Le cascate di Martin Brod (foto Hasan Zulic)

Le cascate di Martin Brod (foto Hasan Zulic )

Momentanea vittoria per la società civile di Bosnia Erzegovina. Gli attivisti sono riusciti a imporre un dietrofront al consiglio cittadino, che a metà luglio aveva dato il via libera alla costruzione di due centrali idroelettriche sul fiume Una

28/07/2015 -  Rodolfo Toè Sarajevo

Quelle centrali sul fiume Una, per il momento, non si faranno. Così ha deciso il consiglio cittadino della città di Bihać, che lo scorso 23 luglio ha fatto velocemente un passo indietro, annullando la delibera presa soltanto una settimana prima, con la quale si autorizzava la costruzione di due centrali idroelettriche nelle località di Martin Brod e Dobrenica (nella Bosnia occidentale, giusto al confine con la Croazia).

Il progetto esisteva da anni, da quando cioè le autorità delle due entità di Republika Srpska e della Federazione avevano deciso di dare inizio a una vera "corsa all'oro" blu, come aveva scritto Osservatorio a suo tempo parlando del tentativo da parte delle autorità bosniache di sfruttare, senza molti scrupoli nei confronti dell'ambiente, una delle principali risorse energetiche del Paese: i suoi abbondanti corsi d'acqua.

Il 15 luglio scorso, il consiglio cittadino della città di Bihać aveva votato, in accordo alla richiesta da parte del governo del cantone Una-Sana, affinché "cominciasse la procedura per l'attribuzione di concessioni pubbliche, al fine di costruire piccole centrali idroelettriche nel bacino del fiume Una". La zona in questione fa parte del parco nazionale "Una" ed è particolarmente ricca in termini di biodiversità. Negli ultimi anni qui si è sviluppato anche un certo flusso di visitatori e di turisti.

"Se qualcuno qui è a favore della preservazione del parco naturale" - aveva spiegato all'agenzia Anadolu subito dopo la prima votazione il sindaco Emdžad Galijašević - "questa è proprio la nostra città. Ciononostante", aveva continuato, cercando di giustificare la decisione di appoggiare la realizzazione delle centrali, "se vogliamo che il parco in quanto tale diventi una risorsa per tutta la comunità, allora diventa necessario che il governo si impegni di più a favorirne lo sviluppo, donando più fondi dei 500.000 marchi (250.000 euro circa) attuali".

Un interesse pubblico che non c'è

I cittadini del cantone Una-Sana, della Bosnia Erzegovina ma anche della vicina Croazia si sono battuti per proteggere il territorio da quello che viene criticato come uno scempio ingiustificato. La legge, infatti, prevede che nel caso di parchi nazionali opere come le due centrali possano essere realizzate solo nell'interesse del parco stesso, oppure per ragioni di interesse pubblico. I progetti, tuttavia, prevedevano l'edificazione di due centrali dalla potenza ridotta (rispettivamente di 2 e 1,2 megawatt), che avrebbero garantito limitati posti di lavoro in un paese che è già esportatore regionale di elettricità.

"Queste mini centrali", ha spiegato ad Aljazeera Aida Sejdić del Pokret za socijalnu pravdu (Movimento per la giustizia sociale) di Bihać, "non migliorerebbero in niente le condizioni economiche della comunità e, al contrario, finirebbero per distruggere l'ecosistema del fiume". Della stessa opinione è anche un'altra attivista, Nataša Crnković, a guida del Centar za životnu sredinu  (Centro per l'ambiente) di Banja Luka: "Anche se la dimensione delle centrali è ridotta, l'impatto che avrebbero sul parco nazionale sarebbe catastrofico".

La battaglia portata avanti dagli ambientalisti per difendere il fiume e il suo parco nazionale ha incluso una petizione che è stata firmata da più di 11.000 persone. Il Centar za životnu sredinu ha altresì inviato una lettera aperta alle autorità cittadine, chiedendo loro di "rivedere il proprio sostegno a quest'opera" e di "lavorare nell'interesse dei cittadini che difendono il fiume, e non del settore privato".

Alla fine, il consiglio della città di Bihać ha fatto marcia indietro. Dopo avere inizialmente dato il proprio benestare al progetto, ha annullato la decisione del 15 luglio con una seconda votazione unanime. Se gli ambientalisti cantano vittoria per la battaglia vinta, tuttavia, è bene sottolineare che la decisione finale sul progetto spetterà comunque ai livelli superiori di governo, cioè al Cantone e alla Federazione: "Il progetto è al di fuori della nostra giurisdizione", riconosce infatti il sindaco di Bihać

Le organizzazioni ambientaliste locali, ad ogni modo, rimarranno vigili e promettono di proteggere il fiume "anche con i nostri corpi", se necessario.

Un trend pericoloso

Il dietrofront del consiglio cittadino locale è incoraggiante, ma il problema della protezione dei parchi naturali di Bosnia Erzegovina da progetti come quello delle due minicentrali di Martin Brod e Dobrenica riguarda tutto il Paese. Il caso del parco naturale dell'Una è, in effetti, simile in modo preoccupante a quanto accaduto al Parco nazionale di Sutjeska, qualche decina di chilometri a sud di Foča, nell'est del Paese. In questo caso, il governo della Republika Srpska aveva stabilito la costruzione di cinque centrali idroelettriche nei canyon dei torrenti Hrčavka e Sutjeska.

La decisione era stata presa ancora nel 2006 dall'allora governo uscente di Milorad Dodik, una circostanza che in seguito sarebbe stata utilizzata dalle autorità di Banja Luka per giustificare "l'irreversibilità" del progetto. Anche in quel caso, l'intero processo era stato imposto dall'alto senza che i cittadini e gli abitanti del luogo potessero avere voce in capitolo. La stessa ditta incaricata di realizzare gli studi di sostenibilità, la Projekt AD di Banja Luka, aveva ammesso candidamente di non essersi nemmeno recata sul posto per effettuare un sopralluogo.

Il piano, pur tra mille polemiche, è andato avanti fino a qualche mese fa, quando il ministero per l'Ambiente della Republika Srpska ha deciso di bloccare i lavori nell'attesa di un "piano speciale" che verrà approvato per la salvaguardia del parco nazionale di Sutjeska. Le due aree protette, per ora, non possono quindi fare altro che attendere le decisioni delle autorità. A Bihać, così come a Sutjeska, per il momento "la società civile è riuscita a dimostrare la propria forza", ha dichiarato il croato Daniel Pavlić dell'associazione Ekološka Kulturna Scena (Scena culturale ecologica) di Kostajnica al portale sarajevese Klix : "Abbiamo inviato un messaggio chiaro al governo. Decisioni così importanti non devono essere prese senza l'appoggio dell'opinione pubblica".