Manifesto elettorale a Sarajevo © Mete H/Shutterstock

Manifesto elettorale a Sarajevo © Mete H/Shutterstock

Il prossimo 2 ottobre si terranno elezioni politiche e presidenziali in Bosnia Erzegovina. Vi sono alcune sfide significative che tengono in sospeso il paese

27/09/2022 -  Giovanni Vale

Viaggiando in auto attraverso la Bosnia Erzegovina alla vigilia delle elezioni del 2 ottobre, si ha l’impressione di entrare in un paradiso delle agenzie di comunicazione. Non c’è incrocio, tornante o cavalcavia dal quale non spunti il volto di un candidato accompagnato dal suo slogan. Spesso si fa riferimento alla “sicurezza” e alla necessità di “difendersi”, in un clima politico che negli ultimi mesi è diventato sempre più teso e instabile (secondo l’Alto rappresentante internazionale Christian Schmidt è in corso nel paese «la più grave crisi» dalla fine della guerra). Tuttavia, le conversazioni con i cittadini bosniaci riflettono più rassegnazione che paura e i temi che ricorrono più spesso sono il lavoro e l’emigrazione. Cosa aspettarsi dunque dalle prossime elezioni in Bosnia Erzegovina?

Tre grandi sfide

Il 2 ottobre si vota per le politiche, eleggendo i propri rappresentanti nei vari livelli del complesso sistema istituzionale bosniaco. Si sceglieranno anche i tre membri della presidenza tripartita, che rappresenteranno gli altrettanti “popoli costitutivi” del paese, come sono definiti dall’accordo di Dayton che nel 1995 ha messo fine alla guerra. I presidenti sono un serbo (attualmente Milorad Dodik), un bosgnacco (Šefik Džaferović) e un croato (Željko Komšić). Il sistema elettorale prevede che gli abitanti della Republika Srpska (RS), l’entità a maggioranza serba, eleggano il membro serbo, mentre i cittadini della Federacija (FBiH), abitata perlopiù da bosgnacchi e croati, eleggano i membri croato e bosgnacco.

Già su questa prima elezione c’è una grande controversia, forse la principale di questa tornata elettorale. I nazionalisti croati dell’HDZ BiH (il partito “fratello” di quello al potere in Croazia) lamentano il fatto che alle ultime elezioni, nel 2018, il candidato croato progressista Željko Komšić l’ha spuntata sul nazionalista Dragan Čović grazie ai voti dei bosgnacchi. Proprio per questo i croati insistono per una modifica della legge elettorale, come vedremo più avanti. Oggi, ad ogni modo, Komšić è alla guida del partito multietnico e socialdemocratico Fronte democratico (DF) e fa campagna “per uno Stato civile”, in cui il sistema di rappresentazione su base etnica passerebbe in secondo piano. Dall’altro lato, l’HDZ BiH candida Borjana Krišto e invita i croati all’“unità fino alla vittoria”.

Tra i candidati bosgnacchi, lo scontro principale è tra Bakir Izetbegović (SDA) e Denis Bećirović (SDP), che già nel 2018 aveva sfidato, senza successo, il candidato SDA Šefik Džaferović. Bećirović guida l’opposizione all’SDA, il partito che dalla fine della guerra è riuscito quasi ad ogni tornata elettorale ad imporre il suo candidato alla presidenza del paese. "Una vittoria di Bećirović contro Izetbegović provocherebbe una crisi all’interno dell’SDA", sostiene l’analista bosniaco Adnan Ćerimagić, dell’European Stability Initiative (ESI), secondo cui l’ultima grande sfida di questa tornata elettorale non è tanto quella per il membro serbo della presidenza (tra Željka Cvijanović dell’SDNS e Mirko Šarović dell’SDS), ma quella per il presidente della Republika Sprska.

"Il presidente della RS ha diritto di affidare a chi vuole l’incarico di formare il nuovo governo", spiega Ćerimagić. Ed è proprio a questa posizione che si candida l’uomo forte della Republika Srpska, Milorad Dodik, che intende in pratica cambiare il suo attuale ruolo con quello della presidente uscente Željka Cvijanović (candidata invece alla presidenza della BiH). Contro Dodik, c’è Jelena Trivić del Partito del progresso democratico (PDP) e la partita è aperta. "Dal 2006 in poi, il partito di Dodik ha vinto tutte le elezioni presidenziali in RS ma con margini sempre minori", nota Adnan Ćerimagić. Per le strade di Banja Luka, molte sono le persone che parlano della necessità di un “cambiamento”, pur senza menzionare apertamente Dodik.

Chi vince e chi perde

Da queste tre grandi sfide emergerà il percorso che seguirà la Bosnia Erzegovina nei prossimi anni. Una vittoria di Dodik a Banja Luka significherà il proseguimento del processo di secessione de facto della RS, mentre una vittoria di Trivić potrebbe arrestarlo, pur non essendo la candidata a favore di una Bosnia unita e tantomeno “civile” o “cittadina”, come la intende Komšić. Anzi, dal punto di vista della retorica nazionalista o del rapporto con le guerre degli anni Novanta, Trivić non ha nulla da invidiare a Dodik. E l’analista Srdjan Puhalo a Banja Luka ammette: "Ho paura di questi giovani politici che hanno conosciuto soltanto la RS e la Bosnia divisa. Dodik almeno sa che la coesistenza era stata possibile prima. Per gli altri, questa è la normalità".

"Una vittoria di Borjana Krišto a Sarajevo porterà sul breve termine alla fine dei ricatti da parte dell’HDZ BIH, ma sul lungo termine il progetto politico dell’HDZ BIH potrà continuare", commenta Ćerimagić. Negli ultimi mesi, infatti, i nazionalisti croati, sostenuti dal governo di Zagabria, hanno insistito per una riforma elettorale, facendo ostruzionismo nelle istituzioni bosniache. Il loro obiettivo è quello di cementificare maggiormente il voto etnico ed evitare che in futuro un candidato croato possa essere eletto con i voti dei bosgnacchi. Ad oggi, i partiti bosniaci non sono riusciti a trovare un compromesso sul tema e l’Alto rappresentante internazionale per la Bosnia Erzegovina, Christian Schmidt ha per ora solo minacciato di imporre una soluzione.

La costruzione di una Bosnia Erzegovina dei cittadini, in linea con quanto espresso dalle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo, non è per il momento a portata di mano, dato che richiederebbe il sostegno della maggioranza dei rappresentanti bosniaci, mentre per ora solo una piccola minoranza è favorevole a questo progetto. "Il vero sconfitto delle prossime elezioni sarà la Bosnia Erzegovina", riassume Adnan Ćerimagić. Se dopo le elezioni, l’Alto rappresentante imporrà, come sembra, i suoi cambiamenti alla legge elettorale, allora "a vincere sarà la politica del ricatto", prosegue Ćerimagić, che sulle decisioni future di Schmidt non osa fare previsioni e conclude "l’Alto rappresentante è come un monarca assoluto e noi, che siamo fuori dal castello, non possiamo che stare a guardare chi gli parla all’orecchio e cercare di indovinare quali scelte farà".