Sarajevo, la protesta dei veterani (Foto Marlin Dedaj)

Un reportage da Sarajevo, dove da mesi i reduci della guerra degli anni '90 sono accampati davanti al palazzo del governo per chiedere maggiori tutele. Riceviamo e volentieri pubblichiamo

21/12/2017 -  Rita Sanzi

Amir, quando scoppia la guerra in Bosnia Erzegovina, nella primavera del 1992, ha quattordici anni ed è chiamato a combattere nonostante non sia neanche maggiorenne.  “Lo stato sapeva che tanti soldati, come me, erano minorenni ma non ha fatto niente, sono andato anche al Tribunale di Strasburgo per questo”. Oggi Amir ha quarant’anni e durante il conflitto ha perso un occhio, parte del cranio per una granata e i due fratelli maggiori. Disoccupato ormai dalla fine della guerra, sopravvive con la sua famiglia grazie all’assegno di invalidità che percepisce la moglie malata di cancro alle ossa. “320 marchi (162 euro circa), a volte non compra le medicine per fare mangiare i nostri due figli, senza quei soldi non potremmo neanche vivere”.

Sarajevo: proteste dei veterani (Foto Marlin Dedaj)

Amir ha fatto parte per tre anni dell’Armija, l’Armata della Repubblica di Bosnia ed Erzegovina. È uno dei veterani che da cinque mesi e mezzo vive in una piccola area verde di Sarajevo. L’area è stata adattata e trasformata in campo permanente come forma di protesta pacifica: i manifestanti si sono trasferiti lì per chiedere un miglioramento delle condizioni di vita in quanto ex combattenti. “Nessun problema con le forze dell’ordine, ci hanno concesso loro l’utilizzo del posto”, assicurano.

A pochi metri dal campo una strada trafficatissima, di fronte il palazzo del Governo della Federazione della Bosnia ed Erzegovina e la sede del partito socialdemocratico del paese. “Prima facevano promesse senza mantenerle, adesso i ministri ci guardano dalle finestre e ci ignorano”, dice Mirsad con una risata amara.

I manifestanti, però, non hanno intenzione di lasciare il campo fino a quando non otterranno risposte e soluzioni concrete alle loro richieste.

Sarajevo: proteste dei veterani (Foto Marlin Dedaj)

A spiegare perché sono lì da mesi è il responsabile del giorno, Nazir Velić. “La prima cosa che chiediamo, la più urgente, è la revisione del borački registar, creando un nuovo registro degli ex combattenti per ogni unità combattente. Il numero di veterani si aggira sui 560.000 ma ad avere davvero combattuto siamo stati 230.000 bosniaci e 30.000 croati. Questo rende il budget di 690 milioni di marchi (351.000 euro), stanziato dal governo per la nostra categoria, insufficiente e non ci permette di vivere dignitosamente.

La seconda cosa che chiediamo è di annullare i finanziamenti alle associazioni di combattenti che esistono oggi e che sono più di 1500: solo le associazioni ricevono denaro ma quei soldi poi vengono divisi tra poche persone. Anche noi, che siamo qua oggi, ne facevamo parte prima di capire che non avremmo ottenuto quello che spetta a noi e alle nostre famiglie. È per questo che abbiamo bisogno di una nuova lista che regolarizzi la situazione, i partiti devono mostrare i veri dati, vogliamo numeri reali.

La terza cosa che chiediamo è un contributo mensile da ex combattenti per tutti noi che davvero abbiamo fatto la guerra, 6 marchi per ogni mese in cui abbiamo combattuto; chi invece è iscritto all'ufficio di collocamento ha diritto anche a un'indennità di disoccupazione di 324 marchi al mese (165 euro). È la stessa somma del salario minimo in Bosnia ed Erzegovina e permetterebbe a 30.000 persone senza lavoro di pagare almeno le bollette”.

Sarajevo: proteste dei veterani (Foto Marlin Dedaj)

Nihad, che ha tre figli e viene dal piccolo villaggio di Turbe, ascolta rimanendo accanto alla sua tenda e poi aggiunge con voce rassegnata che, invece, i generali hanno ottenuto pensioni consistenti subito dopo la fine del conflitto e a prescindere dalla loro età e dal tempo in cui sono stati in guerra.

È sempre Nazir a far visitare il campo per mostrare come si sono organizzati.

L’occupazione del posto è iniziata il 12 giugno 2017 e quella notte hanno dormito nel parco più di trecento persone. Si è partiti con tende e gazebi tra cespugli, piccioni e sporcizia. Adesso, con l'arrivo di freddo e neve, ad ospitare i manifestanti ci sono container arrugginiti; dentro i container qualche vestito gettato a caso, cuscini e coperte di lana consumate per riposare la notte. Fuori ci sono sedie rotte, vecchi divani, panchine costruite sul posto con assi di legno su cui leggere il giornale, fili per stendere i panni dai quali pendono altri vestiti, striscioni e cartelloni.

Appese, fuori dalle sistemazioni di fortuna, ci sono anche le bandiere dei vari corpi e reggimenti da cui era formata l’Armija, l'esercito bosgnacco: il tessuto blu e giallo si sta usurando, sta perdendo colore sotto il sole e la pioggia. I volti dei più sono provati dalla stanchezza, si sentono abbandonati dal paese che hanno difeso. Alcuni, come Haris, soffrono di PTSP (disturbo post-traumatico da stress). Haris ha quarantacinque anni e due figli a carico, ha lo sguardo quasi sempre assente e preferisce allontanarsi quando gli altri parlano del passato e ricordano il tempo della guerra.

Sarajevo: proteste dei veterani (Foto Marlin Dedaj)

Nell’area sono stati sistemati cinque bagni chimici, un lavandino e uno specchio per potersi almeno radere; la luce e l’acqua sono state concesse dallo stato. In una delle tende hanno sistemato dei fornelli a gas: lì cucinano, mangiano e svolgono le riunioni collettive.

A fare da sfondo, fuori, palazzi dall’intonaco scrostato e i fori di proiettili e granate.

Sarajevo: proteste dei veterani (Foto Marlin Dedaj)

A manifestare, fino ad oggi, nel campo autogestito sono stati circa duemila tra ex soldati e cittadini provenienti da comuni e città di tutti i cantoni: turni di sei o sette giorni per trenta persone alla volta e un responsabile al giorno. “Nessun capo fisso perché i capi poi si lasciano corrompere e comprare, è già successo durante altre manifestazioni. Ogni cosa si decide insieme, noi lottiamo per tutti gli ex combattenti, non solo per noi perché siamo una rappresentanza”, dice Haso che quasi si aggrappa a uno dei cartelli su cui è scritto, grande e chiaro, Registar.

Spesso, durante la giornata, sono raggiunti da cittadini di Sarajevo e da volontari che arrivano da tutta la Bosnia. “Anche dalla Republika Srpska”, ci tengono a specificare i veterani, “e ci dicono di resistere”. Portano cibo, compagnia, supporto, fanno piccole donazioni per sostenere la causa e permettere loro di continuare la protesta. Nel campo si respira determinazione ma anche profonda sfiducia: si sentono dimenticati.

Sarajevo: proteste dei veterani (Foto Marlin Dedaj)

“Lo stato è esistito fino a quando ha avuto bisogno di soldati, ci ha sfruttati. Adesso lo stato non ha più senso, stato siamo noi qua dentro che ci dividiamo un pezzo di pane o una coperta”: gli ex soldati dell’Armija della Bosnia ed Erzegovina ne hanno abbastanza della violenza ma non sono disposti a rinunciare e oggi, uniti, lottano così.