L'attuale rappresentante croato della presidenza, Željko Komšić, potrebbe essere la sorpresa nel nuovo anno politico della Bosnia Erzegovina. La paralisi di una delle due entità, la Federacija, non sembra tuttavia lasciare molte speranze per una rapida soluzione della crisi del paese

15/01/2014 -  Rodolfo Toè Sarajevo

Željko Komšić, il "presidente di tutti", sarà la sorpresa delle prossime elezioni previste in Bosnia Erzegovina in ottobre? Dopo avere clamorosamente rotto con il suo partito, il socialdemocratico SDP, Komšić ne ha formato uno proprio, il Demokratska Fronta (DF, Fronte Democratico), con il quale si ripropone di raccogliere i voti di una società stanca dell'etnocrazia e dell'immobilismo politico.

Il partito di Komšić si presenta infatti come un 'građanska stranka', un partito "dei cittadini", che vorrebbe sfuggire al tradizionale inquadramento etnico. L'attuale membro croato della presidenza, che ha la reputazione di una persona "con le mani pulite", non fa mistero di quali siano i suoi obiettivi. Al congresso di fondazione del DF, convocato significativamente negli stessi giorni in cui Sarajevo celebrava l'anniversario della liberazione durante la Seconda guerra mondiale, ha dichiarato di "essere disposto a trattare con tutti, ad esclusione di sciovinisti e fascisti".

Forte del voto unanime con cui veniva confermato presidente del partito, Komšić ha inoltre sottolineato che la porta del DF rimarrà chiusa per chi non sia in possesso di una fedina penale immacolata. Ancora: "Terremo separati i ruoli politici e quelli manageriali"; "il DF non sarà più importante della legge e dello stato"; "non sono qui per garantire una posizione a nessuno".

L'ex esponente socialdemocratico non si potrà ricandidare alla presidenza, avendo già esaurito il limite dei due mandati, ma comunque "non abbandonerò il paese: lavoreremo insieme per rendere la Bosnia Erzegovina un paese migliore".

2013, l'anno del risveglio

Nella sua battaglia, Komšić potrebbe avere alcuni assi da giocare: innanzitutto, il 2013 è stato (per molti versi) un anno di risveglio civico per i cittadini bosniaci. La bebolucija, le proteste degli studenti per il diritto al programma Erasmus, gli scioperi, hanno fatto sì che si cominciasse gradualmente a parlare di un nuovo attivismo in particolare per le fasce di popolazione urbane, più istruite e progressiste, e tuttavia restie alla partecipazione politica. Un bacino di voti che, anche se marginale, potrebbe costituire la base elettorale di un ipotetico 'blocco' formato da un tandem tra Demokratska Fronta e Naša Stranka, altro partito con un netto orientamento civico e non etnico.

Komšić può altresì contare su una rete di contatti e su alcuni collaboratori che già fecero la fortuna dell'SDP nel corso delle elezioni politiche del 2010: personaggi come Emir Suljagić o Reuf Bajrović, decisivi allora nel mobilitare la rete locale di organizzazioni non governative, anche attraverso il contributo (soprattutto monetario, come sottolineato da Slobodna Bosna ) del NED, il National Endowment for Democracy americano, fondazione che si occupa del rafforzamento della democrazia e dello stato di diritto a livello internazionale.

Un leader in ombra

Il percorso, però, si annuncia più complicato del previsto. Innanzitutto, Komšić sembra avere sprecato tempo prezioso. Tra l'annuncio della rottura con i socialdemocratici e la sua 'discesa in campo' sono trascorsi parecchi mesi. Nel corso dei quali, peraltro, egli ha scelto di non esporsi, come in occasione delle elezioni amministrative del 2012. Con l'eccezione del congresso di cui si è parlato, finora il leader del Fronte Democratico è rimasto in ombra, preferendo limitarsi alla sola attività istituzionale e di rappresentanza che gli compete in quanto membro della presidenza. Lontano, troppo, dalla prima linea del dibattito politico e dalla ribalta dei media. Tanto che, recentemente ospitato dall'emittente televisiva RTV FBiH , Komšić si è sentito chiedere: "Signor presidente, che sta facendo in questo momento? Se sta effettivamente facendo qualcosa..."

"Il silenzio di Komšić potrebbe essere dovuto, in modo abbastanza banale, alla mancanza dei fondi necessari a fondare un partito", minimizza il politologo ed esperto Zlatko Hadžidedić. Hadžidedić ha lavorato per decenni come consulente politico per svariati partiti e organizzazioni in Bosnia Erzegovina, ed è un veterano dell'ambiente. "Occorrono parecchi soldi, per iniziare una qualsiasi attività partitica. Almeno cinque milioni di marchi [un marco è pari a 0,5 euro circa, ndr] per l'organizzazione iniziale, più - diciamo - un altro per la campagna elettorale", sottolinea ad Osservatorio. "Non è possibile, al momento, prevedere quali saranno i suoi risultati. Dipende soprattutto da quanto riuscirà a fare in campagna elettorale, se troverà i finanziamenti adeguati, cosa che molto probabilmente non gli sarà difficile".

