I rappresentanti dei principali partiti bosniaci si avviano allegri e fiduciosi verso l'appuntamento elettorale di domenica 3 ottobre. Osservatori e rappresentanti del settore non governativo, però, avvertono che la situazione nel Paese è catastrofica. L'intervento di Dodik a Srebrenica
Osservatorio Balcani e Caucaso ha intervistato i rappresentanti di alcuni tra i principali partiti bosniaci, chiedendo loro una valutazione sull'andamento della campagna elettorale e sulle reazioni dei cittadini ai programmi presentati, nell'imminenza del voto politico di domenica. I candidati si sono spesi nel tentativo di convincere i cittadini a votare per loro e ora confidano nella vittoria sostenendo di aver portato prosperità al Paese nel corso dello scorso mandato.
Il Partito socialdemocratico della Bosnia Erzegovina (SDP BiH), principale forza di opposizione, al potere in alcuni comuni ma da anni all’opposizione in gran parte dei cantoni, delle entità e a livello nazionale, è uno dei primi partiti ad aver avviato la campagna; il partito è stato molto attivo in questo periodo pre-elettorale, per le strade ci sono un gran numero di manifesti con lo slogan “Un Paese al servizio del cittadino”. Damir Mašić, dell’SDP, mi dice che i rappresentanti del suo partito, in campagna elettorale, hanno girato praticamente ogni angolo della Bosnia Erzegovina: “Siamo soddisfatti del riscontro avuto dai cittadini ai nostri meeting. La campagna elettorale è andata bene, abbiamo presentato un programma basato su cinque punti chiave: occupazione, istruzione, riforme sociali, salute e giustizia. Il mio parere è che in generale la campagna quest'anno sia stata portata avanti con toni più pacifici; inoltre pare che il settore non governativo abbia spinto i politici ad affrontare problemi concreti. Non nascondo il mio ottimismo, credo che l’SDP sarà al primo posto in Bosnia Erzegovina.”
Mašić non è l’unico a mostrare ottimismo; anche i colleghi del Partito di azione democratica (SDA), forza politica finora al governo nella Federazione bosniaca, sono molto ottimisti sul risultato elettorale.
Semir Kaplan, dell’SDA, mi dice che alcuni meeting organizzati dal suo partito hanno visto una partecipazione paragonabile ai livelli di inizio anni ‘90.
“A differenza dagli altri partiti, abbiamo basato la nostra campagna su quello che è l’SDA, un partito al potere continuativamente da otto anni, e che ha fatto molto in questo periodo. Abbiamo creato molte istituzioni statali, abbiamo cercato di mostrare ai cittadini i nostri risultati”.
Kaplan, inoltre, sostiene che pur essendoci spazio per la critica, i dirigenti del suo partito hanno fatto tutto quanto in loro potere data la situazione politica del Paese: “I nostri dirigenti hanno fatto abbastanza, la gente lo sa; le reazioni dei cittadini sono diverse, ma bisogna sempre distinguere tra le critiche costruttive e quelle diffamanti. Data la situazione in cui i nostri dirigenti hanno agito, e il fatto che in Bosnia Erzegovina tutto si deve basare sul compromesso, posso dire che nessun altro partito in questo periodo avrebbe potuto fare di più. Mi piacerebbe poter dire che si sarebbe potuto fare di più, ma la situazione è questa.”
Kaplan confida nella vittoria di Bakir Izetbegović, candidato bosgnacco alla presidenza, e aggiunge che l’SDA spera di ottenere a queste elezioni almeno 260.000 voti, cioè quelli ottenuti alla scorsa tornata elettorale.
Il suo collega dell’Unione democratica croata (HDZ), Mišo Relota, confida nel fatto che il partito croato stia tornando ai vecchi tempi gloriosi: “Siamo ormai alla terza fase finale della nostra campagna. Abbiamo girato ogni angolo del Paese, da Bihać a Neum, da Orašje a Mostar. Abbiamo organizzato diversi dibattiti pubblici, il nostro presidente Čavić si è incontrato con presidenti e premier dei Paesi della regione e, in quanto alla risposta avuta da parte dei cittadini, posso dire che non è mai stata migliore. Noi per primi siamo rimasti sorpresi da alcuni luoghi che abbiamo visitato, come ad esempio Tuzla”.
Eppure, secondo i sondaggi, il rivale più temuto dall’HDZ per il posto alla presidenza croata, è Željko Komšić, dell’SDP, attualmente in carica. L’HDZ della Bosnia Erzegovina ritiene che questa situazione sia illogica e ingiusta, dato che – secondo loro - Komšić riceve gran parte dei voti dai bosgnacchi e come tale non è un rappresentante legittimo del popolo croato; tuttavia, l'HDZ confida nel fatto che la propria candidata, Borjana Krišto, abbia buone probabilità di successo. Relota ricorda che il suo partito non è riuscito a convincere i partiti croati minori a ritirare i propri candidati alla presidenza, garantendo in tal modo questa posizione alla Krišto. I candidati dei partiti croati di opposizione, tuttavia, non otterranno [secondo Relota] più di 15.000 voti, il che significherebbe molto per la Krišto e l’HDZ nella lotta per la presidenza. In queste elezioni, l’HDZ punta alla straordinaria quota di 130.000 voti.
