Il campo di Vučjak nei pressi di Bihać è stato finalmente sgomberato. Un campo che la Commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa Dunja Mijatović, che vi si era recata in missione la settimana scorsa, aveva definito una vergogna. Ma i problemi legati al flusso di migranti sono lontani da una soluzione
"Non so cosa sia successo qui… Siamo partiti per attraversare il confine domenica ma non ce l’abbiamo fatta e siamo tornati indietro e abbiamo trovato il campo vuoto. Ma non proverò più, è troppo dura, voglio andare a Sarajevo". A parlare è un uomo di nazionalità pakistana che ieri mattina è arrivato al campo di Vučjak e ha trovato gli addetti della Croce Rossa locale che stavano sgomberando tende e masserizie. La testimonianza è stata raccolta da Aida Hadžimusić , inviata di Al Jazeera Balkans.
Il campo a cielo aperto situato a pochi chilometri da Bihać, è stato definitivamente svuotato martedì 10 dicembre degli ultimi 750 migranti che vi vivevano in condizioni disumane, con autobus scortati da decine di poliziotti verso Sarajevo.
"Tra ieri e questa mattina la polizia ha sgomberato tutte le persone che stavano in edifici occupati e in strada nella zona", ha dichiarato a OBCT il giorno prima, 9 dicembre, Greta Mangiagalli, operatrice nella zona di Bihać dell’Ong italiana Ipsia. Silvia Maraone, project manager di Ipsia, nei giorni scorsi in missione nel campo Bira, dove la loro ong assieme a Caritas Italiana ha in corso il progetto “Social cafè”, ha raccontato che al Bira era cominciata la preparazione di spazi per accogliere una parte dei migranti di Vučjak dove nelle settimane scorse si stimava la presenza di 900 persone.
Sulla decisione finale forse ha inciso la dura denuncia della Commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa Dunja Mijatović in conferenza stampa il 6 dicembre a Sarajevo, alla fine della sua missione in Bosnia: "Le condizioni di vita di centinaia di esseri umani nel campo improvvisato di Vučjak sono vergognose. Quel campo non avrebbe mai dovuto essere aperto. È ora urgente trasferire queste persone e offrire loro alloggi decenti. Il ministro della Sicurezza mi ha assicurato che il loro spostamento è imminente".
Durante la conferenza stampa, come ha scritto il corrispondente di OBCT da Sarajevo Ahmed Burić, "sono emersi tutti gli aspetti problematici e le incomprensioni riguardanti la crisi dei migranti in Bosnia Erzegovina. Il cerchio di impotenza e di accuse reciproche tra le autorità bosniaco-erzegovesi, la popolazione locale, la comunità internazionale e il governo e la polizia croata inizia e finisce nel campo di Vučjak, situato a pochi chilometri da Bihać, nel nord-ovest della Bosnia Erzegovina".
Un campo allestito su una ex-discarica dalle autorità locali, per tenere fuori dal centro cittadino di Bihać e Velika Kladuša le centinaia di migranti che in questa zona si concentrano nel tentativo di raggiungere l’Unione europea provando il “Game”, cioè l’attraversamento del confine con la Croazia dove spesso sono vittime dei respingimenti della polizia croata. Forza di polizia che organizzazioni internazionali e locali hanno, invano, più volte denunciato per aver violato il diritto di richiedere asilo nel paese e usato violenza, come ha ricordato Ahmed Burić: “Nessun paese europeo ha finora condannato il brutale comportamento della polizia croata. Nel frattempo, il ministero dell’Interno croato ha istituito un’apposita unità di crisi. A giudicare dai comunicati stampa emessi da questa unità, il principale compito dei suoi membri sembra essere quello di ribadire di 'non essere stati a conoscenza di abusi d’ufficio' di cui sono accusati i loro colleghi poliziotti, ovvero di indurre l’opinione pubblica a pensare che al confine croato-bosniaco non stia accadendo nulla di drammatico". Una situazione, come ha ricordato Silvia Maraone su OBCT, che nel territorio era insostenibile da tanti mesi.
