Ho letto su Latinoamerica l’articolo di Enrico Vigna (Dalla Bosnia al Kosovo vent'anni dopo - Sono ancora aperte le vene dell'Europa) e non so descrivere quanto mi abbia negativamente e dolorosamente colpito. Si deve purtroppo constatare ancora una volta che un eccesso di ideologia e gravissime superficialita' nella documentazione portano inevitabilmente a deformazioni grottesche che certamente non fanno onore al giornalismo.

12/09/2012 - 

Non saprei da che parte cominciare a segnalare errori storici, luoghi comuni, pregiudizi, informazioni false o distorte. Si comincia dalla Turchia descritta come un paese "arabo islamista" (dire che un turco sia arabo e’ come dire che un lituano sia come un russo o che un coreano sia come un cinese, tanto non sono tutti uguali quei musi gialli?) e si finisce con il genocidio di Srebrenica descritto come "uno scontro militare, non un massacro" (anche molti nazionalisti serbi, tra i quali l’attuale e assai criticato presidente della Serbia Tomislav Nikolić, almeno concedono che a Srebrenica ci sia stato un massacro, ma evidentemente al nostro Vigna sembrava eccessiva anche questa espressione). E in mezzo, la barzelletta davvero oscena che i mussulmani di Sarajevo si sarebbero buttati le bombe addosso da soli, un “classico” della propaganda che ha lo stesso valore delle notizie sul finto sbarco sulla luna o dei messaggi satanici nelle canzoni rock o di altre leggende metropolitane. Sarebbe facile ironizzare a lungo su queste e su altre decine di "informazioni" simili presenti nell'articolo, ma mi fermo qui perche' la materia e' troppo seria per riderci sopra.

Mi piacerebbe invitare Enrico Vigna in Bosnia Erzegovina (ma ci e' mai stato? non credo, altrimenti non scriverebbe che Pale e' "sopra" Sarajevo) e gli vorrei presentare alcune persone che potrebbero raccontargli molte cose, come il generale Jovan Divijak, il serbo che ha difeso la sua citta' durante l'assedio, oppure qualcuno dei sopravvissuti di Srebrenica, che gli racconterebbero di come e’ andato lo “scontro militare” del luglio 1995, oppure il vescovo cattolico di Sarajevo Pero Sudar che potrebbe insegnargli come si possa amare il proprio paese e il proprio popolo senza essere nazionalisti, ma credo proprio che sarebbe inutile. Di fronte al pregiudizio ideologico le argomentazioni e le prove sono destinate a cedere il passo.

 Qui in Bosnia Erzegovina nessuno ha l'esclusiva del dolore, e i lutti e le distruzioni hanno toccato tutti i popoli e tutti i gruppi religiosi, nessuno escluso, con criminali e assassini, cosi’ come eroi e martiri, che si trovano in tutti i campi. Ma e' del tutto inaccettabile che in Italia si presentino informazioni cosi' palesemente fuorvianti, storicamente infondate e moralmente ripugnanti come quelle che si leggono nell'articolo di Vigna.

Daniele Onori

Responsabile Ufficio Cultura

Ambasciata d’Italia in Bosnia Erzegovina


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