La forza politica che però ha causato più mali di testa ai partiti della Federazione negli ultimi quattro anni, e che a quanto pare ne causerà anche nei prossimi quattro, è l’Alleanza dei socialdemocratici indipendenti di Milorad Dodik (SNSD), principale formazione al governo nella Republika Srpska (RS). Dušanka Majkić, rappresentante del partito e presidente della Camera dei Popoli del Parlamento della Bosnia Erzegovina, è fiduciosa nel fatto che l'SNSD resterà il principale partito della RS anche nei prossimi 4 anni: “Stiamo concludendo la nostra campagna elettorale e, a giudicare dai riscontri che abbiamo avuto, siamo molto soddisfatti. Parliamo di incontri che hanno riunito fino a 7.000 persone. Sulla base delle reazioni dei cittadini, noi ci aspettiamo in questa entità di andare oltre il 51% dei voti. Gli elettori hanno piena consapevolezza di ciò che abbiamo fatto in questi quattro anni. Ha fatto più l’SNSD in 4 anni che qualsiasi altro governo in Republika Srpska. È difficile governare per due legislature consecutive, ma sembra che l’SNSD ci riuscirà; nella Republika Srpska abbiamo costruito e ristrutturato oltre 100 scuole e cliniche, e abbiamo promosso vari progetti di sviluppo”, sostiene la Majkić.
L'altro argomento della campagna elettorale su cui si è basato l’SNSD è la difesa delle competenze della Republika Srpska rispetto alla Bosnia Erzegovina: “Una questione importante riguarda le competenze sottratte alla Republika Srpska a favore della Bosnia Erzegovina. Con gli accordi di Dayton, alla Bosnia Erzegovina spettavano nove aree di competenza; ora ne ha 63. Dopo le elezioni condurremo un’analisi su tali prerogative; tutto quello che riterremo costituire un danno all’interesse e allo sviluppo della Republika Srpska, andrà restituito all’entità. Non tutto quello che avviene a livello centrale funziona meglio e in modo più efficace di quanto avvenga a livello della singola entità”, sostiene la Majkić.
Sebbene la maggioranza dei politici bosniaci concordi sul fatto che la campagna elettorale sia avvenuta pacificamente, senza l'utilizzo di parole di odio e senza incidenti, l’intervento del premier della Republika Srpska, Milorad Dodik, in un comizio a Srebrenica, rappresenta un'eccezione. Durante il suo discorso Dodik ha sostenuto che in quella città non è stato commesso alcun genocidio, dato che alcuni bosgnacchi sono riusciti a fuggire sino al territorio che allora era sotto il controllo dell’esercito bosniaco.
La Majkić non ritiene che questo intervento del proprio presidente sia un incidente, ma la posizione che [Dodik] ha sempre avuto: “Per quanto riguarda il fatto che il premier della Republika Srpska neghi il genocidio di Srebrenica, questa è la sua posizione, che riguarda questioni da chiarire definitivamente, come il fatto che persone che sono morte di morte naturale potrebbero essere state sepolte là come vittime di un genocidio. Dunque non ci vedo niente di male rispetto al prendere in esame l’intera questione”, mi dice la Majkić.
Secondo la Majkić, dopo le elezioni l’Ufficio dell’Alto Rappresentante in Bosnia Erzegovina (OHR) dovrà lasciare il Paese; per quanto riguarda invece le modifiche della Costituzione, si può discutere solo dell’attuazione della decisione della Corte europea per i diritti dell’uomo sul caso Sejdić e Finci, rispettivamente di origine rom ed ebraica, che riguarda la libertà – che deve essere garantita dalla Costituzione - di candidarsi alla presidenza del Paese a tutti i cittadini della Bosnia Erzegovina e non solo a bosgnacchi, serbi e croati.
Per la Majkić qui iniziano e qui finiscono tutte le questioni che riguardano i cambiamenti costituzionali. Secondo la rappresentante dell'SNSD, la Bosnia Erzegovina, con il sistema attuale, può pienamente rispondere a tutti i requisiti posti dal processo di integrazione europea.
Mentre i politici sono fiduciosi di vincere e soddisfatti di ciò che è stato fatto negli ultimi quattro anni, e del clima tranquillo in cui si è svolta la campagna elettorale, i membri della comunità accademica e le ONG non la pensano così.
Il professor Besim Spahić, dell’Università di Sarajevo, esperto di comunicazione e marketing politico, osserva che né i politici né i cittadini hanno molti motivi per essere soddisfatti: “La situazione nel Paese è catastrofica. I partiti di stampo nazionalista e i loro leader – se non sono finiti davanti alla Corte dell’Aja o in prigione – hanno mostrato una totale inettitudine e il rifiuto di risolvere i problemi sociali ed economici del Paese; con queste elezioni non abbiamo fatto neppure un passo in avanti e in questi quattro anni i politici non hanno mantenuto più di un quarto delle promesse che avevano fatto. Eppure, il 70% di loro si ripresenta alle elezioni per ottenere nuovamente voti, puntando soprattutto sulla retorica nazionale, che viene tollerata anche dalla comunità internazionale. In questa cornice di Dayton, la Bosnia Erzegovina rischia di rimanere un'unione forzata, e fallita, di persone insoddisfatte, ma così non potrà fare progressi”, sostiene il professor Spahić.
Le elezioni del 3 ottobre mostreranno se i cittadini sono stanchi dei politici attuali e se nel Paese esiste una reale alternativa politica. Stando alle previsioni, alcuni dei politici più ottimisti dovranno scendere a compromessi e formare una coalizione. Finora, nel caso della Bosnia Erzegovina, questo si è mostrato un processo lungo e doloroso in cui soprattutto l’opposizione ha perso credibilità, e per formare un governo è servito, in alcuni casi, persino un anno dopo le elezioni.