A tre mesi dall'entrata in vigore dell'accordo di associazione con l'UE, le istituzioni bosniache stentano a creare un meccanismo di coordinamento efficace per dialogare con Bruxelles

09/09/2015 -  Davide Denti

Il 16 marzo 2015, i ministri degli Esteri dei 28 Stati membri dell'UE hanno dato il via libera all’entrata in vigore dell’accordo di stabilizzazione e di associazione (ASA) con la Bosnia Erzegovina (Bosnia, BiH).

La storia di questo accordo è complessa. Già nel 2005, la sua firma venne subordinata alla riforma della polizia, come richiesto dall’Alto Rappresentante internazionale nel paese (OHR). Dopo tre anni di stallo, l’Unione europea accettò modifiche estetiche ed arrivò alla firma dell’accordo nel 2008. Tuttavia, dopo un processo di ratifica durato tre anni, l’accordo venne congelato prima ancora che potesse entrare in vigore. Nel 2009, infatti, la Corte europea per i diritti dell’uomo (CEDU) aveva condannato la Bosnia per violazione dei diritti di elettorato passivo delle minoranze, nel famoso caso Sejdić-Finci. Quattro anni quasi interamente dedicati alla questione non sono stati sufficienti per risolvere la questione, e nello scorso anno l'Unione europea ha deciso di concentrarsi sulle più pressanti condizioni socio-economiche del paese, evidenziate dalle violenti proteste del febbraio 2014. A seguito dell'iniziativa diplomatica anglo-tedesca di fine 2014, finalizzata a sbloccare la situazione di stallo, il Consiglio UE ha rinviato la condizionalità su Sejdić-Finci ad una fase successiva e ha accettato di fare entrare in vigore l’accordo d’associazione in cambio di un "impegno scritto" per le riforme, che le varie istituzioni bosniache hanno firmato ad inizio 2015.

1 giugno

L’accordo ASA è infine entrato in vigore il 1° giugno, dopo esser stato aggiornato ai cambiamenti intercorsi (tra cui l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona e l’adesione della Croazia all’UE) tra il momento in cui era stato redatto, nel 2006, e il 2015. Nonostante sia stato ampiamente criticato come l'ennesimo caso di incoerenza nella politica estera dell'Unione nei confronti della Bosnia, l'entrata in vigore dell'ASA ha finalmente portato una nota positiva dopo sei anni persi. Inoltre, esso potrebbe permettere un nuovo slancio diplomatico, in concomitanza con il rinnovo delle cariche istituzionali tanto a Sarajevo quanto a Bruxelles dopo la tornata elettorale del 2014.

Rimangono tuttavia varie sfide da affrontare per la Bosnia Erzegovina sulla via dell’integrazione europea. Esse includono la negoziazione di un meccanismo di coordinamento tra i diversi livelli amministrativi competenti sulle materie di rilevanza UE; la ripresa dell'attività legislativa, in una situazione di attrito tra le diverse coalizioni esistenti a livello statale e delle entità; e la prospettiva di lungo termine di una riforma costituzionale al fine di garantire la funzionalità della Bosnia Erzegovina come futuro stato membro UE.

Una delle prime cose che l'Unione europea si aspetta dalle istituzioni bosniache è la creazione di un meccanismo di coordinamento tra tutte le autorità a diversi livelli amministrativi, statati e substatali (entità e cantoni) aventi competenza sulle questioni relative all'UE, in modo che la Bosnia possa "parlare con una sola voce" ai rappresentanti europei (paradossalmente, questa stessa formula è solitamente usata per criticare la cacofonia di voci europee verso il resto del mondo). Ciò era originariamente previsto come compito della Direzione per l'integrazione europea (DEI), un'istituzione a livello statale il cui lavoro è tuttavia paralizzato dal 2006 dalla mancanza di consenso politico. Si è così passati all’idea di organizzare una procedura di coordinamento tra le diverse istituzioni bosniache. Deve ancora essere stabilito, tuttavia, se il meccanismo di cooperazione debba includere solo le istituzioni competenti caso per caso, su base settoriale, o se tutte le istituzioni vi debbano sempre partecipare, incluso nei casi in cui esse non abbiano competenza in determinati settori (come è il caso dei cantoni della Federazione BiH). In ogni caso, un meccanismo di coordinamento su base nazionale deve essere istituito prima che la Bosnia Erzegovina possa essere in grado di partecipare a negoziati di adesione con l’Unione.

