Caro Andrea,
ho appena letto il tuo articolo sul sito dell’Osservatorio (Popoli-eletti) con il quale concordo pienamente. Volevo segnalarti che uno dei due articoli pubblicati su LatinoAmerica, il rappresentante del Forum Belgrado-Italia, l’aveva già fatto uscire online, sul sito di: "Politica e Classe - per il socialismo del XXI secolo" lo scorso maggio.
Scriveva così:
"Il popolo serbo ha una grande storia di lotte, conquiste, ed anche nelle sconfitte ha sempre continuato a resistere e nel corso della sua dignitosa e millenaria storia di popolo, è sempre riuscito a trovare e produrre forze e grandi uomini che l'hanno guidato e rappresentato degnamente, da re Lazar di Kosovo Polje a Milosevic, uomini che hanno dato la loro vita per il proprio popolo, senza indietreggiare o mettersi in vendita."
Nella seconda pubblicazione dello stesso testo, quella che hai letto tu, sono scomparsi il re Lazar e Milosevic, sarà stato un minimo di pudore o furbizia da pochi spiccioli dell’autore?
Se non fossi convinto che LatinoAmerica è una buona rivista, non ci avrei mai collaborato con testi e foto. Vale anche per Osservatorio Balcani e Caucaso e nessuno potrebbe sostenere che chi scrive per queste due testate lo faccia per soldi.
La domanda sulla quale vorrei ragionare è: perché ambienti che sento affini sono così vulnerabili alla retorica nazionalista? Al limite, tra i nostri pregiudizi ideologici avrebbe potuto resistere una propensione internazionalista che ci faceva sentire ovunque cittadini del mondo.
Popoli, eroi e condottieri incorruttibili, ancorché eternamente sconfitti, sono patrimonio di altre culture. Nella frase attorno alla quale sto ragionando, basta sostituire "serbo" con "americano" (e "millenaria" con “centenaria”) e sembra un discorso bellico di Bush; metteteci "italiano" e siamo nella Repubblica di Salò (o al recente Storace: "l'8 settembre, morte dell'Italia"); e così via. Oltre a questo, rimane il fatto che tante bugie presentate come fossero notizie, su LatinoAmerica non si erano mai viste. Basta dichiararsi antiamericani per poter scrivere sciocchezze?
Ma per ora rimaniamo al discorso culturale.
Se avesse avuto l'umiltà di studiare la Storia, anziché la propaganda, l'autore dell'articolo avrebbe scoperto che il Principe Stefan Lazar comandava un esercito "misto" e non solo Serbo a combattere contro l'avanzata dell'esercito Ottomano nel 1389. Nel suo esercito, sconfitto dal Sultano Murad, c'erano truppe bosniache, macedoni e persino albanesi. Perfino la leggenda epica del cavaliere vendicatore (Obilic) ha diverse versioni nazionali, pur mantenendo la stessa struttura di fiaba.
Del resto, anche l'esercito della Sublime Porta non era etnicamente puro, anzi, di questo faceva la sua forza: conquistare e coinvolgere per governare, come hanno sempre fatto tutti i grandi imperi. Raramente la retorica spiega perché si fanno le guerre. I popoli e le religioni non c'entrano quasi mai. A meno che non si vada a imparare la storia tra gli ultras della Stella Rossa di Belgrado.
A volte popoli e religioni possono trovarsi persino a combattere su fronti opposti. Un piccolo aneddoto: a febbraio del 1992, tra le rovine annerite dal fuoco di una casa a Novigrad, in Croazia (allora controllata militarmente da riservisti dell’Esercito Popolare Jugoslavo che avevano aderito alla Repubblica Serba di Krajina, proclamata ad aprile del 1991), trovai in terra una piccola foto che conservo con cura. E’ un ritratto di un giovane marinaio con i baffi, scattato nell’Atelier Flora di Pola, in via Flavia n.1, forse all’inizio del ‘900. L’indirizzo è in italiano, ma in tedesco c’è scritto: “il negativo rimane registrato per successivi ordini di stampe”. La divisa sembra quella della marina imperiale (difficilmente avrebbe potuto essere altrimenti). Nel momento dello scoppio della prima guerra mondiale in Istria, nell’impero Austro Ungarico, c’erano comuni con sindaci italiani. Non conosco il nome di quel marinaio né che lingua parlasse, ma non è escluso che si potesse chiamare Mario Rossi e quasi certamente era cattolico. Se gli fosse capitato di combattere nelle battaglie in Adriatico tra il 1914 e il 1918, avrebbe combattuto da austriaco contro gli italiani. Purtroppo, a volte, la Storia trascura i dettagli. La retorica invece li esclude a priori perché li teme. I giornalisti dovrebbero cercarli, perché sono un buon anticorpo per la mente. In fondo il libro di Svetlana Broz (“i giusti ai tempi del male”, che hai recensito con Luka Zanoni nel 2005)) si è mosso nella stessa direzione di ricerca, uscendo dagli stereotipi nazionalisti e raccontando di atti di umanità arrivati dalla parte meno prevedibile.