Secondo l'analista, più che alla costituzione di un blocco civile, Komšić sarebbe interessato a un'alleanza con Fahrudin Radončić, il tycoon attuale ministro della Sicurezza, leader del Partito per un futuro migliore (SBBBiH) e proprietario del quotidiano Dnevni Avaz. "Komšić ha già iniziato questa procedura di avvicinamento: in un'intervista rilasciata a Face TV, ha passato tre quarti del tempo a criticare la gestione dell'SDP e Zlatko Lagumdžija, prima di tessere gli elogi di Radončić. Del resto, entrambi hanno una sola parola d'ordine nei loro programmi: combattere la corruzione, qualunque cosa questo significhi, visto che ad essere corrotto è il sistema nel suo complesso. Di solito, dietro il pretesto di eliminare la corruzione si celano soluzioni politiche del tutto arbitrarie. E' un grimaldello, da usare contro i propri avversari. E con il quale, eventualmente, scardinare un sistema. Non c'è dubbio che Dayton non funzioni”, conclude duramente Hadžidedić, "ma la lotta alla corruzione di Komšić è una cortina fumogena oltre la quale non c'è nessuna proposta concreta. Il suo partito non ha un programma. E se vuole veramente mettere fine al malaffare nella politica, allora la koinè con Radončić è la peggiore possibile".

Le questioni irrisolte

La nuova creatura di Željko Komšić rappresenta tuttavia, con ogni probabilità, il fattore più interessante in uno scenario che, nel 2013, è stato comunque caratterizzato dall'immobilismo e dalla stagnazione della politica.

Se si esclude, infatti, l'importante (e lungamente atteso) passo in avanti compiuto con la realizzazione del censimento, l'anno appena concluso non ha visto alcun progresso degno di nota. Le principali questioni rimaste aperte, in particolare il problema relativo allo statuto di Mostar e quello del rispetto delle minoranze etniche, dovranno così necessariamente essere regolate nel corso dei prossimi mesi, e questo dopo che ogni tentativo di trovare una soluzione è finora fallito. Occorrerà farlo prima di ottobre: il problema delle circoscrizioni elettorali della principale città dell'Erzegovina dovrà avere una risposta, comprensibilmente, prima che si svolgano le prossime elezioni. Al tempo stesso, l'UE ha già fatto sapere di non essere disposta a riconoscere il governo che uscirà dalle urne, se prima non verrà modificata la costituzione in modo da adeguare le istituzioni bosniache alla sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, con la quale il governo di Sarajevo è stato accusato di discriminazione ai danni degli ostali, i cittadini cioè che non appartengono alle tre 'nazioni costitutive' bosniache.

L'affaire Krajina e la paralisi della Federacija

Non sarà semplice e, a complicare le cose, interviene come sempre il rigor mortis delle istituzioni del paese. Lo scorso venerdì 3 gennaio, inoltre, la crisi politica bosniaca si è ulteriormente aggravata in una delle sue entità, la Federacija Bosne i Hercegovine (FBiH). Il ministro delle Finanze, il croato Ante Krajina, è stato costretto a dimettersi dal presidente dell'entità, Živko Budimir. La decisione è stata giustificata, dallo stesso Budimir, utilizzando come pretesto le lamentele giunte da molte associazioni di veterani di guerra croati, che denunciano il mancato versamento delle pensioni di guerra.

In realtà, alla base della decisione di Budimir, ci sono un preciso calcolo elettorale e un braccio di ferro che da mesi lo vede opporsi al Presidente del consiglio dei ministri, Nermin Nikšić (SDP). Già nel dicembre del 2012, nel momento più acuto di una crisi del governo federale, Nikšić aveva chiesto a Budimir di provvedere a un rimpasto, sostituendo otto ministri tra cui lo stesso Krajina. Il quale, però, all'epoca apparteneva allo stesso partito di Budimir: l'HSP, partito conservatore della destra croata bosniaca. Le richieste del premier, in nome della solidarietà di partito, erano così state subitaneamente accantonate. In seguito, però, Budimir ha creato una propria formazione (il partito croato del diritto e della fiducia, SPP) e, questo secondo le accuse dei propri avversari, nel corso degli ultimi mesi ha costantemente cercato di incrementare il proprio controllo sul Consiglio dei Ministri.

Il vuoto provocato dall'esclusione di Krajina è grave. Diversamente da quanto affermato dai media locali, l'assenza del ministro delle Finanze non dovrebbe pregiudicare il pagamento degli impegni finanziari dell'entità. Come ha dichiarato l'ufficio per le relazioni esterne della FBiH, può essere il Consiglio dei Ministri ad approvare le spese ad interim. Tuttavia, in assenza di Krajina, l'esecutivo non può legalmente lavorare, per la mancanza del numero minimo di ministri di nazionalità croata, previsto dalla Costituzione.

Governo bloccato

Budimir cerca di avvalersi della situazione che si è creata per vincere, una volta per tutte, lo scontro con Nikšić, e per guadagnare supporto in vista delle prossime elezioni. Il Presidente si è infatti già premurato di chiedere al rivale dell'SDP di rassegnare le proprie dimissioni, unico modo per potere insediare un nuovo governo che rispetti i criteri di legalità. In questo modo, Budimir ha gioco facile nel presentarsi quale protettore degli "interessi croati" in Federacija: prima, ha allontanato un ministro che "non pagava le pensioni di guerra ai veterani della HVO"; adesso, si sta battendo per far sì che nel Consiglio dei ministri venga rispettata la presenza croata. Nikšić, da canto suo, non ha intenzione di mollare: "Budimir, con le sue mire, sta semplicemente bloccando il lavoro della Federazione e del governo, ed è inaccettabile", ha dichiarato.

Il premier della FBiH ha anche cercato di chiedere alla Corte costituzionale della Federacija di pronunciarsi sulla decisione di Budimir. Sulla questione è intervenuto anche Valentin Inzko, Alto Rappresentante della comunità internazionale. Inzko ha incontrato le parti in causa, appellandosi alla loro ragionevolezza e rendendosi disponibile a organizzare nuovi negoziati, ma non ha potuto fare molto di più: in Bosnia Erzegovina, il nuovo anno ricorda in modo preoccupante quello appena conclusosi.