A Srđan Puhalo, sociologo e analista politico bosniaco, abbiamo chiesto delle imminenti elezioni in Bosnia Erzegovina, delle interferenze degli attori stranieri nel paese e del concetto di “paura di essere politicizzati”
Milorad Dodik è ancora l’uomo forte della Republika Srpska, se non di tutta la Bosnia Erzegovina?
Dodik è l’unico politico proattivo, in Republika Srpska (RS), ma penso anche in Bosnia Erzegovina (BiH). Gli altri sono tutti reattivi, reagiscono alle sue uscite. Lui viene ascoltato con attenzione anche quando fa battute, e provoca reazioni anche quando dice stupidaggini. Questo è il suo successo. Dodik detta l’agenda e in questo modo controlla il pubblico. Solo nel caso Dragičević è rimasto un po’ passivo. Ma solo perché è una situazione specifica, un incidente che si è trasformato in qualcosa di totalmente imprevisto.
Dodik è il più visibile, perché controlla anche i media. È l’epicentro attorno a cui tutto gira. E questo va bene per lui, finché può controllare la situazione. Anche i politici bosgnacchi reagiscono alle sue uscite, stabiliscono la propria politica come opposizione alla sua. Anche quelli che sostengono che esiste un “piano A”, un “piano B”, un “piano C”, e sostengono che Dodik e Čović vogliono sciogliere la Bosnia Erzegovina, lo fanno in conseguenza dell’incontro tra Dodik e Čović. Loro possono solo fare congetture su cosa è il piano B. E creano il proprio comportamento in opposizione a ciò che non sanno nemmeno se esiste, e se esiste non sanno nemmeno cosa sia.
Esiste un'alternativa politica reale in Bosnia Erzegovina?
Ci sono piccoli partiti, come Naša Stranka. Però cosa significa “alternativa” in un sistema in cui devi per forza essere serbo, croato o bosgnacco.? Come fai ad essere alternativa per diventare presidente della RS se non sei serbo? Certo, esiste sempre l’alternativa di scegliere un candidato che è forse diverso dagli altri, a prescindere di quale partito sia. Alternativa è anche quando non ci sono soldi e cerchi di cambiare le cose. Ma non c’è alternativa nel senso che non c’è un altro modo di comportarsi. In Bosnia c’è il problema che tutti i partiti sono al governo, chi più chi meno. E tutti si comportano allo stesso modo, o quasi. Tutti trovano posti di lavoro per i “loro”. E quindi ci si chiede: è questa l’alternativa?
Si sta parlando molto di ingerenze esterne in Bosnia Erzegovina. Cosa ne pensa?
Tutti sembrano essersi svegliati: Stati uniti, Unione europea, Russia, Cina, Turchia. Ciascuno lotta per questo pezzettino di terra. Non sappiamo a cosa porterà tutto ciò. Ma la domanda è: nel breve termine ci possiamo aspettare che ci sia un vincitore? Guardate in Macedonia, il referendum è fallito nonostante il sostegno di Usa e Ue. Non sono ottimista, la comunità internazionale ha propri interessi. E poi, non è che questi cambiamenti avvengano da un giorno all’altro.
Per questo nessuno ne uscirà sconfitto in modo catastrofico. Né la Russia, che non rischia di perdere troppa influenza. Né gli Usa. Questo è un gioco che durerà a lungo, il risultato non può essere drastico in un senso o nell’altro. Non possiamo da un giorno all’altro diventare tutti pro-Ue, pro-russi o pro-turchi. In Bosnia la cosa migliore è quando non ci sono cambiamenti radicali, vale a dire niente guerra. Ma sarebbe bene che ci fossero alcuni cambiamenti, la domanda è solo quando, se saranno forti e dureranno a lungo, quanto ci vorrà. Non penso che avverrà molto in fretta. Come dice il detto: “Non ci salveremo, ma non crolleremo”.
Recentemente, partendo dal caso di David Dragičević, lei ha analizzato "la paura di essere politicizzati" in RS e in BiH. Ce ne può parlare?
L’obiettivo delle istituzioni della RS era di isolare questo caso, di mostrarlo come qualcosa di specifico, che non è competenza della politica ma è di competenza delle istituzioni. Ma quando avete delle istituzioni che per 190 giorni non sono capaci di risolvere un “caso ordinario di morte accidentale”, allora ci si chiede: primo, che istituzioni abbiamo in RS e in BiH; secondo, chi è responsabile delle omissioni; terzo, chi governa queste istituzioni, dunque i partiti politici al potere. E dunque vedete che in realtà questo è politica. Tutto è politica. Il problema è che la politica è irresponsabile, non risponde ai cittadini.
Tutto è politica oggi, e non solo in questo caso. Se hai l’acqua, se non hai l’acqua, se per affiliazione di partito viene qualcuno e ti allaccia all’acquedotto, se si fanno le strade. Ma io credo che non ci sia nulla di più politico che chiedere a polizia, tribunale e procura che facciano il loro lavoro, anche se le persone che siedono in quelle istituzioni ci sono arrivate per affiliazione politica, chi più chi meno.
Il caso Dragičević influirà sulle elezioni?
Nessuno lo sa. Sì, avrà un’influenza, ma non so quanto e come, è difficile dirlo. Primo, non sappiamo quanto abbia davvero influenzato tutte le persone in RS. Più ci si allontana da Banja Luka, minore è l’influenza. Secondo: non sappiamo come si comporteranno le persone. Andranno a votare? Resteranno a casa? Voteranno l’opposizione o forse qualche altro partito che è al governo, non l’SNSD [il partito di Milorad Dodik] ma i suoi alleati minori? Difficile da dire. Quando c’è stato il movimento di Picin Park nel 2013, l’anno dopo ci furono le elezioni municipali a Banja Luka, c’era la possibilità di cambiamento. Ma l’opposizione si era divisa su due candidati, e cosi vinse Radojčić, il candidato dell’SNSD. La morte di un ragazzo, la difesa della RS, il mantenere il proprio lavoro, il riscaldamento, i trasporti, le paghe… Ci sono troppe questioni da tenere in considerazione, devi selezionare le priorità. Avrà sicuramente un’influenza ma non so dire di quanto.