Nel Monastero serbo-ortodosso di Studenica, uno dei più belli e antichi di Serbia, è custodito un prezioso sudario ricamato in oro, che si dice sia un regalo della moglie del Sultano Bayezid I (successore di Murad, vincitore della battaglia di Kosovo Polje). Si tratta della Sultana Olivera Despina, figlia del Principe Lazar (sconfitto a Kosovo Polje). Se avesse studiato, forse l'autore avrebbe scoperto che Solimano "il Magnifico o il Legislatore" (secondo la dizione turca) non era solo "il Conquistatore", crudele impalatore di cristiani. Oppure che Makarije Sokolovic, primo Patriarca della ricostituita Patriarchia serbo-ortodossa (a Pec, un luogo che l'autore sostiene di conoscere) era il cugino (secondo alcune versioni addirittura il fratello) del gran Visir Mehmed Pascià Sokolovic, quello del ponte sulla Drina a Visegrad. Ma se la sua fonte è stata un monaco di Decani o un pope di Pec, probabilmente avrà preferito evitare questo dettaglio e raccontargli di millenarie lotte in prima linea in difesa della fede cristiana. Nel fare questo, il pope, non fa una scelta di fede o di verità ma semplicemente politica.
E la storia dei Bogomili? Quante volte ce l'hanno raccontata? Serviva un'origine storica antica per giustificare la "separatezza" dei bosniaci musulmani (bosgnacchi) come popolo e quelle strane sepolture di pietra bianca sembravano fatte apposta per rappresentarla anche archeologicamente. Ma anche senza scomodare studiosi di storia antica, non appare poco credibile che solo i membri di una setta eretica (molto eretica) cristiana, cioè i Bogomili, si fossero convertiti all'Islam ai tempi dell'invasione Ottomana? Non è probabile che anche molti cristiani DOC fecero lo stesso? Ma i bosgnacchi di oggi devono necessariamente essere gli eredi dei Bogomili, per rivendicare una loro diversità etnica. E se le colline di Visoko nascondessero un mistero più antico delle Piramidi d'Egitto? La fantasia non ha limiti, ma la Storia non c'entra, è sempre cattiva politica.
Comunque la si prenda, la Storia in quella parte di Europa è storia di intrecci e vita in comune. Non ci si può fidare degli ultras, dei preti di paese, dei miti epici e letterari e nemmeno dell'archeologia.
La Jugoslavia "invenzione di Tito" e "prigione dei popoli", è un argomento che lascerei ai fascisti più ignoranti. La Bosnia Erzegovina è (o forse era…) un riassunto della Federazione Jugoslava che per quasi cinquant'anni, tra tanti errori, ha provato a far crescere quella terra, mosaico di tradizioni e culture diverse, nel modo che sembrava naturale, cioè affermando un diritto di cittadinanza federale che permettesse a un suo cittadino di sentirsi uguale agli altri ovunque avesse scelto di vivere.
Rispetto al mondo, nel secolo scorso la politica Jugoslava del non allineamento tra i blocchi ha rappresentato una speranza per i paesi meno sviluppati e che uscivano da dominazioni coloniali. L'intesa tra Tito, Nehru, Nasser e Sukarno è stata cosa di statura ben diversa dall’asse Saddam, Gheddafi, Assad, Milosevic che (nell’altro articolo scritto per LatinoAmerica) lo stesso autore propone, proprio all’inizio, come una linea Maginot dell'antimperialismo. E’ una caricatura che non merita commenti.
Eppure le cose in Jugoslavia non hanno funzionato, se la disgregazione è stata irreversibile. Bisogna ragionare sul perché ma partendo dai fatti, non dalla retorica. Chi vuole spartirsi la Bosnia Erzegovina oggi vuole completare l'opera iniziata alla fine degli anni '80 (gli anni dell'ascesa al potere di Milosevic) e proseguita brutalmente nei '90. Per questo c'è bisogno di tanti "utili megafoni", anche in Italia. Che siano rossi o neri, poco importa. Se si sente parlare ancora di popoli e condottieri, santi e demoni, è per il solito motivo: cattiva politica e affari privati.
Sono sicuro che nel caso di LatinoAmerica si sia trattato di una svista e mi aspetto delle scuse ai lettori già nel prossimo numero. Ti dicevo che ho scritto anch’io su quella rivista. Era un articolo sulla Cooperativa Insieme di Bratunac, che conosci bene, e puoi immaginare quanto il taglio del mio articolo potesse essere distante anni luce dalle infamità su Srebrenica scritte dal portavoce del Forum Begrado-Italia. Tu sai che ho incrociato gli sguardi di troppe persone sopravvissute, ascoltato troppi racconti e raccolto molti documenti, per non disprezzare chi scrive che: sono “1430 i morti della parte musulmana, tutti combattenti e colpiti da colpi non ravvicinati (intesi come esecuzioni sommarie).” (…) “E’ stato uno scontro militare, non un massacro.“
Perfino i due rapporti redatti in Republika Srpska, per minimizzare l’accaduto, non arrivavano a negare del tutto, come fa lui e danno altre cifre. Questo è davvero incredibile.
Per quanto riguarda gli altri che lo pubblicano, per sdrammatizzare mi pongo una domanda: visto che la citazione del Principe/Re Lazar non ha impedito a "Politica e Classe" di pubblicare quell'articolo: il "socialismo del XXI secolo" di cui parlano, lo immaginano come una monarchia? E allora perché non chiamarsi "Politica, Popoli e Condottieri" e uscire dall'equivoco? In rete è pieno di sedicenti comunisti, difensori della "Jugoslavia", fascisti dichiarati e "nazionalitari-comunitaristi", che usano lo stesso linguaggio. Confesso: quando leggo "nazi" mi si stringono i pugni in tasca e mi prude il naso (forse perché sono figlio di partigiani?).
Mario Boccia
Roma, 9/09/2012