Il 22 ottobre centinaia di migranti si sono incamminati, insieme, verso il confine tra Bosnia e Croazia. Terza puntata del reportage "The Game". Riceviamo e volentieri pubblichiamo
22 ottobre 2018
“Stanno correndo alla frontiera. Si stanno spostando tutti al confine!”.
Veniamo informati, presto al mattino, della manifestazione in corso alla frontiera di Velika Kladuša. Ci siamo vestiti di fretta e siamo usciti di casa.
“È il momento di andare, forza!”
Lo dicevano l’un l’altro, per farsi coraggio, le persone che oggi hanno deciso di lottare contro un’insopportabile oppressione.
Hanno messo lo zaino in spalla e si sono incamminate verso la frontiera, sperando che questa potesse essere la volta buona.
Abbiamo camminato insieme, per tre chilometri, eravamo all’incirca trecento.
Abbiamo camminato col pensiero rivolto a quello che sarebbe successo. Tutti si chiedevano quale sarebbe stata, oggi, la reazione delle forze dell’ordine.
Il loro dispiegamento è stato immediato, con l’unico obiettivo di arginare quel fiume in piena.
Alcune pattuglie si sono appostate nei punti nevralgici della città, uomini in uniforme, poliziotti in tenuta antisommossa, un drone e un elicottero sono stati prontamente chiamati all’azione per controllare ogni centimetro del flusso.
“Apriranno la frontiera questa volta?” “Cosa farà la polizia croata?”
Queste le domande che ci circondavano.
Abbiamo continuato a camminare, incerti dell’esito di quell’andare.
Ad un certo punto, ci siamo arrestati. Bloccati di fronte ad un cordone impenetrabile di poliziotti. Vedevamo la frontiera alle loro spalle.
Lì, insieme, ad un passo dalla rinascita.
Lì, insieme, ad un passo dalla terra dei diritti, così viene vista da quaggiù l’Europa.
Lì, insieme, ad un passo dalla porta d’uscita da questa prigionia.
Alcune persone si sono sedute o sdraiate a terra. C’è chi ha invece iniziato a camminare su e giù per quel filo di cemento, con i muscoli stanchi di aspettare.
È iniziata una rivolta silenziosa, affaticata, perché le energie si stanno esaurendo. Il freddo ha atrofizzato i corpi e indebolito le menti.
“Cosa possiamo fare?” “Ci ascolterà qualcuno?”, ci chiede Ahmad.
Momenti di silenzio impotente.
Lo sguardo cade a terra.
Si deve pensare velocemente, per non lasciare che quelle domande rimangano appese. Spesso, però, il silenzio s’impadronisce di tutti i pensieri.
“Noi siamo ciò che incontriamo”, prosegue Ahmad scacciando l’imbarazzo.
“Se rimaniamo per troppo tempo a contatto con la violenza, non ci trasformeremo in altro che in essa. Se viviamo per troppo tempo a contatto con il dolore non diventeremo altro che anime lacerate. Se viviamo per troppo tempo a contatto con l’esclusione e l’emarginazione, perderemo fiducia in noi stessi, smarriremo la nostra identità e ci convinceremo di essere Uomini privi di valore, meritevoli di essere trattati come tali”.
Oggi, 22 ottobre 2018, uomini, donne e bambini hanno chiesto di essere rispettati come esseri umani. Si sono uniti, si sono fatti vedere e sentire come unica risposta per continuare a (r)esistere.
Corpi appesantiti dalle botte, dalla rabbia, dalla frustrazione e umiliazione quotidiana di essere ridotti a vivere un’intera vita nell’indifferenza del mondo.
Oggi, 22 ottobre 2018, fa freddo a Velika Kladuša, le temperature si stanno muovendo verso l’inverno.
Ore di attesa.
Era già accaduto nel giugno di quest’anno che centinaia di persone, stanche di vivere nel fango, decidessero di muoversi verso il confine, riunite in un unico corpo.
Mesi di attesa.
Anche oggi, come allora, centinaia di persone hanno provato a oltrepassare il confine.
Anni di attesa.
Oggi, come allora, sembra che non sia cambiato nulla.
Quell’unico corpo si è slegato di nuovo. Le persone si sono alzate da terra, si sono girate e hanno lentamente percorso la strada del ritorno, verso la tendopoli che si sperava di aver lasciato per sempre alle spalle.