La coabitazione

Accordarsi su temi quali il meccanismo di coordinamento potrebbe tuttavia diventare sempre più difficile nella situazione politica attuale. A quasi un anno dalle elezioni dell'ottobre 2014, il governo statale di Denis Zvizdić è sostenuto da una coalizione che comprende i partiti di governo della Federazione BiH e i partiti di opposizione della Republika Srpska (RS), le due entità. Milorad Dodik, il presidente della RS, non ha apprezzato il fatto di essere lasciato fuori dalla coalizione di governo. Come risultato, il suo partito SNSD prima ha annunciato il boicottaggio della Camera dei Rappresentanti, dove occupa una posizione marginale. Poi ha annunciato il boicottaggio anche della Camera dei Popoli, la camera alta, dove controlla 3 deputati serbi su 5 ed è di conseguenza in grado di bloccare l'intera istituzione. Nonostante la condanna del boicottaggio parlamentare da parte dell'OHR, le azioni di Dodik rimangono entro i limiti della legalità costituzionale. Il sistema politico della Bosnia non prevede una coalizione obbligatoria a livello statale tra i partiti di governo delle due entità. Era quindi fisiologico attendersi maggiori attriti tra lo Stato e l'entità in una fase, come quella attuale, di "coabitazione" tra due maggioranze diverse, con l'SNSD espulso dalla presidenza tripartita e dalla coalizione di governo statale, pur conservando il potere a Banja Luka. Ciò arriva tuttavia al momento peggiore, in quanto rischia di bloccare l'attività legislativa, mentre l'Unione europea si aspetta che i rappresentanti della Bosnia a tutti i livelli si accordino su un ampio programma di riforme e su un meccanismo di coordinamento. Infatti le tensioni tra livello statale ed entità sono riemerse prepotentemente ad inizio luglio, quando Dodik ha annunciato l’indizione per metà settembre di un referendum nell’entità sulla magistratura e sulle corti statali.

La leadership della RS ha così fatto tornare al punto di partenza il Dialogo Strutturato sulla Giustizia, meccanismo di dialogo tra le diverse autorità nazionali, in presenza di rappresentanti UE e professionisti del settore giustizia (e ultimamente anche di rappresentanti della società civile, sulle questioni di anticorruzione e conflitto d’interessi), che era stato istituito nel 2011 come via d’uscita dalla stessa minaccia referendaria in RS. L’entrata in vigore dell’accordo ASA, inoltre, con l’istituzione di un sub-comitato Giustizia, Affari Interni e Sicurezza tra le autorità governative bosniache e l’UE, obbligherà a breve a ripensare il formato del Dialogo Strutturato, per il quale sarà necessario trovare un modo creativo per salvarne gli elementi più innovativi, come il coinvolgimento della società civile e delle associazioni professionali.

Dayton, 20 anni

Infine, permane la questione di una riforma costituzionale per la Bosnia Erzegovina, a ormai venti anni da Dayton. Come riconosciuto anche da un funzionario UE, negli ultimi cinque anni il problema Sejdić-Finci "è stato usato come un cavallo di Troia, ma il cavallo non si è aperto: e l'UE è rimasta chiusa dentro". Il reset nelle relazioni UE/Bosnia a seguito dell’iniziativa diplomatica anglo-tedesca e delle conclusioni del Consiglio UE del dicembre 2014 ha segnato uno spostamento di focus dalla riforma costituzionale alle questioni socio-economiche, al fine di riallineare l’agenda alle priorità della popolazione bosniaca. Tuttavia, parte dei croati bosniaci continua a spingere per un cambiamento costituzionale al fine di ottenere una circoscrizione elettorale separata, come minimo, o perfino una terza entità. Ciò è stato esemplificato nel corso del dibattito del 24 febbraio al Parlamento europeo sul Progress Report 2014 della Commissione europea per la Bosnia Erzegovina, quando l’eurodeputato Eduard Kukan (PPE-SK) ha ricordato ai colleghi croati che questo è il momento "di rinnovare il contratto sociale" con i cittadini bosniaco erzegovesi, piuttosto che impegnarsi nuovamente in colloqui su questioni costituzionali. I risultati del censimento 2013, ancora non pubblicati, potrebbero rendere ancora più difficile per i croato-bosniaci spingere per l'autonomia territoriale come corollario alla piena uguaglianza tra i popoli costitutivi, qualora il loro numero cadesse al di sotto della soglia degli "altri", i cittadini di etnia non dichiarata. Certo, non è ancora chiaro se sia possibile per la Bosnia ottenere un migliore sviluppo economico all'interno della struttura attuale che collega i partiti politici, le imprese (pubbliche e private) e la popolazione in un circolo vizioso di clientelismo, corruzione e economia informale. A lungo termine, come la maggior parte degli altri paesi candidati in passato, la Bosnia dovrà prevedere una riforma costituzionale prima dell'adesione all'UE - possibilmente, sfruttando il negoziato sui capitoli dell’acquis europeo per definire con precisione la portata dei cambiamenti necessari, e poi procedere con un pacchetto di riforme per completare il processo di costruzione delle istituzioni necessarie al funzionamento di uno stato membro UE.