Come molti bosniaci, Irma Baralija, è emigrata. Avrebbe potuto costruire la sua vita all'estero, ma ha poi deciso di tornare. Oggi, come vicepresidente del partito multietnico Naša Stranka, è più impegnata che mai nella sua città, Mostar. Ritratto
(Originariamente pubblicato da Le Courrier des Balkans il 2 ottobre 2019)
Alla domanda su come vorrebbe essere presentata, Irma Baralija risponde con un grande sorriso: "Sono una donna di Mostar, con tutti i problemi che questo implica. Qui siamo preoccupati per i diritti di bosniaci, croati e serbi, ma nessuno si preoccupa dei diritti dei lavoratori, della famiglia e soprattutto delle donne! Ma solo in questo modo, affrontando i problemi sociali ed economici, possiamo superare la vera e propria divisione della città.
Eletta vicepresidente di Naša Stranka ("Il Nostro Partito") all'ultimo congresso di questo partito multietnico, Irma Baralija ha già all'attivo una carriera di combattente per la sua città. Nel giugno 2018 ha presentato una denuncia contro la Bosnia Erzegovina alla Corte europea dei diritti dell'uomo (CEDU), sostenendo che il mancato svolgimento di elezioni comunali a Mostar dal 2008 in avanti viola i diritti umani. Ha reso la denuncia pubblica nel dicembre dello stesso anno , una volta che la denuncia è stata ritenuta ricevibile dalla CEDU.
Il 24 settembre scorso è scaduto il termine per la Bosnia Erzegovina di depositare documenti e contro argomentazioni. La CEDU dovrebbe emettere la sua sentenza nei prossimi mesi. "Spero soprattutto di essere in grado di mantenere la visibilità di Mostar sull'agenda politica del paese e di interpellare le istituzioni federali sull'argomento, di mantenere con questo approccio la pressione, qualunque sia l'esito della procedura", afferma. In attesa della sentenza, Irma Baralija continua a chiedere al Parlamento della Federazione di Bosnia Erzegovina di proseguire con le numerose questioni riguardanti la sua città.
L'energia degli indignati di Madrid
Nata nel 1985, Irma Baralija cresce a Mostar e vi trascorre tutta la guerra. Grazie ad una borsa di studio del governo spagnolo, si reca a Madrid per un master in scienze politiche e lo ottiene nel 2011. Si trova nella capitale spagnola durante il movimento degli Indignados, che osserva con attenzione. "L'università mi proponeva di fare un dottorato, ma mi sono detta che sarei stata più utile a Mostar, che avrei potuto essere attiva lì e fare il mio dottorato più tardi".
Ritorna allora in Bosnia Erzegovina "con grande energia". Insegna in diverse scuole superiori della città e collabora con il Collegio del mondo unito: "Bisogna prendersi cura dei giovani, sviluppare il loro senso critico, dimostrare loro che non c'è fatalità, che altri sistemi sono possibili, che non sono condannati a subire ciò che Mostar impone loro". Nel febbraio 2014 scoppiano rivolte sociali in tutto il paese. Irma partecipa alle manifestazioni così come ai plenum. Allora insegnante di una scuola superiore della città, i suoi superiori la minacciano: o interrompe le sue attività legate alle manifestazioni o perde il posto di lavoro. Poi è il turno di suo padre, che gestisce una piccola azienda che sostiene la famiglia, ad essere minacciato. "Gli hanno detto che gli avrebbero mandato ispezioni ogni giorno finché non avrebbe chiuso". Questo, per Irma, è il tempo della riflessione, ma anche della voglia di lasciarsi tutto alle spalle e partire, e poi di quella, incontenibile, di lottare per, dice lei stessa, proteggersi. "I partiti nazionalisti non erano ovviamente un'opzione. L'Sdp non corrispondeva a quello che stavo cercando. Ho realizzato che Naša Stranka difendeva una serie di idee e affrontava questioni che mi stavano a cuore. Quindi ho fondato la sede del partito a Mostar".
La politica
Dal 2014, Irma Baralija si batte sul fronte delle questioni locali: svolgimento delle elezioni, legge sulla protezione della famiglia nel cantone dell'Erzegovina, accesso agli esami ginecologici inesistenti nella parte orientale della città. Irma spiega la specificità della pratica politica di Mostar: "Non hai mai un interlocutore, visto che non si svolgono le elezioni da undici anni. Quando fai domande, non sai mai se avrai delle risposte. Non esiste più un consiglio comunale, l'assemblea cantonale è bloccata da nove mesi. Ci vuole molta pazienza e tenacia". Parla anche del vantaggio di essere una giovane donna: "A Mostar incontri ogni giorno il tizio che ti ha arrestato nel 1993, quello che ti ha picchiato, quello che ti ha portato in un campo. La guerra si ricorda costantemente di te. Essere una donna di 34 anni aiuta molto, non sei collegata alla guerra. In primo luogo, sei una donna, in secondo luogo, sei stata una bambina durante il conflitto, quindi non c'era nulla che potessi fare a nessuno. Le persone a cui parli in città ti ascoltano più facilmente".
Quando parla della gestione del Cantone di Sarajevo da parte della coalizione guidata da Naša Stranka e dei cambiamenti in corso, della possibilità di agire a livello locale, parla di un futuro per la città rivolto verso la soluzione dei problemi cruciali dei suoi abitanti. "Molte persone se ne sono andate, qui non ci lasciano vivere. Sono partiti così tanti amici che a volte ti rendi conto che non sai neanche più con chi andare a bere il caffè. Se non ci si prende cura della città, la gente continuerà ad andarsene. Non c'è altro modo per fermare l'emorragia se non quello di affrontare la realtà e risolvere i problemi uno per uno".