“Perché le istituzioni non intervengono?”
“Per favore aiutateci, per favore”
Ce lo dice Samina, donna di 72 anni che sta viaggiando insieme ad Abdullah, suo nipote. “Voi siete l’estensione della mia voce”, aggiunge.
Chiedono rispetto e ascolto le persone bloccate alla frontiera. Chiedono di poter vivere dignitosamente senza che i loro diritti vengano bastonati ogni giorno.
“Vorrei una vita serena, vorrei poter vivere in pace. Desidero che mio nipote possa un giorno studiare e diventare il suo sogno. Io la mia vita l’ho ormai vissuta”
Probabilmente, pensiamo noi con amarezza, la manifestazione di oggi non si è minimamente percepita in Europa, terra troppo grande perché venga scossa da centinaia di piedi in movimento.
Terra, però, troppo vicina per accettare che nessuno abbia sentito le tante voci che, oggi, si sono unite in un’unica preghiera per l’apertura di un varco, per il rilascio di un lasciapassare.
Loro sono ancora qui, voci afone di fronte alla sordità del mondo.
p.s
Zagabria 3 ottobre 2018
“Vorremmo sottolineare che, in tempi in cui è aumentata la pressione migratoria in alcune parti del confine di Stato, il ministero degli Interni della Repubblica di Croazia, continuerà a rispettare i diritti fondamentali dei rifugiati che hanno un bisogno reale di protezione, applicando le pertinenti norme derivanti dalla legislazione nazionale, dall’acquis dell’Unione Europea e dalle Convenzioni Internazionali. Non è stato confermato alcun caso di utilizzo di metodi coercitivi da parte delle forze dell’ordine ai danni dei migranti”: risposta del ministro degli Interni croato alla lettera inviata da parte del Commissario del Consiglio d’Europa per i diritti umani, datata 20 settembre 2018 .
Archivio storico di alcune testimonianze selezionate tra quelle di centinaia di persone che hanno raccontato la loro storia dopo essere stati respinti al confine. Sin dal 2016, No Name Kitchen, Balkan Info Van, Are You Syrious?, Rigardu, Fresh Response, BelgrAid, Infopark e alcuni collaboratori indipendenti, documentano le violenze perpetrate lungo i confini dell’Unione Europea.
13 luglio 2017
"Ho provato a oltrepassare il confine serbo-croato insieme a un amico. Ci siamo nascosti all’interno del container di un camion. Non siamo riusciti ad andare molto lontani, la polizia ha fermato il veicolo e ci ha fatti scendere. Erano inizialmente in due ma sono arrivati altri tre uomini in divisa poco dopo. “Torna in Serbia, muoviti!” Mi hanno urlato addosso prima di tirarmi un pugno in faccia e un calcio nello stomaco. Siamo ritornati così al punto di partenza".
31 ottobre 2017
"Siamo riusciti a oltrepassare la frontiera croata partendo da Šid, città di confine tra Serbia e Croazia, ma siamo stati bloccati dopo venti chilometri di cammino. Eravamo in quattro e i poliziotti ci hanno perquisito da cima a fondo. Oltre a tutti i nostri telefoni, hanno trattenuto 400 euro, tutto ciò che ci rimaneva. Abbiamo chiesto loro di poter rimanere in Croazia per depositare la richiesta d’asilo ma purtroppo non ci è stato permesso. Siamo stati caricati su una camionetta e trasportati vicino al punto dal quale eravamo partiti qualche ora prima. Ci hanno tirati giù dal loro furgoncino uno alla volta e ci hanno picchiati. È toccato anche a me. Ho ricevuto dieci minuti di botte. Mi hanno colpito ovunque con manganellate, calci e pugni. Mi hanno sferrato un pugno in faccia e ho iniziato a sanguinare. Mi sono accorto solo in un secondo momento che avevo perso un dente. “Via, via, andate in Serbia e non provate a tornare mai più!”, queste le loro ultime parole prima che noi riprendessimo il cammino verso Šid".
12 novembre 2017
"Eravamo in tre e abbiamo cercato di superare la frontiera che separa la Serbia dalla Croazia, la polizia ci ha catturati poco dopo averla oltrepassata. Un poliziotto ci ha avvistati e ha chiesto l’intervento dei suoi colleghi. Sono arrivati e ci hanno violentemente colpiti. Abbiamo detto loro che volevamo fare domanda d’asilo in Croazia. “Andatevene! Tornate in Serbia! Non provate a tornare mai più”! Questa la loro risposta. Siamo stati caricati su una camionetta della polizia e rispediti indietro".
