erano stati i suoi soldati. "La cosa peggiore - aggiunge Hecimovic - è che la vittima deve difendersi dalle accuse di chi è accusato".
Ad Ilario Salucci spetta di fare il quadro sulla situazione italiana relativa al processo in corso. "8 anni fa i giornali descrissero i tre volontari come incoscienti, per aver partecipato come civili ad una guerra", ma si chiede Ilario forse che è "una cosa morire da civili e un'altra morire da militari?". Il fatto è che in questo processo manca tutta una documentazione essenziale, quella dell'ONU che era presente in loco". In conclusione Salucci avanza alcune domande: "perché il 31 maggio'93 era a tutti noto che il responsabile dell'eccidio fosse Paraga, mentre dopo nessuno ammise il fatto? Perché le autorità centrali non riconobbero l'eccidio come una decisione politica?". Anche le autorità italiane sembrano ostacolare il legittimo emergere della verità.
"Ma chi è in realtà questo Paraga?" chiede in sala il giornalista della RAI, Di Giannantonio. Il redattore di Dani risponde in modo modesto che "Paraga viene descritto come un contadino. Fu un comandante dei Berretti Verdi, ovvero l'esercito della difesa di Alija Izetbegovic. Questo gruppo nacque in seguito ad altre forze armate provenienti dall'SDA (il partito di Izetbegovic). All'inizio adottavano una serie di simboli islamici". Sono tuttora piuttosto influenti, "il Partito per la Bosnia e l'Erzegovina (SBiH) ha relazioni con alcuni di questi dei Berretti Verdi" e se Paraga non avesse avuto questo processo - continua Hecimovic - ora sarebbe sicuramente ai vertici della politica". Eppure "Paraga è un contadino che può permettersi uno dei migliori avvocati della BiH" avanza Di Giannantonio. In questo caso ci sono due risposte - dice il giornalista di Dani - "una è che il padre ha chiesto di persona a Sarajevo il miglior avvocato per suo figlio", ma è anche vero che "ci sono persone che durante la guerra si sono arricchite enormemente, persone che sono passate dall'SDA alla SBiH e che sono politicamente importanti". "In BiH c'è la stampa nazionale che vincola a scrivere solo sui crimini commessi dagli altri popoli, ma se scrivi sui crimini commessi dagli appartenenti al tuo popolo, allora su di te si riversano tutte le accuse". Inoltre "occorre sempre pensare alla situazione reale, ovvero collocarsi nella realtà di Gorni Vakuf, dove le frontiere etniche che c'erano durante la guerra sono ancora ben salde" "Io non credo - conclude Hecimovic - che esista un crimine di mio interesse nazionale e per questo motivo scrivo sui crimini commessi dal mio popolo".
Congedano l'incontro le parole dei responsabili dell'Associazione Guido Puletti, i quali affermano che "l'Associazione stessa continuerà a cercare il senso di queste morti aldilà del verdetto del processo", che con buone probabilità si concluderà con l'assoluzione del comandante Paraga.

19/06/2001 -  Anonymous User

Si è svolto sabato scorso presso la sala Piamarta di Brescia, un'incontro organizzato dall'Associazione Guido Puletti dal titolo: "L'eccidio dei tre volontari italiani e i crimini di guerra in Bosnia. Tra memoria, ricerca della verità e giustizia".
L'incontro ha voluto commemorare la morte dei tre volontari bresciani, uccisi tra Gorni Vakuf e Travnik il 29 maggio del 1993, mentre il processo che si è recentemente aperto a Travnik è tuttora in corso.

