Presentato in questi giorni al Festival di Locarno un film sulla guerra in Bosnia, e sul lavoro degli operatori umanitari. Con la sceneggiatura di Luca Rastello.
Viene presentata in concorso in questi giorni al 55° Festival Internazionale del film di Locarno la pellicola Oltre il confine, sceneggiata dal giornalista Luca Rastello e dal regista italo-svizzero Rolando Colla.
La guerra di Bosnia torna così di nuovo nelle sale cinematografiche, questa volta attraverso l'intreccio di storie al di qua e al di là dell'Adriatico che tentano di rilevare e conservare tracce di una memoria comune tra chi ha vissuto la Seconda Guerra Mondiale in Italia e chi ha vissuto il durissimo conflitto avvenuto in Bosnia Erzegovina.
"Mentre è in viaggio verso la Bosnia, Agnese (interpretata dall'attrice italiana Anna Galiena), la protagonista, si ricorda della propria infanzia nel dopoguerra" racconta il regista. "Agnese aveva rimosso per anni tutto ciò che le ricordava quel periodo, come spesso succede a chi ha vissuto l'esperienza della guerra: per superare vicende che si vogliono dimenticare, non si parla del dolore che è rimasto dentro". E così, per la spinta a voler aiutare Reuf (interpretato dall'attore bosniaco Senad Basic) profugo bosniaco accolto in Italia, Agnese si lancia alla ricerca di Ada (interpretata dalla piccola Bojana Sljivic), figlia di Reuf, nel pieno del conflitto armato in corso in Bosnia nell'autunno del 1993.
Ma il film parla anche di coloro, tantissimi, che come volontari portarono aiuti e offrirono accoglienza in Italia a migliaia di profughi. Proprio l'autore della sceneggiatura, che è anche autore del bellissimo libro La guerra in casa edito da Einaudi, è stato uno dei tanti silenziosi protagonisti di quell'ondata di solidarietà. "Si può stimare che circa 70.000 italiani siano partiti in quegli anni per la Ex-Jugoslavia, per distribuire aiuti umanitari o per organizzare l'accoglienza dei profughi" - dice Rastello - "mentre invece ha suscitato molto stupore la passività delle istituzioni: nel 1993, un anno dopo l'inizio della guerra, l'Italia aveva accolto ufficialmente 11.500 rifugiati bosniaci (la Croazia ne aveva accolti 700.000 e la Germania più di 300.000) e la polizia italiana si vantava di aver respinto lungo la frontiera nord-orientale 20.000 profughi". Rastello sottolinea inoltre che "tutt'oggi sono le organizzazioni non governative e le associazioni e i gruppi di volontariato quelli che danno il contributo più consistente
alla ricostruzione nei Balcani, mentre il governo continua invece ad agitare lo spauracchio del profugo che minaccia l'Italia".
Il film rappresenta anche l'incontro tra cinematografia e cooperazione. Difatti Bojana Sljivic, la bravissima bimba che nel film veste i panni della traumatizzata Ada, non è un'attrice di professione. E' una bambina che porta ancora i segni di quella guerra e che grazie a un gruppo di volontari italiani è stata portata in Italia, proprio poco prima di essere coinvolta nella realizzazione del film, per subire la prima di una serie di operazioni che le permetteranno in futuro di vivere serenamente. Anche se a casa, in Bosnia, il padre continua a non ricevere regolarmente il magro stipendio da ferroviere, e le prospettive future per tutta la famiglia rimangono difficilissime, seppur a sette anni dalla fine della guerra...