Nei giorni scorsi abbiamo dato notizia di un viaggio in bicicletta da Trieste a Sarajevo. In questi giorni pubblicheremo le mail inviate "in diretta" alla redazione da uno dei partecipanti, Pino Pretto, per la prima volta nei Balcani

30/05/2005 -  Anonymous User

Mostar-Sarajevo, 4 giugno

Mostar. Dove il ponte, simbolo della città, e' stato protetto fino allo stremo. Ed anche con il ponte caduto non si è interrotta la tradizione dei tuffi dal ponte. 25 metri sopra il livello della Neretva. A dimostrazione che la vita continua.
Sarajevo. Dove secondo un'antichissima consuetudine le persone di tutte le etnie con problemi di salute, fanno un percorso di preghiera che tocca i luoghi di culto di tutte le religioni. Cosicché non è difficile vedere un musulmano che prega in una chieda ortodossa come non è inusuale vedere cristiani prostrarsi in direzione della mecca.
Sono passati dieci anni dalle carneficine in Bosnia ma le forze dell'Onu sono ancora in parte qua, inutili come allora.
Certa parte di Bosnia Erzegovina si sente matura per svincolarsi dalla vigilanza del commissario sovranazionale. Ma gli sguardi duri della gente tra i 30 e 40 anni, il pessimismo dei giovani, le intolleranze che degenerano in disordini ancora ora (tra l'altro sempre in occasione di partite di calcio), non inducono alla speranza di un popolo unito.
Un paese che deve lottare non solo con la ricostruzione resa lentissima dalle pastoie di una burocrazia ramificatissima. Non solo con le residue tracce pericolose di una guerra senza regole. Non solo con la mafia che depreda ancora buona parte dei finanziamenti dedicati alla comunità. Ma soprattutto con una volontà politica di non unire il popolo bosniaco e renderlo ufficialmente una comunità multietnica, attraverso una propaganda nazionalista che continua attraverso alcuni giornali.

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Mostar-Sarajevo, 3 giugno

Una volta di più volevo raccontare la Bosnia dal punto di vista cicloturistico. Di come le strade ed i paesaggi, per una vacanza su due ruote , siano fantastici. Dell`ospitalità della gente, del traffico inesistente.
Ma nel frattempo abbiamo attraversato Mostar.
E siamo arrivati a Sarajevo.
Qua non ci si può più far distrarre dalle bellezze, naturali o architettoniche, dei luoghi. I segni di quello che è stato non può non essere notato. Non ci si può non fermare a riflettere.
E' poi inevitabile se, nelle ore di quiete serali, si cerca di leggere qualche libro che cerchi di spiegare l`ultima tragedia europea dell`altro secolo.
Mostar. Altra storia di distruzione e follia. Altri incontri. Come quello con Sanja, ragazza musulmana dagli occhi radiosi e con tanta voglia di rinascita. Orgogliosa del suo essere pacificamente musulmana, senza nessun integralismo.
Speranza ed fiducioso ottimismo.
Sarajevo. Incontriamo invece Zoran, che ci fa da guida in questa fantastica città. Intelligente. Preparatissimo. Riesce a mantenersi abbastanza distaccato nei suoi giudizi "politici" ma non riesce a nascondere il suo pessimismo. Dovuto al fatto che la guerra e' stato l'occasione per far nascere un senso di intolleranza tra etnie che prima non esisteva.
E tanti sono ancora gli episodi che possono far pensare ad un futuro rigurgito di incomprensione e belligeranza.
Mostar, dove, per fortuna, il ponte e' stato ricostruito ed attorno ad esso il centro storico sta rinascendo.
Ivo Andric diceva, nel suo più famoso libro, che delle costruzioni umane, quelle che più lo affascinavano erano i ponti, perché mettevano in comunicazione. Paesi e popoli.
A Mostar alla fin fine distrussero il ponte. Per separare definitivamente.
Sarajevo. Dove l'incredulità e' stato il sentimento comune fino al momento in cui sono iniziati i primi massacri. Come quello al mercato. Una sessantina di morti. Solo in quel momento la gente, i serbi, i croati e i musulmani che vivevano sullo stesso pianerottolo del condominio si sono accorti di quanto la propaganda avesse eroso i buoni sentimenti della gente.
A Sarajevo la prima vittima dell'assedio fu una studentessa di 19 anni, Suada. Uccisa su un ponte. Mentre partecipava ad una manifestazione pacifista, una delle tante e forti espressioni di resistenza culturale della città che resistette all'assedio per tre anni.