I relatori della serata sono stati: il sindaco di Brescia, Paolo Corsini; Esad Hecimovic, redattore del settimanale bosniaco "Dani" e Ilario Salucci dell'Associazione Guido Puletti.
Non molto il pubblico presente in sala, onorato tuttavia dalla presenza di Paolo Di Giannantonio, giornalista della RAI.
Il sindaco Corsini - che personalmente ha seguito parte della vicenda giudiziaria relativa all'eccidio dei tre giovani di Brescia e che si è preso a cuore la battaglia condotta dalle associazioni nella difficile ricerca della verità - ha aperto la serata. "A Travnik e Sarajevo - dice il sindaco Brescia - ho avuto modo di vedere la tenacia di questa città nel non lasciarsi prendere dall'amnesia o dalla smemoratezza di ciò che è accaduto tempo fa". Inoltre grazie all'Associazione "ho avuto modo di avere una chiave di lettura di tutta la questione, mi sono reso conto, infatti, che non si trattava solo di un eccidio, ma piuttosto l'espressione di qualcosa che fa paura, un'azione della criminalità politica e militare, ovvero di qualcosa di più grave".
Queste parole vengono completate dalla competenza e dalla preparazione di Esad Hecimovic, che da anni si occupa dei crimini commessi in Bosnia. "Dal '97 mi sono occupato dei crimini commessi ai croati, sia civili che militari. Il problema è stato quando ho iniziato a scrivere di Paraga, allora sono iniziate le minacce". Paraga è il responsabile della morte dei tre volontari ed è anche una persona piuttosto influente nella città di Travnik e in buona parte della Bosnia. Nonostante il pericolo corso, Hecimovic è riuscito ad intervistare Paraga e secondo le sue parole "quella fu proprio la sua prima uscita in pubblico dal '93". Nella intervista, Paraga sostenne di non essere mai stato sul luogo dei fatti, mentre recentemente ha ammesso di essersi trovato sul luogo, ma di non aver commesso egli stesso l'omicidio e che erano stati i suoi soldati. "La cosa peggiore - aggiunge Hecimovic - è che la vittima deve difendersi dalle accuse di chi è accusato".
Ad Ilario Salucci spetta di fare il quadro sulla situazione italiana relativa al processo in corso. "8 anni fa i giornali descrissero i tre volontari come incoscienti, per aver partecipato come civili ad una guerra", ma si chiede Ilario forse che è "una cosa morire da civili e un'altra morire da militari?". Il fatto è che in questo processo manca tutta una documentazione essenziale, quella dell'ONU che era presente in loco". In conclusione Salucci avanza alcune domande: "perché il 31 maggio'93 era a tutti noto che il responsabile dell'eccidio fosse Paraga, mentre dopo nessuno ammise il fatto? Perché le autorità centrali non riconobbero l'eccidio come una decisione politica?". Anche le autorità italiane sembrano ostacolare il legittimo emergere della verità.
"Ma chi è in realtà questo Paraga?" chiede in sala il giornalista della RAI, Di Giannantonio. Il redattore di Dani risponde in modo modesto che "Paraga viene descritto come un contadino. Fu un comandante dei Berretti Verdi, ovvero l'esercito della difesa di Alija Izetbegovic. Questo gruppo nacque in seguito ad altre forze armate provenienti dall'SDA (il partito di Izetbegovic). All'inizio adottavano una serie di simboli islamici". Sono tuttora piuttosto influenti, "il Partito per la Bosnia e l'Erzegovina (SBiH) ha relazioni con alcuni di questi dei Berretti Verdi" e se Paraga non avesse avuto questo processo - continua Hecimovic - ora sarebbe sicuramente ai vertici della politica". Eppure "Paraga è un contadino che può permettersi uno dei migliori avvocati della BiH" avanza Di Giannantonio. In questo caso ci sono due risposte - dice il giornalista di Dani - "una è che il padre ha chiesto di persona a Sarajevo il miglior avvocato per suo figlio", ma è anche vero che "ci sono persone che durante la guerra si sono arricchite enormemente, persone che sono passate dall'SDA alla SBiH e che sono politicamente importanti". "In BiH c'è la stampa nazionale che vincola a scrivere solo sui crimini commessi dagli altri popoli, ma se scrivi sui crimini commessi dagli appartenenti al tuo popolo, allora su di te si riversano tutte le accuse". Inoltre "occorre sempre pensare alla situazione reale, ovvero collocarsi nella realtà di Gorni Vakuf, dove le frontiere etniche che c'erano durante la guerra sono ancora ben salde" "Io non credo - conclude Hecimovic - che esista un crimine di mio interesse nazionale e per questo motivo scrivo sui crimini commessi dal mio popolo".
Congedano l'incontro le parole dei responsabili dell'Associazione Guido Puletti, i quali affermano che "l'Associazione stessa continuerà a cercare il senso di queste morti aldilà del verdetto del processo", che con buone probabilità si concluderà con l'assoluzione del comandante Paraga.