3 agosto 2018
"Sono una donna iraniana. Volevo solamente andare in Slovenia ma i poliziotti mi hanno presa e picchiata violentemente su tutto il corpo. Hanno preso tutti i soldi che avevo, 500 euro, e se li sono intascati. Hanno trattenuto tutti i telefoni cellulari e si sono appropriati del computer di mio figlio. Mi hanno colpita dappertutto e mi hanno tirato uno schiaffo in faccia. Credo che non siano esseri umani! Ho 47 anni e sto viaggiando con mio figlio di 14 anni. Hanno tirato schiaffi in faccia anche a mio figlio. Colpivano ridendo alle nostre spalle. Avevano manganelli e bastoni metallici. Un poliziotto mi ha colpito e sono caduta a terra ma lui ha continuato a percuotermi. Mi colpiva e a ogni colpo rideva. Stavamo camminando, sulla strada del ritorno, ci siamo fermati. Ci siamo stretti in un abbraccio e abbiamo pianto per qualche minuto. Siamo poi ripartiti tornando al campo di Velika Kladuša. Sono stati momenti terribili".
13 agosto 2018
"Dopo alcune ore, tutte le famiglie sono state caricate su una camionetta per essere trasferite in un centro d’accoglienza, così ci hanno fatto credere. Il furgone della polizia, però, si è fermato, dopo alcune ore di viaggio, vicino al “check point” ufficiale di Velika Kladuša. La polizia ha ordinato a tutti di scendere dalla camionetta e ha iniziato ha rompere i telefoni a suon di manganellate. I poliziotti hanno iniziato a spingere le famiglie verso il territorio bosniaco attaccando tutti, fisicamente e verbalmente. “Forza muovetevi!” Urlavano e con il manganello in mano ci hanno obbligati a tornare a Velika Kladuša. Picchiavano tutti, uomini, donne, colpivano forte, alla schiena e alle gambe. “Più veloci, forza, veloci!”, Ci urlavano addosso i poliziotti. Tenevo stretta tra le braccia mia figlia che ha solamente tre anni, hanno continuato a colpirmi e sono caduto. Mia figlia è atterrata violentemente a terra. Picchiavano tutti, senza distinzione alcuna".
22 agosto 2018
"La camionetta era ermeticamente chiusa. Non c’era aria all’interno e la polizia accendeva ogni tanto il condizionatore, giusto per non farci morire. A un certo punto la camionetta si è fermata e ci hanno fatti scendere tutti. Ci hanno detto di andare ma non sapevamo quale fosse la strada per tornare in Bosnia. Hanno restituito i telefoni cellulari completamente distrutti e hanno iniziato a picchiarmi, spingermi e colpirmi dicendomi che dovevo andarmene. Ho chiesto loro di non colpire il mio compagno di viaggio, un ragazzo sedicenne, ma non mi hanno dato retta. Ci picchiavano col manganello urlandoci addosso “figli di troia, andate a cagare figli di puttana!” Hanno preso la mia protesi e l’hanno calpestata. Questa è già la seconda volta che la rompono".
10 settembre 2018
Nove ragazzi siriani sono stati respinti e le forze dell’ordine croate hanno distrutto i loro telefoni cellulari.
12 settembre 2018
Dieci persone provenienti dal Pakistan sono state respinte al confine bosniaco-croato e rispedite al campo di Velika Kladuša. Sono state aggredite fisicamente e verbalmente e i loro telefoni cellulari sono stati distrutti.
13 settembre 2018
Quattro ragazzi, di cui due pakistani e due afghani, sono stati fermati dalla polizia croata e respinti al di là del confine bosniaco-croato. Sono stati loro confiscati soldi e telefoni cellulari.
18 settembre 2018
Tredici persone sono state respinte. La polizia li ha fermati a pochi passi dal confine bosniaco-croato, caricati su una camionetta e riportati indietro. Ad alcuni hanno confiscato il telefono, ad altri invece, hanno reso impossibile il loro utilizzo danneggiando la porta d’ingresso del carica batteria.
8 ottobre 2018
Tredici persone, uomini, donne e una coppia con un bambino molto piccolo. Sono tutti stati fermati e riportati al punto di partenza.