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Scit - Rama jezero - Bosnia, Lunedi' 30 maggio

... la corsa continua e, per fortuna, anche se i segni delle atrocità commesse in questi luoghi sono tanti ed ancora troppo evidenti, il paesaggio che ci passa accanto e' incantevole.
I villaggi serbi razziati poco prima di Livno ed ora abbandonati quasi completamente, si affacciano su un polje (palude) di raro fascino.
Meditare su tutti i complicati intrecci di politica, malavita e fanatismo che hanno portato, in tempi recenti, ad una destabilizzazione sanguinosa di questo paese è una costante del nostro pedalare.
Ciò provoca una continua doppia emozione : di angoscia per le ferite sulle opere dell'uomo e di piacevole stupore per una terra verdissima dai toni dolci.
Parlandone dal punto di vista della ... sella la Bosnia e' una terra che si presta al cicloturismo, perlomeno, come lo intendiamo noi delle associazioni partecipanti.
Strade con traffico limitatissimo, altipiani, ampie vallate monti con ancora qualche lingua di neve. Un ragazzo che sulla strada per Prozor ci offre del formaggio di pecora e del vino, ci spiega come d'inverno la neve scenda sempre abbondante e rimanga talvolta anche per tre mesi.
Bella storia la sua. Grande lavoro di risanamento della sua terra. Aiutato dai reparti dei caschi blu, è riuscito a sminare i suoi pascoli, rischiando lui stesso la vita talvolta, sfiorando inconsapevolmente le mine, di cui salva come souvenir alcuni pezzi.
Ora, Ilija, di etnia croata, cattolico, orgogliosamente, assieme a sua moglie vuole costruire una konoba accanto alla sua casa che intende far diventare una eco-farm.
Orgoglio e gran voglia di ritorno ad una situazione di normali relazioni con il vicino, con il passante, con il turista.
Questa cordialità e questa voglia di dialogo la ritroviamo lungo tutta la strada. A Livno, nel quartiere musulmano, da un balcone ci chiamano per offrirci un caffé. Con un sorriso.
Noi occidentali, gentilmente e per non crear disturbo rifiutiamo. Forse in realtà non siamo ancora riusciti a afferrare il senso di quella magica parola che, per prima abbiamo imparato, alla frontiera serba. "Polako". Piano, con calma. Sottintende un modo di vita. Fatto di relazioni e discorsi fatti all'ombra degli alberi davanti ad una bevanda.
Dimenticando le diseguaglianze e prendendo la diversità di linguaggio come motivo di avvicinamento invece che di allontanamento......

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Bihac, 26 maggio

Siamo partiti per la Trieste-Sarajevo in bici, finalmente.
Domenica, assieme ai numerosissimi partecipanti alla Bicincittà triestina, organizzata dalla UISP. E' stato bello vedere dietro di noi, per un paio di chilometri, i viali occupati solo dalle biciclette. Almeno una volta tanto!! Brava UISP!
Poi due giorni di pedalate di trasferimento. Ma il vero viaggio è iniziato l'altro ieri sul Vratnik, sella a 700 m di altezza sopra Senj, conquistata con la bora contraria, con il sudore e le riflessioni personali degli scalatori.
Da quella porticella siamo entrati in contatto con un altro mondo. Posti di rara bellezza, altopiani verdissimi con dolci colline. Una delizia per gli occhi.
Ma quello che ci ha spinto a venire da queste parti era appunto cercare di capire quello che qui la follia umana ha provocato e lasciato.
A 200 km dalle nostre comode vite, esiste un mondo difficilissimo da capire. Una terra dove convivono etnie e religioni diverse. Ricchezza e causa di una guerra che ci ha sfiorato e che ci ha forse coinvolto emotivamente, ma della quale pochi di noi forse son capaci di afferrare le ancora pesanti conseguenze.
Io son venuto qui da perfetto ignorante, conscio di affrontare un percorso di comprensione difficile. Serbi di Croazia, croati in Bosnia, musulmani, ortodossi, cattolici. Un complesso intrico di rapporti tra comunità che dovrebbero portare ad un arricchimento reciproco mentre oggi, pedalando, vedo che ha portato addirittura alla reciproca distruzione dei segni della propria fede. Restano ancora in piedi, in diversi paesi, gli scheletri delle chiese, ortodosse qua, cattoliche là, bombardate e distrutte.
Resistono ancora, dopo quasi un decennio, le tracce più che evidenti delle sventagliate delle mitragliatrici su centinaia di case. Resiste soprattutto in tante persone, uno sguardo. Difficile da interpretare all'inizio ma che pian piano si capisce che è lo sguardo di chi ha visto la follia.
In un mondo rurale come questo, dove prima il contadino stava probabilmente attento ai ladri di galline, come in tutto il mondo, ad un certo punto si è instaurato il terrore e colpisce veramente nel profondo, attraversando i territori ancora abbondamente minati, pensare che un giorno Ibrahim o Vejko abbiano dovuto rinunciare anche a coltivare la propria terra dopo aver visto il proprio figliolo saltar per aria su una mina.

continua....