Carla del Ponte (Ginevra)

Incontro a margine della conferenza di Ginevra con il procuratore capo del Tribunale Internazionale dell'Aja, Carla Del Ponte. Giustizia internazionale, processo d'integrazione europea e percorsi di riconciliazione alla luce degli ultimi eventi che hanno interessato la regione

28/10/2005 -  Andrea RossiniLuka Zanoni Ginevra

Lei crede che oggi vi sia ancora interesse da parte della comunità internazionale verso la cattura dei latitanti?

E' difficile per me fare una valutazione perché non ho tutti gli elementi a disposizione, ne ho solo alcuni. Credo che in questo momento vi sia interesse, anche perché ci si vuole sbarazzare degli ostacoli che subentrano nel percorso politico degli Stati dei Balcani verso l'Unione Europea. Quindi io credo di sì, che adesso la comunità internazionale, finalmente direi, abbia raggiunto lo stadio in cui è inevitabile che questi latitanti siano arrestati. Naturalmente adesso la difficoltà è che in dieci anni si sono comunque costruiti un'esperienza tale per cui sanno come nascondersi, godono di protezioni ormai collaudate da dieci anni, e quindi tutto diventa più difficile.

L'apertura dell'Unione Europea nei confronti dei Paesi dei Balcani Occidentali dopo il 3 ottobre, in particolare nei confronti di Croazia e Serbia-Montenegro, non va considerata come un annacquamento delle condizioni poste rispetto all'arresto dei latitanti?

Assolutamente no, anzi secondo me è parte di una strategia. La Croazia sta avviando i negoziati per entrare nell'UE, si tratta di un momento importantissimo. Gotovina per loro diventa un vero ostacolo, noi stiamo collaborando in modo eccezionale con la Croazia e speriamo di avere successo presto. Per quanto riguarda la Serbia-Montenegro, e Belgrado, naturalmente i 16 accusati che ci sono stati trasferiti negli ultimi mesi hanno pesato sulla decisione positiva, e questo naturalmente è giusto. C'è un incentivo che consiste nel dire: "Vedete, la cooperazione con il Tribunale è fondamentale e se ne è tenuto conto nelle valutazioni".

In questi due giorni abbiamo parlato del ruolo della giustizia per portare ad una pace e riconciliazione duratura nei Balcani. Lei crede che la giustizia da sola possa raggiungere questo scopo?

No, non la giustizia da sola. Ma la giustizia dà sicuramente un apporto importantissimo. Perché riguarda direttamente le vittime, e se si considera quante sono le vittime ad esempio in Bosnia-Erzegovina, si può valutare appieno l'importanza dell'azione della giustizia. Quindi, non è sufficiente, non è tutto, ma è il primo passo importante, che purtroppo in dieci anni non abbiamo ancora fatto compiutamente. Siamo ancora a metà strada.

Lei ha fiducia, per il futuro, nel ruolo dei Tribunali locali?

Sì, ho molta fiducia nel ruolo dei Tribunali locali, soprattutto delle Corti Statali per i crimini di guerra che sono state costituite sia a Zagabria che a Belgrado e a Sarajevo, in quest'ultimo caso con la componente internazionale. La mia fiducia deriva proprio dal rapporto personale che ho con i procuratori, dalla loro professionalità. Quelli con cui mi sono confrontata hanno una fortissima volontà, sono capaci e chiedono il nostro aiuto per poter fare le inchieste e condurre i processi in modo equo. Il supporto politico è tuttavia estremamente importante affinché il risultato sia positivo, affinché vi sia un successo. Se il procuratore non ha il supporto politico e quello della polizia, che deve eseguire su ordine del magistrato le misure coercitive, perquisizioni e arresti, la sua azione diviene naturalmente difficile... L'importante è che ci sia supporto politico all'attività giudiziaria dei magistrati.

Come valuta la decisione del Consiglio del Tribunale di dare la libertà politica a Ramush Haradinaj?

Abbiamo fatto appello alla decisione. Io sono assolutamente scandalizzata. Sembra che tutti i detenuti possano tornare a fare politica nel loro Paese. Non dobbiamo fare discriminazioni, e soprattutto non dobbiamo fare in modo che chi è in attesa di giudizio, chi aspetta di andare in tribunale, possa addirittura avviare una carriera politica. Naturalmente io vedo le cose dalla parte di un procuratore, ma mi sembra che sia giusto che si aspetti il processo. Abbiamo comunque fatto appello, stiamo a vedere.

Lei si è opposta anche alla liberazione di Simatovic e Stanisic...

Certo... Dopo tutto il lavoro che facciamo per ottenere l'arresto ce li lasciano fuori, soprattutto in una fase politica delicata, ma comunque non commentiamo le decisioni dei giudici, cerchiamo di fare quello che ci è possibile.

Lei ha parlato del piano politico, questo servirà anche per spiegare a quella parte dell'opinione pubblica che considera per esempio Gotovina un eroe nazionale, che invece un processo potrà servire anche per fare ragionare sulle cose...

Il processo serve anche per quello, no? Per sapere la verità dei fatti. I processi hanno questa funzione anche alla luce della disinformazione avvenuta nei Balcani, in ex Jugoslavia. Non si tratta solo di portare i responsabili davanti alla giustizia, ma anche di stabilire la verità, i fatti. Questo è importante per le generazioni future, e fondamentale per la riconciliazione.