I 750 migranti sono stati portati a Sarajevo in 14 autobus, 8 nel pomeriggio e altri 6 nella notte, per essere alloggiati in parte al campo di Ušivak e altri a Blažuj. Il ministro della Sicurezza della Bih, Dragan Mektić, aveva infatti assicurato a Dunja Mijatović la disponibilità di due nuovi luoghi di accoglienza: "La Federazione della Bih ha deciso, e ho firmato l'accordo con i suoi rappresentanti il 2 dicembre scorso, affinché si inizi la preparazione di due ex caserme, a Blažuj [a Ilidža, nei pressi di Sarajevo] e a Ljubače [nella zona di Tuzla], per i migranti di Vučjak". Ma, mentre la struttura di Blažuj è utilizzabile con pochi lavori, quella di Ljubače non lo è, come ha dichiarato Mujo Muratović a N1 il 6 dicembre scorso : "Le autorità non hanno prima verificato la disponibilità di questo luogo. Tre anni fa, attraverso un bando pubblico, ho ottenuto l'uso di 180 ettari di terreno per dieci anni e lì al momento allevo più di 200 animali. E comunque, una parte è sminata, ma un’altra è a rischio mine".
E' una zona tra l'altro dove sarebbe già stato necessario trovare alloggio alle decine di migranti – tra i 100 e i 200 a notte - che da quest’estate dormono all’addiaccio, per terra attorno alla stazione degli autobus o nelle tende sui binari della stazione dei treni della città di Tuzla senza ricevere alcun aiuto organizzato dall’autorità locale, se non da cittadini e cittadine che ogni giorno portano loro da mangiare, coperte e vestiti invernali, per resistere alle temperature che in questi giorni sono scese sotto allo zero.
In merito alla caserma di Blažuj - dove nella notte tra il 10 e l’11 dicembre sono arrivati poco più di 300 migranti - ieri la popolazione locale ha cominciato a protestare. “Ci avevano promesso che sarebbero stati tenuti sotto controllo, che la scuola vicina sarebbe stata messa sotto protezione e che ai migranti non sarebbe stato permesso di uscire - ha dichiarato a Radio Sarajevo Osman Džuderija , vicepresidente del Consiglio della comunità locale - invece colonne di migranti camminano per strada (…) sono ovunque, attorno alla scuola alla stazione degli autobus, alla pompa di benzina…. Da stamane abbiamo ricevuto più di cento chiamate dai cittadini che chiedono che per protesta si blocchi la strada di accesso". Ha poi aggiunto che lo farà, se dovessero accadere degli incidenti.
Džuderija ha aggiunto che la popolazione comprende le sofferenze dei migranti, ma che teme per la propria sicurezza e nei prossimi giorni si terrà una riunione per decidere cosa fare. La paura, ha concluso, è che gira voce che ne verranno accolti 2mila e questo diventerà uno dei centri di transito principali della Bosnia: "Quello che era Vučjak, lo diventerà Ilidža".
Ieri pomeriggio le ruspe hanno raso al suolo gran parte delle tende a Vučjak e gli addetti hanno avviato la pulizia del terreno da rifiuti, abiti usati, vecchi materassi. Ma rimane la certezza che il flusso migratorio attraverso la Bosnia, che ha visto nel solo 2018 il passaggio di più di 40mila persone, non si arresterà. E l'Ue, assieme al paese, dovrà affrontare seriamente la crisi.
Lo ha sottolineato ieri la stessa Mijatović in un comunicato in cui, oltre a complimentarsi per la chiusura del campo, ha ricordato il lavoro ancora da fare: "Quanto accaduto deve rappresentare una sveglia per il nuovo Consiglio dei ministri della Bosnia Erzegovina perché si assuma la responsabilità della questione migratoria e assicuri che i diritti umani dei migranti, e dei richiedenti asilo, vengano rispettati. Ciò dovrebbe essere fatto in collaborazione con la comunità internazionale e con gli attori della società civile. Su questo tema, proseguirò il mio dialogo con le autorità locali".