Il primo gennaio 2023 l'euro diventerà la valuta ufficiale della Croazia ed è prossima anche l'adesione all'area Schengen. Quale l’impatto sui giovani della città bosniaca di Mostar, molti dei quali lavorano oltreconfine?
(Pubblicato originariamente da Courrier des Balkans il 2 dicembre 2022)
Il confine con la Croazia dista solo 50 chilometri da Mostar. Ogni giorno, centinaia di persone utilizzano le autostrade R424 e 2a e attraversano i valichi di frontiera di Nova Sela o Gradiska per recarsi al lavoro in Croazia. Dal primo gennaio questi lavoratori transfrontalieri riceveranno il loro salario in euro.
Marija Raspudić, 28 anni, vive a Mostar e ha un passaporto croato. A suo avviso il passaggio dalle kune all'euro non dovrebbe cambiare la situazione di chi, tra i suoi familiari, lavora in Croazia. "Se i salari rimangono invariati, e solo pagati in euro, non credo che ci saranno grandi cambiamenti qui in Bosnia Erzegovina”.
Marija cita il caso dei lavoratori stagionali bosniaci, che d'estate lavorano nell'industria del turismo. Per loro una volta tornati in Bosnia avere euro o kune in tasca, fa poca differenza.
Timori di controlli più rigidi alle frontiere
Sull'altra sponda della Neretva, Boris Filipić, 30 anni, responsabile della comunicazione del centro culturale Abrašević, ha sentimenti ambivalenti. L'adesione della Croazia all'eurozona lo lascia indifferente: "Forse una parte della popolazione ne trarrà beneficio, ma per la maggior parte di noi non vedo alcuna conseguenza". Tuttavia, per quanto riguarda il potenziale ingresso della Croazia nell'area Schengen teme più complicazioni: "Non ho un passaporto croato, quindi attraversare il confine sarà ancora difficile per me".
Seduto davanti al suo portatile a pochi metri da Boris, Ivan Bogdan è d'accordo, anche se può vantare la doppia cittadinanza bosniaca e croata. "Per alcuni versi sono già un cittadino dell'Unione europea e la Croazia segue un protocollo molto preciso da diversi anni, proprio in vista dell'adesione all'area Schengen e alla zona euro”. Il giovane ingegnere ha studiato in Croazia prima di tornare nel suo paese natale, dove vive da quattro anni. "Molti dei miei amici mi dicono che sono pazzo, ma io sono molto felice di essere qui", dice sorridendo.
I casi di Ivan e Marija non sono eccezionali a Mostar, una città di oltre 100.000 abitanti, di cui - secondo l'ultimo censimento del 2013 - il 44% bosniaci e il 48% croati. Il resto della popolazione è "serbo" o "altro". Anche se è difficile trovare un dato ufficiale, una percentuale significativa di croati a Mostar ha un secondo passaporto. "Con i miei documenti croati non ho problemi ad attraversare il confine", dice Ivan Bogdan. "Tuttavia, l'ultima volta che sono andato lì con amici bosniaci, i doganieri hanno chiesto una prova di residenza in Croazia. Senza dubbio questo controllo sarà sistematico in futuro. Ivan teme anche che la sua auto venga sottoposta a perquisizioni ancora più approfondite. Maria, 26 anni, anche lei croata, è preoccupata: "È chiaro che attraversare il confine sarà molto più difficile. Credo che questo avrà un impatto sul numero di migranti che vogliono entrare nell'UE attraverso la Bosnia e, in ultima analisi, sulla nostra sicurezza.
Sguardo fisso all’Europa
Paese membro dell'UE dal 2013, l'adesione della Croazia all'area Schengen è stata approvata il 10 novembre scorso dal Parlamento europeo. Ma questo è solo un parere consultivo. La decisione è subordinata all'accordo dei 26 membri dell'area Schengen, che voteranno l'8-9 dicembre sul potenziale allargamento dell'area di libero scambio. La decisione deve essere unanime, ma ha già almeno il sostegno di Bruxelles: il 16 novembre, la Commissione europea ha ritenuto la Croazia, insieme a Bulgaria e Romania, pronta ad aderire all'area Schengen.
A Mostar, la quasi indifferenza verso il nuovo status della Croazia nasconde un forte sentimento europeo. I giovani hanno gli occhi puntati sull'Occidente. "La nostra diaspora è molto numerosa nell'UE e si adatta molto bene ai paesi ospitanti", sottolinea Marija Raspudić.
Nonostante la recente raccomandazione della Commissione europea di concedere alla Bosnia Erzegovina lo status di paese candidato, questi giovani non credono affatto in una adesione del loro paese all'UE. Come fa notare Ivan Zovko: "Per entrare nell'UE, dobbiamo almeno essere uniti. Ma con i nostri tre presidenti, costantemente in disaccordo invece di lavorare insieme, come pensate che possa accadere?”